Anche in musica, a volte, meglio soli che accompagnati
In un nuovo CD gran parte della trionfale serie di concerti che Antonello Venditti e Francesco De Gregori hanno proposto in coppia per oltre un anno e mezzo
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In un nuovo CD gran parte della trionfale serie di concerti che Antonello Venditti e Francesco De Gregori hanno proposto in coppia per oltre un anno e mezzo
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In un nuovo CD gran parte della trionfale serie di concerti che Antonello Venditti e Francesco De Gregori hanno proposto in coppia per oltre un anno e mezzo
«Due fratelli allattati dalla stessa lupa»: così Francesco De Gregori ha riassunto il suo legame con Antonello Venditti, l’altro cantautore romano sulla breccia da ormai mezzo secolo. Quasi 75 anni il primo, quasi 73 il secondo, i due hanno appena concluso un tour monstre che li ha portati a girare, in lungo e in largo, stadi, teatri e palazzetti di tutta Italia. L’inizio (16 giugno 2022) e la fine (23 dicembre 2023) non poteva dunque che aver luogo nella Città eterna. Eterna, come eterni e inscalfibili sono i due artisti, che avevano iniziato insieme il loro percorso al Folk Studio di Roma proponendo, in italiano, le canzoni di Leonard Cohen e Bob Dylan, incidendo un 33 giri, Theorius Campus, nel 1972 e separandosi poco dopo, ognuno per la propria strada.
La serie di concerti dal vivo appena conclusa è dunque stata anche un modo per ricordare, mezzo secolo più tardi, quegli inizi incerti che a nessuno dei due lasciavano presagire una carriera tanto lunga e fortunata. Se i loro siti informano corrrettamente, tra dischi di inediti, raccolte e live il Principe (con cui mi schiererei nel gioco della torre) ha pubblicato sin qui la bellezza di 49 album; Venditti lo tallona da vicino con 46. Entrambi hanno al loro arco una serie di luminose frecce in grado di far centro anche dopo innumerevoli ascolti. Tagliando giù di grosso, Venditti è più pop, piacione, a tratti caciarone, mentre in De Gregori, riservato e discreto, più della voce è l’autorialità testi ad imporsi. Venditti in uno stadio è perfetto, De Gregori emoziona in spazi più ridotti, chiusi, intimi, benché gli stadi li abbia anch’egli ben frequentati, da solo e in memorabili tournées (con Lucio Dalla e Ron nel 1979, pubblicato in Banana Republic; con Pino Daniele, Fiorella Mannoia e Ron nel 2002, riascoltabile nel bellissimo doppio In tour; ancora con Dalla nel 2010, che ritroviamo nel bellissimo Work in progress).
Venditti non ha mai mutato registro e anche oggi la voce – potente, a tratti gridata – è quella che negli anni Settanta e Ottanta cantava Bomba o non bomba, Sotto il segno dei pesci, Grazie Roma (diventata inno della squadra di calcio giallorossa, che Antonello registrò l’8 marzo 1983, nel giorno del suo 34° compleanno).
De Gregori – che ha pubblicato 8 dischi dal vivo (Venditti addirittura 10) – ha più spesso cambiato registro e cifra musicale sia tra un disco e l’altro che nei live: sulla falsariga del suo modello riconosciuto, Bob Dylan (di cui ha anche tradotto 10 canzoni pubblicate nel 2015 nell’album Amore e furto), è spesso riuscito a rendere quasi irriconoscibili alcuni suoi capolavori degli esordi (Rimmel, Generale, Pablo) che gli estimatori continuano a chiedergli ad ogni esibizione e che lui per anni ha riproposto in versioni sporcate: un borbottio talvolta nasale, talvolta (volutamente?) stonato, a tratti irritante.
Ceci dit, il tour appena concluso – durante il quale si è fra l’altro anche consumato il dramma, per De Gregori, della perdita della moglie Chicca – è stato un “evento” visto da circa 400 mila persone, che hanno sborsato tra i 50 e i 100 euro ciascuna e rivive ora in un CD (o doppio vinile, di cui sono state stampate, per 90 euro, anche 500 copie numerate e autografate). Si intitola Il concerto live, contiene 17 brani, quasi tutti abbondantemente sopra i 4’30”: un’ora e mezza di parole e suoni che costituiscono una sorta di best of the best del repertorio quasi sconfinato dei due. Scorrendo la lista dei titoli, equamente suddivisa tra le canzoni dei due, c’è davvero molto di quanto uno può aspettarsi di sentire. C’è, inoltre, ad accompagnarli sul palco, un’orchestra di 11 elementi in cui convivono alcuni dei musicisti di ognuno dei due. Spicca il sassofono di Amedeo Bianchi: sax che ha un ruolo centrale in un capolavoro vendittiano come Modena (1979) e nella sua versione di Don’t Dream It’s Over intitolata Alta marea (1992): Autostrade deserte ai confini del mare…. Ricordate? Lì il sax lo suonava l’immenso Gato Barbieri.
Proprio in un brano come Modena – il più lungo, 7 minuti e 25 secondi – è tangibile, anzi udibile la differenza timbrica tra i due artisti, che anche in altre canzoni mette in palese difficoltà l’uno quando è chiamato ad interpretare canzoni dell’altro. Ad un ascolto attento, il gioco funziona solo in parte: De Gregori si trova spiazzato perché semplicemente non è fatto per interpretare Sotto il segno dei pesci o In questo mondo di ladri, mentre Venditti se la cava meglio alle prese con Bufalo Bill, Generale, Sempre per sempre e La donna cannone (“la canzone che avrei voluto scrivere io” ha detto). In nessuna delle 17 canzoni, tuttavia, l’interpretazione offerta in questo CD raggiunge nemmeno lontanamente le versioni originali e le varianti offerte, nel corso dei decenni, dai loro rispettivi autori.
Durante il tour i due amici hanno suonato anche altri pezzi non compresi nel CD, ma facilmente ascoltabili su YouTube: Ci vorrebbe un amico, Dimmelo tu cos’è, Alice, Santa Lucia, Titanic e, in omaggio a Lucio Dalla, Canzone.
Proprio riascoltando i due dischi dal vivo che De Gregori fece con Dalla (Banana Republic, del 1979, e Work in progress, del 2010) è palese quanto superiore fosse il suo grado di affinità con il bolognese rispetto a quello con Venditti.
Ecco allora che nel CD appena uscito l’emozione arriva quando, insieme, Venditti e De Gregori interpretano – in chiave acustica e quasi intima – Dolce signora che bruci, brano del loro disco d’esordio, il già menzionato Theorius Campus del 1972, da poco ripubblicato: anche allora solo 2 delle 12 canzoni erano state cantate in coppia; le altre 10 solo dai rispettivi autori). Il meglio, però, è nell’affondo degregoriano che, a metà concerto, infila due perle come San Lorenzo e La donna cannone.
Insomma, un disco per aficionados di due artisti che sono stati colonna sonora di alcune generazioni; una raccolta di brani che quelli della mia età sanno a memoria e cantano oggi con un pizzico di nostalgia. Ma non un capolavoro: per ritrovare le gemme vere nella discografia di entrambi, meglio ricorrere agli originali o andarli a sentire quando cantano ognuno per conto proprio.
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