Dopo la pubblicazione, il 12 settembre, del rapporto che documenta più di mille casi di abusi sessuali nella Chiesa cattolica romana in Svizzera dalla metà del XX secolo, alti prelati sono stati chiamati a rispondere e delle vittime hanno parlato. In questo clima difficile, la Chiesa ha preso diverse iniziative. Una di queste non ha attirato molta attenzione. Eppure ha il potenziale per rivoluzionare la tanto criticata cultura della segretezza della Chiesa.
Gli abusi sessuali sono un problema serio. Uno studio del 2012 ha stimato che in Svizzera il 20-30% dei giovani sotto i 18 anni è stato vittima di una violenza sessuale con contatto fisico. Il più delle volte questa violenza è perpetrata sulla base di una fiducia mal riposta. A commettere gli abusi sono adulti di riferimento, insegnanti, medici e prelati che sono vicini alle vittime. Per combattere il problema, è importante riconoscerlo e parlarne. È quindi positivo che la Conferenza dei vescovi svizzeri (CVS), la Conferenza centrale cattolica romana della Svizzera (RKZ) e la Conferenza delle Unioni degli ordini religiosi e delle altre comunità di vita consacrata in Svizzera (KOVOS) abbiano deciso insieme di commissionare a degli storici dell’Università di Zurigo uno studio che ripercorra la storia degli abusi sessuali nel contesto della Chiesa cattolica dalla metà del secolo scorso. Era ora che queste organizzazioni, che servono poco meno di 3 milioni di fedeli, seguissero le orme delle loro controparti in altri Paesi, in particolare Francia e Portogallo.
Un problema complesso
Molte voci si sono levate per denunciare la responsabilità individuale, soprattutto da parte di coloro che ricoprono posizioni importanti in questa istituzione altamente gerarchizzata. Questi alti funzionari, vescovi o amministratori, avrebbero permesso di coprire atti riprovevoli spostando prelati, nascondendo prove o non indagando adeguatamente sui casi accertati. Tali azioni hanno certamente avuto luogo; sarebbe semplicistico pensare che esse spieghino la portata del problema.
Alcuni sottolineano malfunzionamenti più strutturali. Si discute nuovamente del celibato dei sacerdoti e del ruolo delle donne nella Chiesa. Si tratta certamente di questioni importanti, ma è difficile capire come la loro soluzione da sola possa risolvere il problema, visto che gli abusi sessuali sono così numerosi nella nostra società in generale. Altri ancora promuovono una più forte “organizzazione duale” della Chiesa, che darebbe alle unità di diritto pubblico ecclesiastico o a certe unità di diritto privato un ruolo importante nella gestione degli affari. Tali unità esistono in diverse diocesi, dove agiscono come datori di lavoro del personale pastorale e sono responsabili della loro assunzione e del loro licenziamento. Il rapporto dell’Università di Zurigo sottolinea che “una tale distribuzione delle responsabilità e del potere, così come la struttura democratica della parte della Chiesa governata dal diritto pubblico, potrebbe talvolta prevenire i modelli di occultamento, silenzio e trasferimenti” che ha evidenziato. Ma non è detto che una doppia organizzazione risolva il problema da sola. Il caso riguardante l’Abbazia di Saint-Maurice, recentemente portato alla luce dai media, dimostra che anche quando le autorità pubbliche sono coinvolte, le denunce possono essere archiviate senza seguito.
La segretezza imposta dal diritto canonico
Se un occhio esterno può aiutare la Chiesa a fare meglio, essa può anche lavorare sulle proprie strutture e procedure. Lo fa al suo ritmo, in particolare adattando il suo diritto interno, il diritto canonico. Questa raccolta di regole, che ha la sua fonte originaria nei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, tenta, attraverso le sue versioni successive, di adattare l’applicazione delle leggi ecclesiastiche alle esigenze dei tempi. Il Codice della Chiesa è stato riscritto nel 1917 e nuovamente – dopo 18 anni di lavoro – nel 1983. Da allora sono stati rivisti una trentina di canoni (o regole) e la versione attuale contiene 1.752 canoni suddivisi in sette libri.
Questo corpus normativo non è giustificato dal fatto che – ad esempio – il Vaticano sia riconosciuto come Stato. Infatti, come disse Papa Paolo VI nel 1965 nel suo discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite, questa “piccola e quasi simbolica sovranità temporale” è solo “il minimo necessario” perché la Chiesa sia libera di esercitare la sua missione spirituale. Il diritto canonico serve piuttosto a garantire la corretta conduzione degli affari all’interno della comunità dei battezzati. Istituito sul modello del diritto romano, di cui è l’unico vero erede, è molto più aperto alla società civile rispetto, ad esempio, alla legge coranica. Se da un lato le sue radici in testi risalenti a diversi millenni la rendono resistente alle vicissitudini politiche, economiche e sociali, dall’altro l’ampia diversità delle persone a cui si rivolge fa sì che sia la più appropriata per i casi particolari e riflette quella che Paolo VI chiamava la competenza dell’istituzione in materia di umanità.
Dal 1917, l’abuso sessuale sui minori di 16 anni è stato esplicitamente riconosciuto come un reato morale dal diritto canonico. Nel 2019, Papa Francesco ha pubblicato due decisioni che riguardano la questione: da un lato, l’obbligo di riferire ai superiori qualsiasi reato contro il 6° comandamento del Decalogo, inteso in un senso che include l’abuso sessuale; dall’altro, l’abolizione del segreto pontificio quando si tratta di questo tipo di reati, permettendo così una maggiore trasparenza.
Tuttavia, la soluzione al problema degli abusi sessuali è ancora gravemente ostacolata da un canone: il can. 489 §2, che recita: “Ogni anno si distruggano i documenti che riguardano le cause criminali in materia di costumi, se i rei sono morti oppure se tali cause si sono concluse da un decennio con una sentenza di condanna, conservando un breve sommario del fatto con il testo della sentenza definitiva”. Il Codice canonico stabilisce anche che è legittimo avere archivi segreti in ogni diocesi, ai quali può accedere solo il vescovo. Come sottolinea il rapporto, queste disposizioni sulla distruzione degli archivi non solo ostacolano la ricerca storica, ma possono anche avere conseguenze drammatiche per le persone interessate, che non possono più accedere ai loro archivi, o solo a una parte di essi, soprattutto se le sintesi fornite sono incomplete.
Le diocesi svizzere pronte al cambiamento
Non c’è unanimità tra gli esperti di diritto canonico sulla possibilità di fare un’eccezione alla distruzione dei documenti richiesta dal can. 489 §2. Esiste però un’interpretazione autorizzata, che permette ai vescovi di decidere in merito senza ricorrere al Sommo Pontefice. In realtà, sembra che la maggior parte delle diocesi svizzere non applichi più, o applichi solo parzialmente, le disposizioni relative alla soppressione dei documenti. In linea con queste pratiche e sulla scia dei lavori del rapporto dell’Università di Zurigo, nel corso di colloqui tenutisi il 14 e 15 novembre, il presidente della Conferenza episcopale svizzera, il vescovo Felix Gmür, ha portato all’attenzione di Papa Francesco la richiesta di rendere più flessibili queste disposizioni. Sembra che il Papa abbia ascoltato questa richiesta. La Chiesa cattolica svizzera potrà così compiere un significativo passo avanti nella risoluzione del problema degli abusi sessuali al suo interno.
Articolo scritto in francese per il portale “Bon pour la tête” e tradotto qui in italiano con una revisione dell’autore
Nell’immagine: il vescovo Felix Gmür con Papa Francesco