Perché lo Zar ha ancora bisogno della guerra
Di Nathalie Tocci, La Stampa Che sia in corso una pericolosa escalation nell’invasione russa dell’Ucraina è sotto gli occhi di tutti. Per la prima volta il Cremlino ammette che...
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Di Nathalie Tocci, La Stampa Che sia in corso una pericolosa escalation nell’invasione russa dell’Ucraina è sotto gli occhi di tutti. Per la prima volta il Cremlino ammette che...
• – Redazione
Un'inchiesta del New York Times e del Fuller Project rivela come in Maharashtra le due aziende siano legate, attraverso l’industria dello zucchero, anche ai matrimoni infantili e a trappole finanziarie che portano le donne alle isterectomie
• – Redazione
Anche la destra “conservatrice” è, in fondo, un prodotto dell’illuminismo, ma non certo nelle forme in cui si sta manifestando e sta dettando l’agenda politica anche nel nostro Paese
• – Silvano Toppi
In un susseguirsi di comunicati e di prese di posizione, tiene banco, nella cronaca politica, il misterioso “caso” dell’incidente automobilistico che ha avuto per protagonista Norman Gobbi e che pare destinato a dover trovare, da qualche parte, nella polizia, un fantomatico “colpevole”
• – Rocco Bianchi
Ci vuol ben altro delle 38 ore settimanali proposte dal Consiglio federale, o del messaggio cantonale Pro-San per il rafforzamento della formazione professionale - Di Raoul Ghisletta
• – Redazione
Come stanno reagendo gli israeliani alle conseguenze politiche (ma non solo) della tragica ritorsione che colpisce la popolazione palestinese di Gaza, e non Hamas
• – Aldo Sofia
«Israele è liberale ma non democratico: è lo Stato degli ebrei del mondo, ma non dei suoi cittadini arabi. Due popoli-due Stati? Quella soluzione non esiste più». Parla lo storico israeliano Shlomo Sand
• – Redazione
Per raggiungere i suoi obiettivi, soprattutto l’offensiva massiccia contro l’Ucraina, il presidente russo non esita a ricorrere alle più smaccate menzogne
• – Redazione
Dopo lo strano “caso” dell’incidente automobilistico che ha visto coinvolto il Direttore del Dipartimento Istituzioni, tutti i pompieri hanno negato che esista un “caso Gobbi”, ma nessuno dice che c’è un “caso polizia cantonale”, che, guarda un po’, dipende proprio da Gobbi
• – Rocco Bianchi
La decisione di astenersi, permettendo il varo della risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza; crisi senza precedenti fra Casa Bianca e governo dello Stato ebraico
• – Aldo Sofia
Che sia in corso una pericolosa escalation nell’invasione russa dell’Ucraina è sotto gli occhi di tutti. Per la prima volta il Cremlino ammette che non si tratta di una “operazione militare speciale” ma di una guerra vera e propria. E mentre sul fronte gli ucraini si affrettano a costruire fortificazioni sui quasi mille chilometri della linea di contatto, Mosca si prepara ad una nuova offensiva. Nell’ultima settimana, la Russia ha lanciato circa 190 missili, 140 droni e 700 bombe guidate su obiettivi civili e militari in Ucraina. E sullo sfondo Mosca ammassa armi e truppe al confine con i Paesi Baltici e la Finlandia, in una traiettoria non dissimile in natura (ma non in magnitudo) da quella del 2021-22 ai confini dell’Ucraina nei mesi che precedettero l’invasione. Se si vuole invertire l’escalation la domanda da porsi è quali siano le sue cause. La prima e principale causa contestuale riguarda la situazione interna in Russia. L’attacco terroristico al Crocus City Hall rivendicata dall’Isis-K è secondaria.
