Il video è diventato virale, migliaia di persone hanno reagito in preda alla disperazione di sapere se quella donna dal vestito nero fosse la loro amica, la loro sorella o la loro figlia scomparsa.
Una famiglia ha capito subito di chi si trattasse: era Gal Abdush, madre di due bambini, proveniente da una cittadina della classe operaia nella parte centrale diIsraele, scomparsa dal rave quel giorno insieme a suo marito.
Quando i terroristi l’hanno accerchiata, intrappolata sull’autostrada in una fila di automobili con persone in fuga dal rave, la donna ha spedito un ultimo messaggio su WhatsApp alla sua famiglia: “Non potete capire”.
In base soprattutto a quello che il video documenta – e che il New York Times ha verificato – gli agenti della polizia israeliana hanno detto di credere che Gal Abdush è stata violentata ed è diventata un simbolo della ferocia inferta alle donne e alle giovani israeliane durante gli attacchi del 7 ottobre.
Fonti israeliane dicono che, ovunque hanno colpito – al rave party, nelle basi militari lungo il confine con la Striscia di Gaza, nei kibbutz –, i terroristi di Hamas hanno stuprato le donne. Un’indagine condotta per due mesi dal Times ha portato a scoprire nuovi incresciosi dettagli, e ha permesso di giungere alla conclusione che le violenze contro le donne non sono stati eventi isolati, ma fasi a tutti gli effetti dello schema di generalizzata violenza di genere del 7 ottobre.
Facendo affidamento sulle riprese filmate, le fotografie, i dati dei Gps dei telefoni cellulari e le interviste a oltre 150 persone, compresi testimoni, personale medico e paramedico, soldati e consulenti esperti di casi di stupro, il Times ha individuato almeno sette località nelle quali le donne e le giovani israeliane sono state vittime di violenza sessuale o sono state mutilate.
Quattro testimoni hanno descritto nei particolari di aver assistito allo stupro e al massacro di donne in due luoghi diversi lungo la Strada 232, la medesima autostrada dove, in una terza località, è stato trovato riverso a terra il corpo seminudo di Abdush.
Il Times ha intervistato numerosi soldati, volontari e sanitari che nel complesso hanno recuperato più di una trentina di corpi di donne e giovani vicino al sito dove si stava svolgendo il rave party e in due kibbutz. Erano in condizioni simili a quelle di Abdush: a gambe divaricate, con i vestiti strappati, con segni di violenza nell’area dei genitali.
Hamas ha respinto le accuse di violenza sessuale sporte da Israele. Gli attivisti israeliani si sono indignati quando il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres e l’agenzia UN Women non hanno preso atto delle molteplici accuse, se non alcune settimane dopo gli attacchi.
Gli investigatori della più importante unità della polizia nazionale israeliana, la Lahav 433, hanno raccolto immediatamente le prove, ma non hanno saputo quantificare quante donne siano state stuprate, affermando che per la maggior parte erano morte – e sepolte – e che non si conoscerà mai il loro numero esatto. Nessun sopravvissuto si è espresso ufficialmente in merito.
La polizia israeliana ha ammesso che, nello shock e nella confusione generale del 7 ottobre, il giorno più funesto nella storia di Israele, non si è adoperata per raccogliere campioni di liquido seminale dai corpi delle donne, né per richiedere autopsie o esaminare da vicino le scene dei crimini. In quel momento, hanno detto le autorità, gli agenti erano impegnati a respingere Hamas e a identificare i corpi dei morti.
Il mix di caos, enormi sofferenze e pratiche religiose previste dall’ebraismo ha fatto sì che molti corpi siano stati seppelliti senza indugio. La maggior parte di essi non è stata ispezionata. In qualche caso, come il massacro al rave party, in poche ore sono state trucidate più di 360 persone, i cui corpi sono stati portati via a bordo di camion.
Questo significa che le autorità israeliane non sono in grado di spiegare alle famiglie che cosa sia accaduto ai loro cari negli ultimi istanti della loro vita. I parenti di Abdush, per esempio, non hanno mai ricevuto un certificato di morte. Stanno aspettando risposte ancora adesso.
“Urla senza parole”
Sapir, una giovane ragioniera di 24 anni, è diventata una dei testimoni chiave della polizia israeliana. Non vuole essere identificata, afferma che, qualora il suo cognome fosse reso noto, sarebbe ricercata per il resto della sua vita.
Sapir aveva partecipato al rave party in compagnia di molti amici. Durante un’intervista di due ore rilasciata nel chiosco di un bar della zona sud di Israele, ha raccontato di aver visto gruppi di uomini che imbracciavano armi pesanti violentare e uccidere almeno cinque donne.
Sapir ha detto che alle 8 di mattina del 7 ottobre si è nascosta sotto i rami bassi di un folto albero di tamerice, poco distante dalla Strada 232, a circa 6,5 chilometri a sudovest dal luogo del rave party. Era stata colpita alla schiena. Si sentiva svenire. Si è ricoperta di sterpi ed è rimasta lì, più ferma possibile.
A circa una quindicina di metri dal suo nascondiglio, ha detto di aver visto moto, macchine e furgoni avvicinarsi e un centinaio circa di uomini radunarsi. Perlopiù indossavano uniformi militari e anfibi, alcuni erano in tuta nera. Sono scesi dai veicoli, si sono fermati lungo la strada e si sono scambiati fucili d’assalto, bombe a mano, piccoli missili e donne gravemente ferite.
