Quarta rivoluzione industriale? Non scherziamo!
Credevamo che le nuove tecnologie fossero il futuro, e invece siamo tornati all'Ottocento
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Credevamo che le nuove tecnologie fossero il futuro, e invece siamo tornati all'Ottocento
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Credevamo che le nuove tecnologie fossero il futuro, e invece siamo tornati all'Ottocento
E allora ricordiamolo ancora una volta: davanti all’innovazione tecnologica siamo come bambini a cui viene fatto desiderare un nuovo giocattolo. Entusiasmo, feticismo, parole come: ‘lo voglio e lo voglio subito’; e poi: ‘è mio e solo mio’. Quando poi il giocattolo è circondato da un’aura di smart e si offre come intelligente ma anche come facile facile da usare – e basta toccare lo schermo perché si apra un mondo di meraviglie infinite – siamo stati catturati dalla tecnologia. Quando poi i meccanismi dei social (like, followers) sono ingegnerizzati per produrre in noi dopamina – il neurotrasmettitore del piacere – e creare in noi un’autentica dipendenza, allora non siamo più capaci di resistere e di razionalizzare i nostri comportamenti verso la tecnica e di liberarci.
Ed è una dipendenza che ci porta pericolosamente a delegare alla tecnica (a un algoritmo/app/piattaforma/assistente virtuale) la valutazione e poi la decisione da prendere (compresa la cura delle nostre ansie e le decisioni dei tribunali), appunto delegando sempre più l’intera organizzazione e gestione della nostra vita alle macchine e a un algoritmo. Sognando – ma sta diventando già realtà con gli algoritmi predittivi che predicono/anticipano/guidano i nostri desideri futuri di consumo sulla base di ciò che abbiamo desiderato fino a cinque minuti prima – sognando cioè di avere le risposte prima ancora di avere fatto le domande… e se questa non è una delle forme della alienazione…
Tecnofobia, la nostra? Tutt’altro – e personalmente ci piacerebbe essere su una delle due sonde Voyager che hanno varcato i confini del sistema solare e sono entrate nello spazio interstellare. Questa è la tecnologia che ci piace: un mezzo per accrescere la conoscenza.
È un’altra la tecnologia che non ci piace: quella dell’Industria 4.0 che si presenta come assolutamente nuova e invece è il vecchio taylorismo anche se digitalizzato (e quindi è peggio del vecchio, con l’intensificazione dei tempi ciclo di lavoro e l’eterodirezione di un algoritmo); quella di Amazon (le vecchie vendite per corrispondenza più un algoritmo), ma con lo sfruttamento quasi schiavistico del lavoro di dipendenti e corrieri; quella dei social, un surrogato di socializzazione che ci fa dimenticare che i social sono imprese private che vogliono massimizzare i loro profitti e dove noi che produciamo dati h 24 siamo la loro forza lavoro e il loro mezzo di produzione di dati. La tecnologia che non ci piace è cioè quella che permette al capitalismo di estrarre profitto per sé dalla nostra vita intera (relazioni, emozioni, affetti, comunicazione eccetera) – cioè dalla vita intera messa in produzione – e non più solo dal nostro lavoro.
E allora dovremmo ricordare che negli anni ’90 – quando le nuove tecnologie iniziavano a imporsi e noi a giocare con esse – economisti, politici, sociologi ci dicevano con convinzione e con insistenza che grazie alle nuove tecnologie avremmo lavorato meno, fatto meno fatica, avuto più tempo libero per le cose belle della vita e che saremmo entrati in una nuova era di crescita economica infinita favorita e promossa dall’economia della conoscenza. È accaduto esattamente il contrario, ma non lo vediamo o non vogliamo vedere questa realtà, sempre affascinati dall’ultima novità tecnologica. O lo abbiamo dimenticato.
E questo perché abbiamo smesso di leggere ad esempio il Marx sociologo e soprattutto il francofortese Marcuse o Anders o Bauman. Forse sarebbe il caso di tornare a farlo per accorgerci che grazie alle nuove tecnologie non siamo entrati nella quarta rivoluzione industriale ma siamo tornati indietro alla prima (l’hi-tech è applicato soprattutto per lo sfruttamento ottocentesco del lavoro); e farlo per uscire dalla grande fregatura in cui siamo caduti. Riscoprendo – come ha detto l’attrice Rosamund Pike interpretando Marie Curie – che “usare il cervello è più sexy che saper usare Instagram”.
Lelio Demichelis, che con questo articolo inizia la sua collaborazione a Naufraghi/e, è docente di Sociologia economica nel Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi dell’Insubria
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