Professor Roy, come va analizzato quest’ultimo attentato?
«Notiamo che oggi lo Stato islamico conta tra le sue fila molti musulmani provenienti dal Caucaso e dall’Asia centrale, zone che in passato facevano parte dell’Unione sovietica. È una tendenza che va avanti ormai da tre o quattro anni. Anche in Francia abbiamo avuto degli attentati commessi da ceceni. Si è quindi spostata la zona di reclutamento dell’Isis, che in passato assoldava uomini nel Medio Oriente o in Europa. Quelli di oggi, essendo musulmani nati in ex Paesi sovietici, hanno un passaporto russo e per questo possono circolare più facilmente all’interno del Paese».
Quest’ultimo attacco è riconducibile all’impegno che la Russia ha avuto in alcuni teatri esterni, come quello siriano o afghano
«È possibile, ma non possiamo esserne certi. Non c’è stata nessuna rivendicazione in tal senso. Lo Stato islamico non ha evocato la Siria e non ha chiesto un ritiro delle truppe».
La Russia deve temere una nuova stagione di sangue come quella già vista in Europa?
«Gli assalitori avevano l’aria di essere addestrati, portavano uniformi ed erano ben equipaggiati. Questo tipo di attentati dimostra che c’è un’organizzazione dietro, quindi si può supporre che potrebbero arrivarne degli altri».
In effetti i membri del commando si sono dati alla fuga subito dopo, a differenza dei tanti attentatori che negli ultimi anni in Europa hanno condotto azioni suicide.
«Il loro modus operandi è molto più militare».
Cosa rappresenta questo episodio per l’immagine di Putin?
«Un’eventuale rivolta dei musulmani interna alla Russia rappresenterebbe un enorme fallimento per il presidente, che si è fatto recentemente rieleggere promettendo più sicurezza per tutti».
C’è da prevedere una repressione contro la comunità musulmana che vive in Russia?
«Non in generale. A Mosca, però, ci potrebbero essere delle reazioni popolari, dei pogrom contro gli abitanti di confessione islamica immigrati dal Caucaso».
Le autorità russe non hanno perso tempo a denunciare un coinvolgimento dell’Ucraina.
«Putin rischia di perdere la faccia, per questo accusa l’Ucraina. Un po’ come l’Iran che punta sempre il dito contro gli Stati Uniti e Israele».
Quali conseguenze può avere questo attacco sull’atteggiamento della Russia nei confronti della guerra in Ucraina?
«Ci potrebbero essere dei problemi per l’esercito, che recluta i suoi militari soprattutto nelle zone più periferiche del Paese, come ad esempio la Siberia. Non sono certo i cittadini di Mosca che vengono mandati al fronte. Molti abitanti del Caucaso vengono obbligati a combattere in Ucraina e questo crea enormi tensioni interne».
E, più in generale, ci potrebbero essere delle ripercussioni sulla politica estera di Mosca?
«Nessuna. Per il momento si tratta di un problema interno. Ma i russi hanno una capacità di incassare colpi superiore a quella degli occidentali».
Perché la Russia non ha ascoltato gli avvertimenti degli Stati Uniti, che avevano previsto un attentato?
«Putin non ha dato credito alle segnalazioni degli americani perché non ha capito che Washington porta avanti la sua lotta al terrorismo globale mentre continua a sostenere l’Ucraina. Per i russi è un atteggiamento contraddittorio, ma non per gli statunitensi. C’è una paranoia da parte del presidente russo, che considera gli avvertimenti come una trappola americana. A questo si aggiunge l’arroganza dei servizi segreti di Mosca, che non erano a conoscenza di possibili minacce. Putin si è comportato come Stalin, che nel 1941 non aveva previsto l’attacco di Hitler».
Nell’immagine: ISIS-K