La Russia profonda rovina i sogni dello Zar
Una settimana dopo aver mostrato di controllare il Paese fino all’ultimo seggio, la crisi scoppia all’interno
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Una settimana dopo aver mostrato di controllare il Paese fino all’ultimo seggio, la crisi scoppia all’interno
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Una settimana dopo aver mostrato di controllare il Paese fino all’ultimo seggio, la crisi scoppia all’interno
«Se sei un tagiko cancello la prenotazione»: messaggini di questo tono stanno piovendo a decine nelle app dei taxi di Mosca e di altre città russe, con i clienti che preferiscono rinunciare alla corsa piuttosto che sedersi accanto a un immigrato. La propaganda continua a ripetere il mantra della “traccia ucraina” nella più terribile strage terroristica mai vissuta dalla capitale russa, ma i moscoviti sembrano credere più alle immagini che alle parole, e le facce dei presunti killer che la tv gli sta mostrando sono così simili a decine di altre facce che vedono tutti i giorni. Tassisti, spazzini, muratori, camerieri, venditori al mercato, il “tagiko collettivo” all’improvviso da fonte di irritazione e disprezzo diventa una minaccia. La polizia sta facendo raid a tappeto negli ostelli e nei convitti degli immigrati, le direzioni di molti centri commerciali stanno chiedendo agli affittuari di presentare le liste di tutti i dipendenti originari dall’Asia Centrale, non solo tagiki, ma anche kirghizi, kazakhi, uzbeki. In Russia è tornata la grande paura del terrorismo, che assume subito il volto del diverso, dello straniero, del musulmano.
Soltanto una settimana dopo aver mostrato di controllare il suo Paese fino all’ultimo seggio elettorale della provincia più sperduta, Vladimir Putin si ritrova in difficoltà e nel giorno di lutto nazionale per le vittime dell’attentato non si presenta al Krokus, che trabocca di fiori e di folla, ma pubblica un filmato in cui accende un piccolo cero nella chiesa della sua residenza fuori Mosca. Prima di tornare sotto i riflettori bisogna trovare una nuova retorica, mentre le domande senza risposta – sugli allarmi attentato ignorati, sui ritardi dei soccorsi e dell’arrivo della polizia, sulle uscite di sicurezza chiuse e gli impianti anti-incendio spenti, o addirittura assenti – continuano a moltiplicarsi. La possente macchina della sicurezza russa, abituata a manganellare i ragazzi con le magliette di Navalny, e arrestare pensionati che scrivono sui social, fallisce clamorosamente di fronte a una minaccia vera e terribile.
Il tentativo di utilizzare la tragedia per mobilitare la nazione nella guerra contro Kyiv non sembra aver funzionato. Gli ucraini colpiscono altrove, mentre il Cremlino è costretto a distogliere lo sguardo dalla direzione occidentale, l’unica che gli interessava ultimamente, per ricordarsi di avere le spalle scoperte a Oriente, in quel Caucaso che sembrava ormai “costretto alla pace”, e nell’Asia Centrale governata da colleghi dittatori più o meno leali a Mosca. Ma le ambizioni “geopolitiche” di Putin, spesso ispirate dal desiderio di contrastare gli occidentali, hanno lasciato segni in Siria come in Medio Oriente, in diversi Paesi africani appaltati ai mercenari della Wagner, per non parlare delle strane amicizie con i taleban afghani e gli ayatollah iraniani. Un fronte variopinto, il cui odio antirusso potrebbe venire alimentato ulteriormente dalle immagini dei sospetti terroristi torturati dagli agenti russi, insanguinati, con le orecchie tagliate, i pantaloni calati e i fili elettrici attaccati alle parti intime.
Ma ancora prima le tensioni rischiano di scoppiare in Russia: tagiki, azeri, tartari, uzbeki, i musulmani ex sovietici, con passaporto russo e non, si contano a milioni, e la loro posizione spesso sottomessa di immigrati poveri non solo non tutela i russi, ma li rende ancora più a rischio. Tutte le ultime rivolte in piazza in Russia sono state a sfondo interetnico – il pogrom antiebraico nel Daghestan e le proteste contro i “neri” (come vengono definiti nel gergo russo le popolazioni del Caucaso e dell’Asia Centrale) in Bashkiria e in Yakuzia, e basta una scintilla per far divampare un incendio. Qualcuno a Mosca ne è consapevole, come dimostra la decisione di ieri di sostituire il tema delle “Conversazioni importanti” di lunedì – le lezioni di propaganda obbligatorie nelle scuole – da quello della “Russia Paese sano” a quello della “Unità dei popoli della Russia”. Le televisioni continuano a mostrare il volto acqua e sapone di Islam Khalilov, il 15enne guardarobiere kirghizo che ha salvato un centinaio di visitatori del Krokus guidandoli verso le uscite secondarie sotto le pallottole dei terroristi. Ma il genio del razzismo forse è già scappato dalla bottiglia, ingigantito dalla paura, e il deputato della Crimea annessa Mikhail Sheremet propone di limitare l’ingresso dei migranti dall’Asia Centrale fino alla conclusione della “operazione militare speciale” in Ucraina, sostenendo che «possono venire usati dai servizi segreti occidentali per atti terroristici».
Nell’immagine: Mosca, lutto nazionale tra le rovine del Crocus City Hall
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