Un giornalista autentico un cacciatore di rivelazioni una appassionata indipendenza

Un giornalista autentico un cacciatore di rivelazioni una appassionata indipendenza

È deceduto Lillo Alaimo, ex direttore del Caffè, noto per le sue inchieste anche coraggiose


Aldo Sofia
Aldo Sofia
Un giornalista autentico un cacciatore di...

“E’ che ci assomigliamo”, mi sorrideva sornione. Caratteracci entrambi, intendeva. In realtà non ho mai condiviso. Perché per lui di certo quella “stigmate” non valeva. Anche nei momenti più difficili e delicati, e non gli sono stati risparmiati, per Lillo Alaimo, che se ne è andato la notte scorsa, la delusione non era mai sopraffatta dall’arrabbiatura. Era gentile. Ma di quella gentilezza ferma, senza compromessi, che condivideva con un ottimo collega, Erminio Ferrari, un altro che purtroppo abbiamo perso in quest’ultima manciata di anni. 

Avevano lavorato a lungo spalla a spalla, prima e soprattutto all’Eco di Locarno, quindi a La Regione. Se la staranno raccontando, chissà dove. Sicura stima reciproca. Che non significa idee uniformi. Ma confronto leale. Su cosa sia, su cosa debba essere questo nostro lavoro, che entrambi, lui ed Erminio, vivevano con inesauribile passione, primo e insostituibile carburante per chi ci prova davvero e seriamente. Una notizia, quella della sua scomparsa, che per la sua imprevedibilità lascia senza fiato, e anche dire solo due parole non banali o di circostanza rischia di trascinarti in una fredda banalità o in agiografia senza senso e sostanza. 

La sostanza è invece lì, semplice da cogliere, facile da ricordare, e sta nelle innumerevoli tracce che ha lasciato nella nostra professione. Lillo è stato un giornalista autentico. Coraggioso. Non so se amasse l’etichetta di “scoopista”, di chi vuole e riesce a scoprire fatti e circostanze scomode, quindi ha il fegato anche di rischiare, caricarsi di fatiche e ansie, proseguire imperterrito nella ricerca del vero, crearsi eventualmente nemici potenti pur di arrivare a una meta che altri non riuscivano a conquistare, o semplicemente eludevano. Così fece di una “testata di provincia” un giornale autentico, palestra formativa per molti giovani cronisti, che poi trovarono facilmente e con successo altre vie. Tanti scandali scoperchiati, tante inchieste riuscite, e riuscite anche perché alla fine c’era chi si fidava di lui, della sua stoffa, della sua coerenza, della sua equidistanza. A lungo, quasi fino alla fine del suo impegno professionale, in complice sodalizio con il suo direttore Giò Rezzonico. Si lamentava a volte, questo sì, di non essere capito in un Cantone “o troppo litigioso o spesso troppo rassegnato”.

Tutto perfetto e indiscutibile? Naturalmente no. Sono stati numerosi i nostri amichevoli e reciproci dissensi. Più coraggio, mi faceva capire lui; meno titoli gridati e meno grafiche “insanguinate”, gli replicavo. Non sentiva ragioni quando gli si suggeriva prudenza. Voleva sempre avvicinarsi il più possibile a quella “linea rossa” che deve impedire di sfociare nella scorrettezza delle affermazioni non provate, dei fatti raccontati in modo non circostanziato e documentato, dei riscontri confutabili. E’ inevitabilmente corposo anche il numero delle denunce che gli piovvero addosso, delle aule di giustizia frequentate per difendersi sui fatti più clamorosi denunciati, e da cui uscì sempre praticamente assolto. Soprattutto negli anni del Caffé, il domenicale da non perdere, nato, grazie a grande intuito, dopo aver lasciato (forzatamente) la vice-direzione del quotidiano bellinzonese, scaturito a sua volta dalla fusione del trisettimanale di Locarno e del Dovere. 

Non gli interessavano le discussioni e le raffinate analisi politologiche, niente dietrologie, ma editoriali comunque graffianti; soprattutto era un cacciatore di gran fiuto nelle pieghe della cronaca di ogni genere. Lo si sapeva, e perciò spesso veniva contattato. Più di una volta discutemmo se perciò non rischiasse di essere usato, strumentalizzato, di finire in una rete di inganni per un rendiconto altrui. Mai accaduto, rispondeva. Rischio calcolato (mai trappola) per raccogliere l’informazione corretta, la documentazione necessaria, la forza per sottrarsi alle pressioni. E alla fine i fatti non gli davano torto. Non mi sorprese se, invitato al Corso di giornalismo, suscitò grande attenzione e apprezzamenti da parte dei giovani che oggi scelgono un mestiere che fronteggia l’urto di trasformazioni profonde, passaggi epocali, impegni tecnologici innovativi, competizione dei social, leggi più restrittive per la pratica giornalistica, insomma quel grumo di novità e incertezze che possono anche sminuire la percezione di un ruolo fondamentale in una società che si vuole democratica. 

Con dispiacere e amarezza dovette affrontare l’ultimissima pagina del suo lavoro, quando il gruppo del Corriere del Ticino, che aveva incorporato il Caffè (in difficoltà per la crisi economica causata soprattutto dal calo vertiginoso degli inserti   pubblicitari) preferì la chiusura del “settimanale delle inchieste”, suscitando anche perplessità e critiche, per scegliere un altro formato. Uno “strappo” che inizialmente visse malissimo. Ricevette nuove offerte che non svelerò. Disegnò anche, sulla carta, progetti editoriali alternativi in cui coinvolgere ex collaboratori e amici; trovò chi pensava di potersi proporre come editore; ma alla fine tutto svanì. E nell’ultimo biennio lasciò perdere, sorprendendoci con scelte di vita tranquilla e serena, fra Cannobio e la sua Sicilia. Taglio netto. Così come nette e irremovibili furono le sue convinzioni sul mestiere, sul modo e sul dovere di interpretarlo al meglio, mettendo l’indipendenza delle sue convinzioni in cima a tutto.

Con un amichevole abbraccio dei Naufraghi alla moglie e collega Patrizia.

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