Meloni in modalità “teatrino”. E la foto finisce sul Wall Street Journal
In parlamento non più solo smorfie, sorrisetti e mani sugli occhi, ma anche la faccia nascosta nella giacca: ultima esibizione parlamentare di un “underdog” sempre ringhioso
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In parlamento non più solo smorfie, sorrisetti e mani sugli occhi, ma anche la faccia nascosta nella giacca: ultima esibizione parlamentare di un “underdog” sempre ringhioso
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In parlamento non più solo smorfie, sorrisetti e mani sugli occhi, ma anche la faccia nascosta nella giacca: ultima esibizione parlamentare di un “underdog” sempre ringhioso
Esemplare, l’altro giorno, l’esibizione alla Camera bassa. Il tenero abbraccio a Salvini (Biden preferisce baciarla sui capelli), per una photo-opportunity che dura solo il tempo dello scatto ma che dovrebbe bastare per mostrare al paese la pacificazione con il leghista, recalcitrante oppositore interno, una la spara e la successiva la prepara, con proclami che puntualmente si discostano dalla linea ufficiale dettata dalla “sorella d’Italia”. L’ultima – “quando il popolo si esprime bisogna rispettarne la volontà” – sul voto presidenziale nella Russia di Putin: 87% trionfale, comunque sempre meno di Stalin, da lui ammirato per la conservazione dell’impero (mica come quel mollaccione di Gorby), il baffone che sentenziava “le elezioni democratiche sono un bella cosa, il problema è che non puoi prevedere come finiranno”.
Ma a parte l’ex ‘capitano’ del Papeete, davanti alla platea di Montecitorio, Giorgia Meloni ha anche innovato, innescando una nuova modalità, la “modalità teatrino”. Non solo accigliamento risentito, sarcastici sorrisetti, smorfie di dolore. No, anche le mani sulle orecchie (tipo “hao, roba che nun se’ puo’ ascoltà”, in ciociaro antico), ma soprattutto l’istantanea che ieri è finita anche sulla front page del “Wall Street Journal”. La capa (pardon, “il” capo dell’italico “governo più a destra dopo Mussolini”) che nasconde la faccia coprendola del tutto con la sua giacca: messaggio implacabile di vergogna e sdegno per le parole in arrivo dai banchi dell’opposizione.
Un inedito nella “vivace” storia parlamentare romana, che ha visto anche stappare bottiglie di non eccelso spumante, affettare mortadelle, divorarle a gola esibita: sì, era il tempo di Prodi e della festosa manciata di deputati passati a destra, che il cavaliere B. aveva oliato con generose mance, come per le care “olgettine” delle “feste eleganti” ad Arcore. Segno dei tempi. Tanto il segaligno De Gasperi è ricordo solo dei matusa nostalgici; e in ogni caso la maggioranza (relativa) degli italiani ha memoria corta, per esempio nemmeno ricorda che sei anni fa praticamente le stesse affermazioni riservate al capo del Cremlino da Salvini (ufficialmente corretto dal governo con imbarazzo) le aveva usate anche lei, la signora Meloni, per congratularsi pubblicamente dopo la vittoria elettorale, sempre plebiscitaria, dello zar russo.
Ma chi “se ne frega” (da vocabolario mussoliniano: ma per carità la signora no, non è né fascista né post-fascista secondo analisti anche “non allineati”), visto che i sondaggi, e qualche test elettorale, non la schiodano dal primato. Anche nella Sardegna dove si è imposta sì una pentastellata di valore, ma la destra-destra ha vinto nel voto popolare; rifacendosi poi negli Abruzzi governati da un suo fedelissimo che passa molta parte del suo tempo a Roma e non a Pescara. E che potrebbe imporsi anche nelle prossime consultazioni regionali, sempre grazie ai pasticci del nemico “campo largo” (anzi “largissimo”): per esempio in Basilicata, dove inverosimili candidati della sinistra saltano come birilli o si ritirano per pavidità (“prendo atto del clima diviso creato dalla mia persona”, ha detto uno, che al momento dell’accettazione era arrivato a confessare “ma poi io di politica proprio non me ne intendo”). Quando la diagnosi è in verità assai chiara oltre che impietosa: il “campo largo” è per lo più marcato da steccati insuperabili, quei riottosi del centro (Renzi, Calenda) se ne stanno il più delle volte per conto loro e occasionalmente trasmigrano addirittura nel triangolo meloniano, per non parlare di Conte Giuseppe, il voltamarsina che ci sta solo se può eleggere uno (o una) dei suoi (altrimenti gli elettori ex grillini alle urne manco si avvicinano), e che non avrà pace fin quando il PD non gli darà l’appoggio per garantirgli il ritorno a Palazzo Chigi.
Con l’instancabile Elly Schlein testardamente a ripetere che prima o poi (più poi che prima, a quanto sembra) nel “campo largo” crescerà l’erba da pascolo e darà i suoi frutti. Ormai da tempo me la svigno quando (invero e comprensibilmente assai di rado) mi chiedono cosa ne pensi della situazione politica italiana. Rispondo eludendo: meglio parlare di Balcani e Medio Oriente. Meno complicato.
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