I paradossi dell’Onu: all’Arabia Saudita la presidenza della commissione sull’eguaglianza fra i sessi
Le proteste di Amnesty International e Human Rights Watch: “Ruolo incompatibile con le leggi che limitano la libertà delle donne”
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Le proteste di Amnesty International e Human Rights Watch: “Ruolo incompatibile con le leggi che limitano la libertà delle donne”
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Le proteste di Amnesty International e Human Rights Watch: “Ruolo incompatibile con le leggi che limitano la libertà delle donne”
L’Arabia Saudita ha ottenuto senza alcuna opposizione la presidenza della commissione dell’Onu incaricata di promuovere l’eguaglianza tra i sessi e per rafforzare i diritti delle donne nel mondo, nonostante le sue leggi fortemente discriminanti in materia, le violazioni dei diritti umani e la repressione nei confronti del genere femminile. Una decisione “terribile”, commenta Amnesty International.
L’iniziativa è stata presa per acclamazione dai 45 Paesi membri della Commission on the Status of Women (Csw), l’organismo delle Nazioni Unite che nel 2025 avrà un ruolo chiave nelle celebrazioni del trentennale della Dichiarazione di Pechino, documento che segnò una svolta nel progresso dei diritti delle donne a livello internazionale. Come presidente della commissione è stato così eletto Abdulaziz Alwasil, l’ambasciatore saudita all’Onu.
“I precedenti dell’Arabia Saudita nell’ambito dei diritti delle donne sono terribili, ben lontani dagli obiettivi della commissione”, protesta Sherine Tadros, direttrice dell’ufficio di New York di Amnesty International, citando alcune delle leggi in vigore a Riad: in base alle quali una donna deve ricevere il permesso del padre o del maschio di casa per sposarsi, la moglie deve obbedire al marito “in maniera ragionevole”, il marito può negare alla moglie sostegno finanziario se viene disobbedito, così come può negarlo se la moglie rifiuta di fare sesso, non vuole più vivere con lui o rifiuta di viaggiare insieme, senza fornire “una giustificazione legittima”.
Interpellati dal Guardian, funzionari dell’ambasciata saudita al palazzo di vetro sottolineano che una nuova legge sullo “status femminile”, passata nel 2022, dimostra i progressi compiuti da Riad nel campo dei diritti dalle donne, come parte delle riforme modernizzatrici portate avanti da Mohammed bin Salman, principe ereditario e leader de facto del regno che si estende fra il mar Rosso e il Golfo Persico. La legge che permette alle donne di guidare l’automobile, anch’essa sostenuta dal principe ereditario, risale al 2018. Ma le attiviste saudite che in passato hanno lottato per conquistare un tale elementare diritto sono ancora in carcere.
“L’elezione dell’Arabia Saudita alla presidenza di una commissione dell’Onu per i diritti delle donne rivela una scioccante indifferenza per i diritti delle donne”, osserva Louis Charbonneau, direttore dell’organizzazione umanitaria Human Rights Watch. “Un Paese che imprigiona le donne semplicemente perché si battono per i propri diritti non può rappresentare la più importante commissione dell’Onu per i diritti delle donne e per l’eguaglianza di genere”.
Non è chiaro se il voto per acclamazione sia passato per distrazione o per pressioni del governo di Riad sugli altri membri della commissione, allo scopo di ottenere un incarico che avvalora l’immagine riformatrice del leader saudita e progressi nel campo dei diritti delle donne. Molti dei Paesi membri della commissione appartengono all’Estremo Oriente, ma fra di essi ci sono anche Paesi con un rispetto ben maggiore dei diritti delle donne, come Olanda, Svizzera, Giappone e Portogallo.
“Se le autorità saudite vogliono dimostrare che questo incarico non è del tutto immeritato”, prosegue il direttore di Human Rights Watch, “dovrebbero liberare immediatamente tutte le donne incarcerate per avere difeso i diritti delle donne, mettere fine al predominio legale maschile nelle famiglie e garantire piena eguaglianza tra i sessi”.
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