Attenti a cambiare le nostre democrazie
Di Montesquieu, La Stampa Siamo ridotti così. La politica è ridotta così, in Italia e in Europa; da qualche tempo, tragicamente, negli Stati Uniti. Nelle democrazie, insomma, in...
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Di Montesquieu, La Stampa Siamo ridotti così. La politica è ridotta così, in Italia e in Europa; da qualche tempo, tragicamente, negli Stati Uniti. Nelle democrazie, insomma, in...
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Siamo ridotti così. La politica è ridotta così, in Italia e in Europa; da qualche tempo, tragicamente, negli Stati Uniti. Nelle democrazie, insomma, in buona parte concentrate in questo scenario. Figuriamoci nel campo, labile nei confini, di chi democrazia non è più, non aspira a tornarlo ad essere (i titolari, almeno) e quindi non ha preoccupazioni sul proprio futuro istituzionale. Siamo ridotti così: in Italia, fino ad occhieggiare con infantile sollievo i piccoli gesti di rispetto tra i nostri contendenti non già nella dialettica politica, ma nella rappresentazione calcistica della stessa. Due avversari politici, l’uno allenatore dell’altro, si sorridono; tra altri due, un tempo nella stessa compagine politica, ci scappa addirittura un abbraccio. Sembrano segnali di un qualche barlume di normalità istituzionale, agli ottimisti. Rispetto tra avversari, amicizia tra compagni di squadra. Un sogno: così, siamo ridotti.
In Europa, con il nostro governo che rinuncia a entrare nel gruppo di chi sceglie la Commissione, per non separarsi dai propri sodali di parte, notoriamente e graniticamente poco europeisti, per dirla con uso di eufemismo. Così dal lato di chi governa: dall’altro, le opposizioni sparse, si deplora che il governo continentale non contenga chi europeista non è mai stato, ma ha il nostro stesso inno nazionale. Europeisti che ragionano da italiani, dimenticando che i commissari, o chi altro, non rappresentano il proprio paese, o non ne curano l’interesse, almeno. Di un inno europeo, simbolicamente, nessuno sente la mancanza. Infine, l’America, nei cui confronti l’unico stato d’animo possibile è il panico, perché la posta in gioco riguarda valori quali la democrazia, la pace, l’Europa, l’alleanza atlantica, già ora non tutta alleanza di democrazie.
La democrazia: un problema che, paradossalmente, si pongono solo le democrazie, e non sempre. Le dittature, non ci pensano proprio, almeno spontaneamente. Almeno quelli che lì possono parlare, i titolari, sempre loro. Noi, come siamo messi? Sulla carta non male: una democrazia riconquistata dopo un paio di decenni di dittatura, all’inizio non delle peggiori (non c’è limite al peggio, nel settore), poi precipitata come sappiamo. Una Costituzione conquistata, a parole nel cuore di tutti: poi si scopre che il vincolo per molti è un giuramento che alla prova dei fatti si scopre vuoto, generico e reticente, un obbligo e non una scelta. E proprio questi ultimi, giunti al governo inopinatamente, ma con la piena legittimità di una Costituzione che non ricambia il loro scetticismo, per prima cosa posano, con scarsa sensibilità, le mani addosso alla stessa. Su un paio di quei punti chiave che il giuramento non rivela. Primo, Parlamento al centro del sistema, e comunque mai soggetto alla primazia di altri organi, con riferimento non celato al potere di governo. Che torna a battere, l’esecutivo, nel cuore di chi dei partiti costituzionali non ha mai fatto parte, per esclusione ed autoesclusione: e che progetta di far girare intorno ad esso l’intero sistema. Sappiamo tutti di cosa parliamo: il premierato ad elezione diretta del premier. Poi, l’altro puntello della Carta, il capo dello Stato, grande regista della tutela della Costituzione, da mettere da parte, a lato del premier. A proposito di rispetto della Costituzione: viene in mente che il capo dello Stato è da alcuni giorni in Brasile, e a quanto risulta il supplente naturale, per Costituzione, non ha altre responsabilità oltre quella di presidente del Senato.
Vista oggi, questa situazione, dopo svariate trasferte, non obbliga a qualche dubbio, fastidioso, i tifosi e non della nostra Carta? Ma con i processi alle intenzioni non si va da nessuna parte, fino a qualche prova del contrario: e tale non è il progetto di riforma costituzionale in itinere, rispettoso delle forme sancite nella Carta, e promosso da un governo pienamente legittimato dall’uso come sempre scrupoloso delle proprie prerogative da parte del nostro capo dello Stato. Non dall’aver vinto le elezioni, sia chiaro. Semmai, quella cautela di sé sopra consigliata alle democrazie, suggerisce (meglio impone) uno sguardo alle condizioni di salute del paziente, come si usa in via preliminare in tutte le operazioni in qualsiasi settore vitale. Facciamolo qui, così, senza titolo, artigianalmente e approssimativamente, limitato al reale stato di separazione dei poteri costituzionali nel nostro paese. La vera, unica o quasi, autentica insostituibile, irrinunciabile cartina di tornasole della pienezza di una democrazia. Il nostro Parlamento, le nostre Camere, sono nel pieno, rispettivo possesso delle proprie funzioni e prerogative, nel rapporto con il governo?
Non lo sono, non solo queste Camere, nel rapporto con questo governo: ma le tutte Camere da qualche decennio e rispetto a qualsiasi governo dal decorrere dello stesso tempo. E non sulla Carta, sempre mirabile: ma più subdolamente nell’uso quotidiano che ne fa la politica, tutta indistintamente, di entrambi i soggetti. Applicando pezzi di una Costituzione materiale in contrasto con quella reale. Quello che si deve pretendere, e qui non si può non fare appello fiducioso e severo agli istituti garanti di questa Costituzione, nelle forme e nei limiti previsti, è che Parlamento e Governo vengano riportati ad uno stato di corretta e reciproca autonomia, ufficiale ed operante. Prima di qualsiasi ritocco alla Costituzione Diversamente, è davvero in gioco la pienezza della democrazia. Senza scherzi.
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