Un dramma non soltanto francese

Un dramma non soltanto francese

Non basterà questa domenica di voto per far luce su un quadro politico finito nel Porto delle Nebbie


Aldo Sofia
Aldo Sofia
Un dramma non soltanto francese

Affollamento. Di domande, speculazioni, dubbi. Ecco la domenica elettorale più drammatica in oltre mezzo secolo di Quinta Repubblica francese. E probabilmente nemmeno basterà. Ci vorrà il secondo turno, tra una settimana, per uscire davvero dalle fitte nebbie politiche sparse sull’Esagono. Quel doppio round di scrutinio uninominale che, nell’architettura istituzionale gollista, a questo deve servire: nel primo si sceglie, nel secondo si seleziona l’unico vincitore, che non necessariamente sarà quello che aveva ottenuto più voti inizialmente. Perché nel bis conta il numero dei ballottaggi, quindi le possibili desistenze (o rinunce), le alleanze trasversali, gli accordi espliciti o sottobanco, e implicitamente anche la quota di affluenza alle urne.

Insomma, l’ordine di arrivo decretato oggi alle 20.00 (solitamente puntualissimo, solitamente affidabile) potrebbe anche non essere quello definitivo. A meno che stasera il Rassemblement National di Marine le Pen-Jordan Bardella non faccia già il gran colpo, cioè non conquisti subito l’Assemblée Nationale, non ottenga la maggioranza assoluta. Senza la quale, insistono i tenori dell’estrema destra, in ogni caso non accetterebbero comunque di governare per la prima volta la nazione, di darle un (una?) premier. Quindi di accettare quella coabitazione contro natura che essi vedono anche come una tagliola manovrata eventualmente dal presidente Emmanuel Macron: costringere l’ex Front National ad amministrare il paese, farlo senza un pieno controllo dei poteri e con un capo dello Stato non amico e che ne conserva di importanti (politica estera, difesa), scontrarsi sui fatti reali e possibili e non solo sui programmi teorici (già in parte ridimensionati, per esempio sulla battaglia campale delle pensioni).  Così da indebolire il Rassemblement, sgonfiarlo, mettergli un’ultima invalicabile pietra di inciampo che impedisca all’erede (trasformata e trasformista) di Jean-Marie di entrare fra tre anni all’Eliseo nella partita decisiva, quella presidenziale. 

Dopo aver distrutto sette anni fa i due tradizionali schieramenti dell’ “alternanza nella stabilità” (i gollisti-liberali, la gauche) per occupare tutto lo spazio disponibile con una nuova creatura politica di centro con poca anima e troppo pragmatismo, Macron spera di non essere costretto alla coesistenza; lo fa invocando la rivolta contro gli estremismi. Sì, estremismi  al plurale. Perché con una netta forzatura ha associato nella stessa categoria di “impresentabili” sia l’iper-destra nazionalista sia quel Nuovo Fronte Nazionale certamente molto variegato (dagli Insoumis ai socialisti di vario orientamento, ai verdi, ai comunisti) che raccoglie anche elementi di populismo di sinistra, che tuttavia oggi non ne rappresentano più l‘ossatura e la ragione principale. Col rischio concreto di non ritrovarseli a fianco nemmeno al ballottaggio. 

Come se il capo dello Stato non fosse minimamente conscio del grado di impopolarità in cui lo ha trascinato la sua tenace superbia e il mancato impegno di inaugurare con una svolta sociale il secondo mandato presidenziale. E’ del resto sempre più evidente che oggi è arrivato al pettine anche il nodo grosso della progressiva banalizzazione e sottovalutazione dell’estrema-destra francese negli anni della ‘macronie’. E certo non unicamente da parte del presidente. Non la si è vista arrivare, o si è fatto finta di non vederla, l’estrema-destra non più solo semplice rifugio della protesta, ma idea ormai condivisa e accettabile in larghi settori della società, dalle classi operaie ai ceti più abbienti; non più periferie  contro realtà urbane, bensì collante sempre più largo; non più unicamente contrasto, razzismo e fastidio per l’immigrazione ma conservatorismi di ritorno e di ogni tipo. In uno sdoganamento generale spesso mascherato (vedi gilet gialli) da un anti-elitarismo che vuol dir tutto e nulla e che là dove riesce ad affermarsi non si trasforma mai in maggiore equità sociale, ma piuttosto in ulteriore corazza di privilegi già acquisiti. 

Anche per tutto questo la mano di poker di Macron non è affatto solo francese. Anche per tutto questo interroga l’Europa intera e il suo futuro immediato nel momento in cui, oltretutto, la demenza senile di un presidente d’oltre Atlantico rischia di riportarne uno politicamente immorale alla Casa Bianca fra una manciata di mesi. 

Nell’immagine: nebbie e demoni su Parigi

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