Amleto-Biden ha deciso: strappo storico con Israele
La decisione di astenersi, permettendo il varo della risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza; crisi senza precedenti fra Casa Bianca e governo dello Stato ebraico
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
La decisione di astenersi, permettendo il varo della risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza; crisi senza precedenti fra Casa Bianca e governo dello Stato ebraico
• – Aldo Sofia
L’Isis rischia di aprire un terzo fronte sullo scacchiere mondiale dopo quello in Ucraina e a Gaza
• – Redazione
Gli slogan elettorali sono buoni ogni quattro anni, e ogni quattro anni si ricordano anche della cultura. Basta che sia istituzionalizzata - Di Bruno Brughera
• – Redazione
Mentre di fronte all’umanità c’è la sfida vitale agli effetti del cambiamento climatico divampano le guerre ed il loro assoluto potere distruttivo, non solo sull’uomo, non solo in aree circoscritte, ma su tutto il pianeta
• – Lelio Demichelis
Di Ezio Mauro, La Repubblica Come se si muovesse fuori dal tempo, ignorando la realpolitik occidentale del calendario gregoriano e il consenso dispotico dell’era putiniana giunta...
• – Redazione
Una settimana dopo aver mostrato di controllare il Paese fino all’ultimo seggio, la crisi scoppia all’interno
• – Redazione
Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
Nel mondo muore alla nascita circa il 10% dei bambini. Una situazione terribile che colpisce in particolare diversi Paesi del continente africano. Ma recenti nuovi programmi di ricerca paiono dare segnali di speranza
• – Roberta Bernasconi
Perché Putin ha subito accusato Kiev quantomeno di complicità nella strage di Mosca, mettendo in secondo piano l'ISIS-K jihadista che ha rivendicato e documentato la responsabilità di uno degli attacchi terroristici più gravi degli ultimi vent'anni in Russia
• – Aldo Sofia
Il politologo francese: «Contro Mosca una falange di musulmani dell’ex Unione sovietica. Lo zar si è comportato come Stalin, che nel 1941 non aveva previsto l’attacco di Hitler»
• – Redazione
La decisione di astenersi, permettendo il varo della risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza; crisi senza precedenti fra Casa Bianca e governo dello Stato ebraico
Non più o solo legittima risposta, diritto alla difesa. Ma brutale accanimento. Punizione collettiva mai vista nei 75 anni di conflitto israelo-palestinese. Che ha re-infiammato l’antisemitismo, isolato come mai lo Stato ebraico dal sentimento popolare occidentale, e reso incomprensibile e inaccettabile la titubanza del ‘grande alleato’, così generoso in termini di supporto e aiuti militari (solo nei primi due mesi e mezzo, 15.000 bombe e 57.000 pezzi di artiglieria consegnati a Tsahal). E il tollerante fronte di supporter euro-atlantici di Israele sempre più (ma silenziosamente) scettico sulle insufficienti e del resto inascoltate pressioni dell’Amleto statunitense. Che, da un moto di rabbia all’altro nei confronti di uno storico alleato non solo caparbio ma sfidante, ha infine deciso: non una rottura totale, che non vuole e non può permettersi, ma quantomeno un atto deciso e lacerante di discontinuità.
Biden non poteva più attendere. Anche, se non soprattutto, per motivi politici più generali: nell’anno della difficile ricandidatura a presidente, l’impopolarità accresciuta fra i votanti più giovani e gli elettori di religione musulmana (astenutisi in massa nel test delle primarie in Michigan); la scelta quindi di non assecondare soltanto la comunità ebraica statunitense; la speranza che una parte di essa abbia comunque apprezzato la sua pazienza nei confronti di un Netanyahu controverso anche fra gli ebrei progressisti americani. E ancora: la necessità di non perpetuare un’immagine di leader insicuro, contraddittorio e debole (sindrome di Kabul); il bisogno di togliere argomenti a Iran, Hezbollah, Siria e altre comunità sciite sul piede di guerra (Houthi yemeniti compresi); l’occasione offerta dalle prime vistose incrinature nel ‘gabinetto di guerra’ e nel governo di “semi-unità nazionale” a Gerusalemme; il peso economico crescente della mobilitazione sull’economia israeliana; il disegno di togliere fiato alla strategia internazionale di Mosca e Pechino, che vogliono pilotare in base ai loro interessi quel “Sud globale” chiamato a partecipare al contrasto nei confronti dell’Occidente “malato”, nella loro visione, di arrogante unilateralismo e di democrazia impotente.
Molte dunque le molle della virata statunitense. Che punta con tutta evidenza non solo a mettere nell’angolo il governo di destra nazional-messianico (che oltretutto moltiplica le colonie in Cisgiordania, e i cui esponenti più oltranzisti non nascondono la volontà di espulsione in massa dei palestinesi in una sorta di pulizia etnica), ma possibilmente alle dimissioni di “Bibi” per mano degli stessi israeliani, certo combattuti fra orgoglio nazionale e timori per il forte allentamento dei legami con il protettore americano.
È anche una corsa contro il tempo. C’è infatti il rivale Donald Trump che trova, nel quadro medio-orientale in fiamme, altri spunti polemici. “La colpa di quanto accade è di Biden, e Israele deve portare a termine il lavoro”, ha proclamato 24 ore fa il tycoon, trovando il tempo durante la sua affannosa ricerca delle decine di milioni di dollari che deve mettere sul tavolo per le prime condanne dei giudici amministrativi. Quindi, altro ostacolo fra i tanti: il tentativo del premier israeliano di tirarla il più a lungo possibile. Nella speranza di ritrovare a novembre l’amico tycoon alla Casa Bianca. Il Donald Trump che durante la sua presidenza aveva sostanzialmente dato carta bianca a Netanyahu. E che sarebbe pronto a riconsegnare in caso di vittoria a novembre. Ulteriore miccia nei rapporti fra i due attuali interlocutori, l’israeliano e lo statunitense, che si detestano. Non più amichevolmente. Bensì irrimediabilmente.
La cattiva gestione della quinta ondata di Covid-19 contribuisce alla lenta e dolorosa caduta dell’ex colonia britannica
In margine al dibattito sulla legge COVID in votazione il 28 novembre