Che cosa ci separa dal baratro
Le istituzioni conservano ancora la capacità di tessere reti di sicurezza abbastanza resistenti da attutire le cadute più dolorose. Spetta tuttavia alla politica il dovere di conservarle
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Le istituzioni conservano ancora la capacità di tessere reti di sicurezza abbastanza resistenti da attutire le cadute più dolorose. Spetta tuttavia alla politica il dovere di conservarle
• – Redazione
Non significa, sebbene si tratti di una posizione scomoda, che la componente più «nazionaleuropeista» dell’estrema destra non possa rendersi assai utile in un gioco di sponda con il governo dell’Unione sugli aspetti più discriminatori o aggressivi della sua politica
• – Redazione
All’Asilo Ciani di Lugano, fino a domenica, una mostra apre le porte alle iniziative della Casa dos Curumins, creata da una coppia ticinese per sostenere bambini e adolescenti della favela brasiliana di Pedreira a sud di São Paulo
• – Michele Ferrario
Una ricerca universitaria indica che l'opinione degli abitanti dell'UE è più aperta a soluzioni concrete di quanto si vuole far credere
• – Redazione
Le ondate migratorie sono guidate da criminali che prosperano grazie al clima politico nei loro Paesi.
• – Redazione
Il saggista e scrittore americano sull’uomo scelto da Trump come candidato alla vicepresidenza: “Servirà per intercettare i voti di quelli che Hillary Clinton definì con elitismo ‘deplorevoli’. Ma bisogna ricordare che JD oggi è un venture capitalist ricchissimo. C’è qualcosa di ipocrita”
• – Redazione
Ottenuta la sconfitta dell'estrema destra, il presidente francese lascia per ora al parlamento la ricerca di una maggioranza: nulla di più estraneo alla cultura politica della Quinta Repubblica, soprattutto con una sinistra divisa e litigiosa
• – Mario Conforti
Malgrado non ci siano scenari di penuria il CF vuole realizzare nuove, costosissime centrali di emergenza a gas - Di Bruno Storni
• – Redazione
L'uberizzazione avanza e snatura il mondo. Le app massimizzano il profitto, non guardano in faccia a nessuno e se ne infischiano delle conseguenze sociali. A Milano come in Svizzera, e in tutte le località turistiche
• – Gino Banterla
Siamo passati dai massacri del Novecento a un’epoca dominata da un consenso elitario. Il vuoto è stato colmato da giudizi di tipo etico che rendono impossibile il dialogo
• – Redazione
Le istituzioni conservano ancora la capacità di tessere reti di sicurezza abbastanza resistenti da attutire le cadute più dolorose. Spetta tuttavia alla politica il dovere di conservarle
È solo questione di tempo prima che qualche regista hollywoodiano si cimenti nella sceneggiatura di un futuro distopico, distante dal nostro presente solo un paio di centimetri: quelli tra l’orecchio di Donald Trump e il suo cervello. Il proiettile colpisce il bersaglio ed innesca un’immediata spirale di violenza. In un attimo l’America piomba nella guerra civile che da lì a poco si propaga all’intero pianeta.
Un’avvincente trama di fantapolitica che, per fortuna, non si è materializzata nella realtà. Di concreto è rimasta tuttavia l’apprensione collettiva di quei momenti che non è solo stata chiaramente tangibile, ma anche rivelatrice dello stato di inquietudine che pervade il nostro vivere contemporaneo: la sensazione di essere davvero ad un passo dall’Apocalisse e che basti una mira di poco più precisa per scatenarla. Sfogliando ogni giorno le pagine dei quotidiani rabbrividiamo al pensiero di cosa potrebbe accadere se un razzo di Hezbollah colpisse un autobus di civili anziché una casa evacuata a pochi metri di distanza, se l’ennesimo missile russo riuscisse nell’intento di centrare Zelensky, o se una nave cinese speronasse davvero un cacciatorpediniere USA nello stretto di Taiwan. Ma il baratro è davvero così vicino? Dalle Idi di Marzo all’11 Settembre, siamo consapevoli di come la storia sia stata talvolta modellata anche da singoli eventi decisivi, tanto brutali quanto inattesi. Certo, nell’epoca del controllo totale, l’incapacità di prevedere e di anticipare ogni circostanza ci appare sempre più intollerabile. Ma ciò che oggi ci spaventa davvero è l’impossibilità di governarne le conseguenze.
È un fantasma che abbiamo già incontrato in passato: quando nel 1914 un unico colpo di pistola sparato a Sarajevo fu all’origine di 15 milioni di morti, l’Europa divenne così cauta che Hitler dovette letteralmente calpestarne ogni frontiera prima che scoppiasse un altro conflitto. La potenza distruttrice che spazzò via Hiroshima segnò un altro punto di svolta nel riconoscere la necessità di contromisure efficaci per impedire che le ambizioni di singoli individui o la banalità di un errore balistico potessero decretare la fine dell’umanità. Così, nel 1963, di fronte a un Presidente assassinato, gli americani nemmeno accennarono a insorgere, né contro sé stessi, né contro il mondo, sebbene il baratro lo avessero quasi toccato con mano soltanto un anno prima al largo delle coste cubane.
La Guerra Fredda rese palese quanto fosse pericoloso basare la sicurezza del mondo su scelte individuali e dinamiche personali. Non si poteva più rischiare di dipendere da governanti in grado di decidere da soli, in base a sentimenti di odio o empatia, verso altri potenti o verso i loro popoli. La soggettività era troppo pericolosa proprio perché imprevedibile: bisognava portare la politica oltre le persone, all’interno di un’architettura istituzionale capace di sopravvivere ai singoli, in cui l’eliminazione del leader non sarebbe coincisa con il collasso dell’ordine. Gli americani orfani di Kennedy dimostrarono di fidarsi del sistema che avevano costruito e delle procedure che ne garantivano il funzionamento. A livello internazionale, ONU e organismi multilaterali assicuravano che gli impegni presi da una Nazione di fronte al mondo perdurassero indipendentemente dalla sorte personale di chi li aveva firmati. Sul fronte interno, la garanzia veniva dalle istituzioni democratiche, chiamate a vigilare affinché qualsiasi scelta non fosse espressione della volontà di un singolo, ma emanazione della comunità che rappresentava.
Oggi, queste stesse istituzioni, dall’ONU ai partiti, ci appaiono sempre più svuotate di legittimità: il multilateralismo è sconfessato insieme al rispetto dei suoi trattati, le forze politiche preferiscono affidarsi alla ricerca di un capo salvifico piuttosto che a orientamenti culturali e programmi condivisi. Assistiamo al ritorno del personalismo e finiamo per far coincidere le nostre paure ed aspirazioni con la sorte di un solo individuo. Così, mentre Trump diventa il distruttore o il salvatore dell’America, il fronte opposto arranca in mancanza di un rivale adeguato. Ogni guerra a sua volta degenera in un ring su cui si affrontano acerrimi nemici: Putin e Zelensky, Netanyahu e Sinwar. Uno scenario in cui cresce la percezione che basti davvero una pallottola ben indirizzata per far deflagrare l’intero mondo. In parte è solo una nostra sensazione: le istituzioni conservano ancora la capacità di tessere reti di sicurezza abbastanza resistenti da attutire le cadute più dolorose. Spetta tuttavia alla politica il dovere di conservarle.
Nell’immagine: Donald Trump a Milwaukee per la convention repubblicana
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