Più importante è il fatto che siano passate le elezioni in Russia, e che “l’operazione elettorale speciale” (a differenza della “operazione militare speciale” di due anni fa) sia stata un successo straordinario per Vladimir Putin. La guerra è in corso e sebbene non sia andata come da copione del Cremlino, Putin è tuttavia riuscito a capitalizzarci politicamente. Tra la stretta repressiva, il riaccendersi del nazionalismo animato dalla nuova “grande guerra patriottica” contro l’Occidente e la riorganizzazione in un’economia di guerra, l’invasione dell’Ucraina sta funzionando per Putin. Ciò non vuol dire che il regime sia forte. Un Paese in cui una milizia tenta un colpo di Stato, il regime sente il bisogno di assassinare i leader dell’opposizione, e i servizi di sicurezza, pur essendo stati ampiamente allertati, non hanno sventato un attacco terroristico clamoroso come quello del Crocus, non è certo forte. Ma forza e debolezza non solo coesistono ma sono due facce della stessa medaglia. Per non far esplodere (o implodere) l’evidente contraddizione, Putin ha bisogno della guerra. Per mantenere in piedi la bicicletta, bisogna pedalare, e nella fattispecie anche accelerare. Darei invece meno peso ai complottismi vari che legano l’attacco terroristico all’Ucraina. Da un lato Putin, sebbene abbia interesse a distogliere lo sguardo interno dalle debolezze del proprio apparato di sicurezza puntando il dito contro Kyiv, non aveva certo bisogno dell’attacco per innescare un’escalation. L’escalation ci sarebbe stata comunque. Dall’altro (e quasi sembra assurdo doverlo specificare), sarebbe un atto suicida per gli ucraini appoggiare un attacco terroristico, inimicandosi così i propri alleati proprio nel momento del maggior bisogno.
La seconda causa è, difatti, la difficoltà dell’Ucraina sul fronte, a causa della penuria di munizioni e armi inviate dai Paesi occidentali. Qui il nodo riguarda soprattutto Washington, e il fatto che gli aiuti statunitensi sono arenati da oltre quattro mesi al Congresso. La Russia sa che quegli aiuti possibilmente (oserei dire probabilmente) arriveranno, così come sa che gli europei, a scoppio ritardato di due anni, stanno aprendo gli occhi davanti alla realtà di un continente in guerra. Quindi sa che il momento in cui capitalizzare militarmente è ora. Se le elezioni europee dovessero vedere l’ascesa dei partiti nazionalisti e innescare una dinamica centrifuga in Europa, e se alla Casa Bianca dovesse tornare Donald Trump da gennaio del prossimo anno, tanto meglio, ma nel frattempo occorre avvantaggiarsi.
In sintesi, se è in corso un’escalation – e indubbiamente lo è – la sua causa è la percezione a Mosca che il Cremlino è in posizione di forza mentre l’Occidente, e conseguentemente l’Ucraina, è debole. Un interlocutore russo a Mosca mi spiegava ieri che il dibattito russo è pervaso dalla convinzione che anche se la Russia dovesse arrivare a usare le armi nucleari in Ucraina, l’Occidente non reagirebbe. Purtroppo questa convinzione non è campata in aria: un sondaggio recente rileva che una maggioranza sconcertante (58% in Italia, 57% in Germania, per esempio) sarebbe scettica sull’intervento militare del proprio Paese anche nel caso ipotetico di un attacco diretto all’interno dei propri confini. Nell’eventualità di un attacco a un alleato nella Nato le percentuali degli scettici aumentano ulteriormente. Se il Cremlino è convinto della nostra debolezza e inconsistenza perché mai dovrebbe autolimitarsi?
Non c’è nulla che possiamo fare per influire sulla volontà di Putin di continuare questa guerra. Il conflitto contro la Russia probabilmente continuerà in una forma o l’altra finché Putin rimarrà al Cremlino perché il suo potere (e non solo) da essa dipende. Ciò che possiamo fare è cambiarne la traiettoria, ribaltando la percezione di forza e debolezza, segnalando chiaramente che l’escalation non paga per Putin. Accennando alla possibilità di inviare truppe in Ucraina, il presidente francese Emmanuel Macron tentava di fare esattamente questo. Ma più che le parole, servono azioni concrete. E tutti, a partire dall’Italia, il cui contributo a sostegno dell’Ucraina è stato apprezzato da Kyiv ma tutto sommato è deludente, potremmo fare molto di più. Se si vuole invertire la dinamica di escalation e non ritrovarci a subirne le conseguenze, non c’è alternativa.
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