Giornalisti come lavatrici
La crisi dell’informazione, il rapporto delicato fra giornalismo e IA ed una trasmissione radiofonica che ospita, fra gli altri, un politico in vena di stravaganti sillogismi
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La crisi dell’informazione, il rapporto delicato fra giornalismo e IA ed una trasmissione radiofonica che ospita, fra gli altri, un politico in vena di stravaganti sillogismi
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La crisi dell’informazione, il rapporto delicato fra giornalismo e IA ed una trasmissione radiofonica che ospita, fra gli altri, un politico in vena di stravaganti sillogismi
“Tsunami IA”, così il presidente degli editori Andrea Masüger ha definito l’avanzare dell’intelligenza artificiale nei media. Il che dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, la scarsissima conoscenza sua e probabilmente della maggioranza degli attuali editori e dei loro manager di cosa realmente faccia il giornalista, di che mestiere sia e di come lo si fa: perché un algoritmo di machine learning moderno non è concettualmente differente da un telaio Jacquard programmabile con schede perforate del diciottesimo secolo; semplicemente, si tratta di un programma che fa ciò che è stato istruito a fare, pertanto incapace di creare qualsiasi contenuto autonomo o che vada al di là di una, magari pur ottima, computazione antropica. L’analisi, la sintesi e la creatività sono ancora un’altra cosa.
È qui che sta il vero problema dei nostri manager-editori: non conoscono le basi, la storia, lo sviluppo che ha avuto nei secoli e le regole attuali del fare informazione e dei modelli di business che si sono avvicendati fino ad arrivare a quello attuale (in crisi, appunto) e pensano davvero di riuscire se non a progettare per lo meno intravvederne un futuro? Ovvio che no. Così continuano a brancicare nel buio più o meno profondo, o a riproporre schemi consueti destinati fatalmente al fallimento.
Premessa necessaria: nella citata puntata di “Modem”, 30 minuti, che poi si riducono a circa 25 se si tolgono sigla e presentazione del tema e degli ospiti, per approfondire un argomento tanto variegato e complesso come appunto la crisi dell’informazione e l’avvento irruente e impetuoso di ChatGPT nel settore, è impresa ardua; se poi gli ospiti sono quattro – due politici, un rappresentante degli editori e uno dei giornalisti – con un tempo medio di intervento di circa 6 minuti a testa diventa praticamente impossibile.
Malgrado ciò, alcune cose interessanti sono emerse.
Ad esempio i sindacati e le associazioni di categoria dei professionisti dei media (grazie per prenderne finalmente nota: i sindacati del settore sono SSM e Syndicom, non Impressum, che è solo un’associazione professionale), hanno confessato candidamente la loro impotenza, perché manca ormai da circa un ventennio il dialogo con gli editori e perché la categoria malgrado tutte le avvisaglie, malgrado la costante crisi generale e i piccoli cataclismi avvenuti in questi ultimi anni – basti pensare in Ticino alla chiusura del GdP e di altre storiche testate – malgrado l’ondata di licenziamenti avuta lo scorso anno – poco meno di 300 posti di lavoro a tempo pieno – e quelli già annunciati questo mese – 75 al gruppo Ringier – malgrado l’erosione della sua immagine pubblica, delle condizioni di lavoro e della qualità dei prodotti, di serrare i ranghi e di mobilitarsi proprio non ne vuole sapere.
Gli editori dal canto loro viste queste premesse hanno confermato di non aver alcuna intenzione di sedersi a un tavolo per trovare soluzioni comuni con i loro dipendenti. Le ultime proposte per ripristinare dopo oltre quindici anni di assenza un Contratto Collettivo di Lavoro (una su tutte: salario minimo a 4800 franchi lordi per un giornalista laureato e dopo due anni di stage a stipendio da fame) rasentavano l’indecenza, forse l’oltrepassavano, e l’ennesimo annuncio dell’ennesima apertura delle trattative con sindacati e associazioni per trovare un accordo che garantisca ai dipendenti salari adeguati e condizioni di lavoro eque ed ottimali – dopo tutto gli editori malgrado l’IA ci pare abbiano ancora bisogno di giornalisti e tecnici che producano notizie e contenuti originali e di qualità – sembra l’ennesima foglia di fico, messa lì per nascondere le loro reali intenzioni.
A conferma di ciò il CEO del gruppo Corriere del Ticino Alessandro Colombi, un ingegnere prestato all’editoria circa un decennio fa, forse un po’ incautamente ha affermato di essere “abbastanza critico sul contratto collettivo di lavoro” per i giornalisti, ché “non è con un contratto di lavoro che si risolvono i problemi dell’editoria e dei dipendenti”. Forse è per questo che la sezione ticinese di Stampa Svizzera non ha mai risposto alle lettere di Syndicom e Impressum in proposito, come cortesia e buona educazione imporrebbe.
