Dove vanno le armi?
Il nuovo database “ExitArms” rintraccia le esportazioni sospette, ma con la guerra in Ucraina giudizi e valutazioni sono più difficili
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Il nuovo database “ExitArms” rintraccia le esportazioni sospette, ma con la guerra in Ucraina giudizi e valutazioni sono più difficili
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Il nuovo database “ExitArms” rintraccia le esportazioni sospette, ma con la guerra in Ucraina giudizi e valutazioni sono più difficili
Le organizzazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti umani Facing Finance e Urgewald hanno pubblicato questa settimana il database “ExitArms”. Si tratta del primo database pubblico e mondiale sulle imprese coinvolte nell’esportazione di armi verso delle parti in conflitto. Il suo lancio è sostenuto da ENAAT, la rete europea contro il commercio di armi. Ad oggi si hanno i dati dal 2015 al 2020. Sono elencate circa 500 aziende coinvolte in quasi 1.400 esportazioni di armi lungo tutta la catena di approvvigionamento, sia direttamente che tramite filiali o joint ventures. Tali esportazioni hanno rifornito 33 “clienti” implicati in 52 guerre, per la maggior parte interne agli stati.
Il punto di partenza del database è il Barometro dei Conflitti di Heidelberg, che permette di selezionare, da una parte, i conflitti che raggiungono un certo livello di intensità e gli attori coinvolti, e dall’altra il database del SIPRI sui trasferimenti di armi, che ci rivela i trasferimenti internazionali delle principali armi convenzionali.
Successivamente le due associazioni hanno studiato meticolosamente la “catena di approvvigionamento delle armi” a livello di impresa, dalla concezione dell’arma o del sistema di armamenti prodotto, fino al suo trasporto.
L’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, l’Egitto, l’India e il Pakistan compaiono tra i paesi belligeranti più riforniti al mondo tra il 2015 e il 2020. Le tre guerre più alimentate e rifornite di armi sono la guerra in Libia, quella in Yemen e il conflitto nel Kashmir. Le dieci imprese che hanno maggiormente rifornito le parti in guerra in questo periodo sono: Rostec (21 belligeranti), Raytheon e Airbus (14 ciascuna), Leonardo (13), Lockheed Martin (12), BAE Systems, Pratt & Whitney e Boeing (10 ciascuna), AVIC e Rolls-Royce (9 ciascuna).
La UE non dovrebbe finanziare imprese che forniscono armi a parti in conflitto. Tra queste dieci, Leonardo è il primo beneficiario del Fondo europeo per la difesa (FED), un programma UE dedicato a ricerca e sviluppo di armamenti a partire dal 2017. L’azienda ha finora ricevuto 28 milioni di euro da soldi dei contribuenti europei per sviluppare armi di prossima generazione. Airbus è il quinto beneficiario del fondo con sovvenzioni europee che finora ammontano ad almeno 10 milioni di euro.
Tra i primi dieci beneficiari del fondo FED per il periodo 2017-2020, otto sono attualmente registrati nel database ExitArms come fornitori di armi a parti in guerra: Leonardo, Indra, Safran, Thales, gruppo Airbus, Saab, Hensoldt e KMW-Nexter. Laetitia Sédou, incaricata del progetto all’ENAAT, avverte: “Per evitare che gli armamenti finanziati dall’UE non finiscano per alimentare i conflitti, essa dovrebbe applicare norme più severe nella selezione dei progetti nel quadro del fondo europeo per la difesa, e in particolare non finanziare le aziende militari che sono solite esportare verso parti ingaggiate in conflitto.”
Il settore finanziario dovrebbe rifiutare il “greenwashing” dell’industria degli armamenti
Negli ultimi decenni le banche, le compagnie di assicurazione e i fondi pensione hanno cominciato ad adottare norme internazionali dell’ONU e dell’OCSE, che predicano il rispetto dei diritti umani nelle pratiche commerciali, tra i quali criteri sociali ed etici.
“L’industria della difesa sembra ritenere che ad essa non si applichino gli standard etici e sociali internazionali”, ricorda Thomas Küchenmeister. Se il settore finanziario non vuole diventare una semplice “macchina di greenwashing”, perdendo così ogni credibilità, non deve mai classificare l’industria degli armamenti come sostenibile o sociale”.
“Il database ExitArms ci mostra soltanto la punta dell’iceberg”, aggiunge Niels Dubrow, esperto di armamenti presso Urgewald, ma dimostra empiricamente che l’industria delle armi non ha alcuno scrupolo e arma sistematicamente le parti in guerra. Finché sarà questo il caso, le aziende elencate nel database dovrebbero essere escluse da prestiti, assicurazioni, investimenti e mandati di sottoscrizione da parte delle istituzioni finanziarie.”
Facing Finance, Urgewald e l’ENAAT criticano l’attuale tendenza delle singole istituzioni finanziarie ad allentare le politiche e/o d’investimento esistenti in materia di esportazione di armi. Nonostante l’attacco russo all’Ucraina sia al momento utilizzato come giustificazione, questa tendenza è cominciata ben prima della guerra, come illustra il vivace dibattito sulla tassonomia dell’UE, sotto forte influenza della lobby dell’industria degli armamenti.
Traduzione dal francese di Diego Guardiani, revisione di Dominique Florein
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