La prima vittima che Sapir ha visto è stata una giovane dai capelli ramati: aveva la schiena macchiata di sangue e i pantaloni abbassati a metà gamba. Un uomo l’ha tirata per i capelli e l’ha fatta inginocchiare. Un altro l’ha stuprata. Sapir ha detto di aver visto che ogni volta che la giovane barcollava, l’uomo le affondava un coltello nella schiena.
Sapir ha poi detto di aver visto un’altra donna “fatta a pezzi”. Mentre un terrorista la violentava, un altro le ha mutilato il seno con un taglierino. “Uno di loro continuava a stuprarla e gli altri si tiravano il suo seno, l’hanno lanciato fino a quando è caduto a terra”.
Sapir ha detto che gli uomini poi hanno mutilato anche il viso di quella giovane, poi sparita ai suoi occhi. Più o meno nello stesso momento, ha assistito allo stupro di altre tre donne, e ha visto i terroristi portarsi via le teste mozzate di altre tre ancora.
Sapir ha mostrato le fotografie del suo nascondiglio e delle sue ferite, e gli agenti della polizia hanno confermato la sua testimonianza e reso pubblico un video nel quale la giovane dal volto irriconoscibile riferisce parte di quello che ha visto.
Quella stessa mattina, lungo la Strada 232 ma in un punto diverso, a circa 1,5 chilometri a sudovest da dove si era svolto il party, Raz Cohen, un giovane israeliano che partecipava al rave, ha detto di essersi nascosto nel letto asciutto di un ruscello. Nell’intervista di un’ora e mezzo che ha rilasciato, dice di aver trovato riparo dagli aggressori che stavano passando al setaccio tutta la zona, ammazzando chiunque trovassero. A circa 35 metri di fronte a lui, ha riferito, ha visto accostare un furgoncino, che poi ha spalancato le portiere. Ha visto cinque uomini in abiti civili, armati di coltelli e di martello, trascinare una donna per terra. Era giovane, era nuda e urlava.
“Si sono disposti a semicerchio attorno a lei” ha detto Cohen. “La giovane era in piedi. Hanno iniziato a stuprarla. Uno la violentava. La giovane gridava. Ricordo ancora la sua voce. Urla senza parole. Poi un uomo ha sollevato un coltello e l’ha massacrata”.
A distanza di ore, la prima ondata di medici d’emergenza e sanitari volontari è arrivata al sito del rave party. Nelle interviste, quattro di loro hanno detto di aver scoperto i cadaveri di donne morte con le gambe divaricate e senza biancheria addosso. Alcune avevano le mani legate da corde e fascette di plastica. Erano dappertutto, lungo la strada, nella zona dei parcheggi e nei campi aperti intorno al luogo del rave.
Scoperte simili sono state fatte anche in due kibbutz, a Be’eri e Kfar Aza. Otto medici volontari e due soldati israeliani hanno raccontato al Times che in almeno sei edifici diversi si sono imbattuti nei corpi di almeno 24 donne e giovani nude o seminude, alcune delle quali mutilate, altre legate e spesso sole.
La donna dal vestito nero
In una delle ultime sequenze in cui compare viva – colta da una telecamera di sicurezza installata sulla porta di casa sua – si vede Gal Abdush uscire di casa insieme a suo marito Nagi alle 2,30 di notte del 7 ottobre, diretta al rave.
All’alba, centinaia di terroristi si sono avvicinati a quella località da parecchie direzioni, bloccando le uscite dell’autostrada. La coppia è salita a bordo della loro Audi, e ha lanciato una serie di messaggi frenetici mentre si metteva in moto. “Siamo a bordo”, ha scritto Abdush alla sua famiglia. “Stiamo andando via”. “Si sentono esplosioni.”
Suo marito Nagi ha chiamato i suoi famigliari, lasciando poi un messaggio audio al fratello Nissim alle 7,44: “Prenditi cura dei bambini, ti voglio bene”. Colpi di arma da fuoco hanno messo fine al messaggio.
Una settimana dopo il ritrovamento del corpo di Gal Abdush, tre assistenti sociali del governo hanno bussato alla porta della casa di famiglia a Kiryat Ekron, piccola cittadina nel centro di Israele. Hanno riferito che Abdush, 34 anni, era stata trovata morta.
L’unico documento ricevuto dalla famiglia, però, è una lettera prestampata di una facciata, proveniente da Isaac Herzog, nella quale il presidente israeliano esprime le sue condoglianze e manda un abbraccio. Il corpo del marito, Nagi Abdush, 35 anni, è stato identificato dopo due giorni. Era carbonizzato e gli investigatori ne hanno potuto determinare l’identità solo con un campione di Dna e dalla fede nuziale.
La giovane coppia stava insieme dai tempi dell’adolescenza. Per i loro famigliari, sembra soltanto ieri che Nagi Abdush andava al lavoro per riparare scaldabagni, con una borsa di attrezzi sulle spalle, e Gal Adush preparava il purè di patate e cotolette per i loro due bambini, Eliav di 10 anni e Refael di 7.
I bambini adesso sono orfani. La notte in cui sono stati uccisi i loro genitori, i due piccoli dormivano a casa di una zia. La madre e il padre di Gal Abdush hanno presentato richiesta di affidamento esclusivo.
Tutte le sere, la madre di Gal Abdush, Eti Bracha, si sdraia nel letto dei bambini per stare loro accanto mentre si addormentano. Alcune settimane fa, mentre si allontanava dalla loro camera in silenzio, il bimbo più piccolo l’ha fermata, e le ha detto: “Nonna, vorrei chiederti una cosa”.
“Tesoro” ha risposto Eti, “puoi chiedermi tutto.”
“Nonna, come è morta mamma?”
Traduzione di Anna Bissanti
© 2023, The New York Times