O forse anche perché, oltre a spiegare un po’ orgogliosamente che nel gruppo nessun giornalista lavora gratuitamente (vero: i compensi per i freelance sono tali da non permettere a nessuno di riuscire a vivere con quanto riceve neppure se scrivesse diversi articoli ogni giorno tutti i giorni dell’anno, però una miseria la ricevono) a suo dire il CdT già oggi rispetta “tutti quelli che sono i minimi salariali, vacanze, ferie ecc.”.
Probabilmente è vero, ma oltre al fatto di dimostrare con quest’ultima frase di non sapere cosa sia davvero un CCL, cosa davvero contenga e dunque, in ultima analisi, a cosa davvero serva, Colombi dovrebbe spiegarci il motivo per cui negli scorsi mesi il gruppo ha deciso di spostare alcuni poligrafi dal Centro Stampa, che sottostà all’esistente Contratto collettivo delle arti grafiche, sotto il cappello del CdT, che dispone appunto soltanto di un contratto aziendale.
Tre ipotesi (il lettore segni la risposta corretta):
Interessante anche la parte politica della trasmissione. Il centrista Martin Candinas, membro della Commissione dei trasporti e delle telecomunicazioni del Consiglio nazionale, si è chiesto se vogliamo continuare ad accettare che si taglino sempre più posti di lavoro nel giornalismo (quello che produce quotidianamente dei contenuti, ha specificato, non i marchettari e loro affini). Ovvio che no, si è risposto, “se noi vogliamo che anche in futuro tutte le regioni” della Svizzera abbiano dei media degni di questo nome. Peccato che la bocciatura popolare del pacchetto di aiuti dei media nel febbraio 2022 abbia tarpato le ali già di per sé molto atrofizzate del Parlamento, che oggi si trova costretto a riproporre la solita vecchia ricetta degli aiuti indiretti. Come se un cerotto potesse arrestare un’emorragia…
Del resto, se stiamo a quanto ascoltato durante il programma radiofonico, non è che si possa fare molto, se si pensa alle esternazioni dell’altro interlocutore politico, l’UDC Paolo Pamini. Il quale si è definito un uomo fortunato perché oggi “al posto di avere un musicista personale ho ascoltato la radio” (ma un musicista che suona e da qualcuno pagato si spera il giusto, da qualche parte esiste, ndr); “al posto di avere una domestica in casa che mi fa il bucato ho una lavatrice” e un ascensore automatico “al posto di un ascensoriere”, per cui ben venga ChatGPT, da lui definito “un turbo” e qualificato come l’odierno “assistente personale dei giornalisti”. E se un giorno finirà per sostituirli del tutto (“non capiamo perché anche nell’ambito dell’informazione non si possa fare leva su queste tecnologie”), vincendo le attuali diffuse ritrosie dei lettori sull’informazione prodotta dall’IA, poco male. Da restare basiti e senza parole, davvero.
E non è finita qui. Perché per il nostro, il fatto che ci siano “giornalisti sfruttati a basso salario” è “la conseguenza indiretta di un altro grossissimo problema: oggigiorno in Svizzera costa troppo poco andare a fare degli studi accademici e ci sono troppe persone che studiano in facoltà umanistiche e poi si trovano essenzialmente a finire nell’amministrazione pubblica e nel giornalismo e questo spiega anche una grande deviazione a sinistra di questi due ambiti”.
Detto che non capisco la sequenza di sillogismi (giornalisti sfruttati = studi accademici a basso costo = facoltà umanistiche = giornalismo e amministrazione pubblica a sinistra), per cui se qualcuno me la volesse spiegare gliene sarei davvero grato, vorrei consigliare il signor Pamini di frequentare se non una facoltà umanistica, che forse l’età è già un po’ troppo avanzata per intraprendere una simile strada, per lo meno qualche corso in queste materie: non so se si sposterà mai sia pure di un solo millimetro a sinistra – l’impresa sembra davvero andare oltre ogni sua possibilità e limite – ma di sicuro migliorerebbe la sintassi, dunque la chiarezza dell’eloquio.
Pure la consultazione di un vocabolario potrebbe non risultargli vana, ché “ascensoriere” in italiano non ci risulta esistere; la parola corretta per designare la persona che manovra l’ascensore è infatti “ascensorista”. Anche ChatGPT gliel’avrebbe detto…
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