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Gli afghani prigionieri di fame e povertà
Naufragi

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Filippo Rossi
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Gli afghani prigionieri di fame e povertà
• 15 Novembre 2021 – Filippo Rossi
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Da Kandahar (Afghanistan)

“Nell’ultimo mese i casi di malnutrizione fra i bambini sotto i 5 anni sono raddoppiati e sebbene l’ospedale sia sostenuto dalla Croce Rossa, che ci ha fornito cibo e medicine per 6 mesi portandole dall’estero, le scorte potrebbero finire in soli 3 o 4 mesi”, ci dice il Dottor Mohammed Sidiq, responsabile del reparto di pediatria dell’ospedale Mirwais di Kandahar. È visibilmente sofferente, ma si sforza di sorridere mentre passa fra i letti del reparto e osserva i suoi pazienti, piccoli bambini che piangono, urlano, portano i segni della malnutrizione, e soffrono di anemia. Chi ha perso i capelli, chi ha problemi cutanei. I visi emaciati al punto da sembrare scheletri. Un bambino piange, sdraiato sul fianco e con tutto il fondoschiena aperto e privo di pelle. Il dottor Sidiq ogni tanto ci fornisce qualche spiegazione: “questo bambino è arrivato qui in fin di vita, ma si salverà” prima di ridere molto dolcemente, consulta alcune schede mediche, e procede.

Nel reparto, i letti sono divisi fra più bambini, accompagnati dalle loro madri. Alcuni con la mascherina d’ossigeno attaccata a una bombola di gas, altri con flebo. Una madre nutre il proprio figlio con un cucchiaino, un’altra donna mette un biberon in bocca alla sua piccola, che la guarda con gli occhi fuori dalle orbite. Alcune donne si inginocchiano e pregano. Ci sono sorelline che si appoggiano al letto e fissano i fratelli con sguardo amorevole, o li distraggono facendo loro qualche scherzetto. Osman, un neonato di soli 20 mesi, giace immobile, lo sguardo fisso verso il soffitto, è sfinito. “Aveva febbre, l’ho portato qui 4 giorni fa, ora sta meglio, dovrebbe farcela”, dice la madre, coprendosi il volto preoccupato. Il dottor Sidiq osserva il piccolo, rivolge uno sguardo rassicurante verso la donna.

Scene che sono un esempio lampante della devastante crisi economica che sta vivendo l’Afghanistan, oggi isolato a livello internazionale, senza aeroporti, senza confini. Una prigione a cielo aperto che sta mettendo in ginocchio la popolazione, allo sbando totale, senza salari e senza lavoro. La fame aumenta. È questo che impensierisce in maniera particolare il nuovo regime talebano, squattrinato e che può contare, per ora, solo sulle esigue entrate doganali. Un circolo vizioso che rischia di far salire la soglia della povertà a livelli mai visti. E i mesi di dura guerra, il cambio di regime repentino e il caos pesano sul paese, mostrano ora i loro segni indelebili su una popolazione afflitta e straziata del lungo conflitto.

La crisi alimentare aumenta di giorno in giorno, l’Onu ha lanciato un forte allarme dicendo che entro la fine dell’anno 14 milioni di persone (su un totale di 34) potrebbe trovarsi in una situazione di grave insicurezza alimentare, e l’appello di Unicef è chiaro: a dicembre, più di 3 milioni di bambini sotto i 5 anni soffrirà di malnutrizione acuta. Un dato spaventoso, che è visibile non solo a Kandahar, ma in tutti gli ospedali e in tutte le città del paese.

Secondo il Dottor Sidiq però, le cose non stanno come sono raccontate a livello internazionale: “Non è colpa del nuovo governo. Per sviluppare un problema come la malnutrizione ci vogliono fino a sei mesi. Loro sono qui solo da tre. Il problema esisteva già prima, ma molti di loro arrivano dai distretti e dalle province confinanti, e prima la gente non poteva spostarsi per via della guerra. Molti di questi bambini erano già malati. Ora le famiglie li possono portare da noi più facilmente, possiamo constatare quanti sono numerosi i piccoli ammalati, e come ogni giorno aumentano di numero. Molto semplicemente, e molto drammaticamente, la gente non ha più soldi per garantire loro il cibo necessario” Per ora, Sidiq dice che meno del 10% dei pazienti internati muore. A suo dire, un dato rincuorante. Tuttavia, è Taiba, un’infermiera molto giovane nel reparto malnutrizione, a chiedere aiuto: “Con l’aumentare dei pazienti, non abbiamo personale sufficiente. Molti di noi non percepiscono il salario da 5 mesi”. “Ma siamo afghani e dobbiamo lavorare per la gente” aggiunge poi Sidiq.

Nel reparto di cure intense, al piano di sotto, i casi più gravi sono tenuti sotto controllo. “Questo bambino rischiava la vita”- dice Sidiq indicando la piccola Asma. “Vomitava e aveva diarrea allora l’ho portato qui” commenta, anch’essa coprendosi la faccia, Malika, la madre.

“Oltre alla mancanza di salari e di medicine, c’è il fatto che molti ospedali dei distretti non sono operativi perché le Ong internazionali li hanno abbandonati ad agosto: è grave. Nel settore della sanità le cose non sono cambiate con l’arrivo del nuovo governo”, sostiene il Dottor Musa Jan Sultani, vice responsabile della sede del ministero della salute a Kandahar da anni. “Lavoravo qui già durante la vecchia repubblica. La colpa non è dei Talebani ma delle agenzie straniere che non ci sostengono più. Perché non ci aiutano? La crisi economica non permette alla gente di comprare cibo, mangiano male e poco, c’è siccità, l’acqua è sporca. Inoltre, molti campi non sono coltivabili perché distrutti dalla guerra. Infine, prima chi poteva andava a farsi curare in India o in Pakistan. Ora però le frontiere sono chiuse e non ci sono soldi e tutti si riversano negli ospedali regionali come il Mirwais. Non abbiamo mezzi”.

La sanità è uno dei primi settori che sta collassando in Afghanistan. All’ospedale pediatrico Indira Gandhi di Kabul, un dottore sostiene che sono “gli stessi pazienti a dover comprare le medicine dalle farmacie, e poi venire in ospedale”. Secondo il Dottor Sidiq, i Talebani “ci hanno permesso di continuare a lavorare normalmente, come prima, senza toccare il nostro personale” ma Musa Jan Sultani lancia l’allarme: “Se la gente non riceverà i salari, forse fuggiranno. Molti medici lo hanno già fatto”.

Intanto, gli Stati Uniti hanno stanziato 144 milioni di aiuti umanitari al paese donati attraverso organizzazioni internazionali. Ma non può bastare. Il paese è nel caos totale. Non solo afflitto da una forma di terrorismo, che paradossalmente conoscevano anche i Talebani con l’aumento degli attentati perpetrati dall’ISK, e che ora non sembrano in grado di arginare; ma flagellato anche da una crisi senza precedenti a livello economico e sociale e un isolamento totale e preoccupante. I bambini piangono, hanno fame. E così anche i loro genitori, pronti davvero a tutto per farli mangiare. Anche a venderli.

Fotografie di Filippo Rossi

 

 

 

 






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