Una conseguenza estrema ma comune di questa trappola finanziaria sono le isterectomie. I sensali che procurano il lavoro prestano alle giovani il denaro per farsi operare e risolvere così disturbi comuni come la dismenorrea. E loro, in maggioranza non istruite, non vedono alternative. Grazie all’isterectomia mantengono il posto di lavoro evitando le visite mediche o le difficoltà che incontrano da mestruate nei campi senza accesso ad acqua corrente, servizi igienici o riparo. L’asportazione dell’utero ha conseguenze durature, soprattutto se si è sotto i 40 anni.
Oltre ai rischi a breve termine di dolore addominale e trombi, porta spesso alla menopausa precoce, aumentando il rischio di malattie cardiache, osteoporosi e altre patologie. Ma per molte lavoratrici l’intervento ha un esito particolarmente drammatico: l’indebitamento le sprofonda ulteriormente nella miseria, facendo sì che tornino nei campi anche la stagione successiva e oltre.
L’Onu: “È lavoro forzato”
Gruppi per la tutela dei diritti dei lavoratori e l’Agenzia delle Nazioni Unite per il lavoro hanno definito tali contratti lavoro forzato. “Dopo l’intervento ho dovuto tornare subito a lavorare, perché avevamo preso un anticipo,” racconta una donna, Chaure. “Per i soldi trascuriamo la nostra salute”. I produttori e i compratori di zucchero sono a conoscenza di questo sistema di abusi da anni. I consulenti della Coca-Cola, ad esempio, hanno visitato le piantagioni e le raffinerie nell’India occidentale e, nel 2019, hanno riferito che i taglio della canna era affidato ai bambini e che le persone lavoravano per ripagare i datori di lavoro.
Lo hanno documentato in un rapporto destinato all’azienda, che conteneva un’intervista a una bambina di 10 anni. In un rapporto aziendale non collegato, quello stesso anno, l’azienda ha dichiarato di sostenere un progetto per “ridurre gradualmente il lavoro minorile” in India. Stando a un rapporto del governo locale e a interviste con decine di lavoratori lo sfruttamento del lavoro risulta endemico nel Maharashtra, e non limitato a una raffineria o piantagione in particolare.
Lo zucchero indiano
Secondo un dirigente di NSL Sugars, che gestisce raffinerie nello Stato indiano, lo zucchero del Maharashtra è usato da più di un decennio come dolcificante nelle lattine di Coca e Pepsi. PepsiCo, in risposta a quanto scoperto da NYT, ha confermato che uno dei suoi maggiori franchise internazionali acquista zucchero dal Maharashtra. Il franchise ha appena aperto laggiù il terzo impianto di produzione e imbottigliamento. Una nuova fabbrica di Cola è in costruzione nel Maharashtra e Coca-Cola ha confermato di acquistare a sua volta zucchero nello Stato. Fonti del settore dicono che queste aziende utilizzano lo zucchero principalmente per prodotti venduti in India. PepsiCo ha dichiarato che l’azienda e i suoi partner acquistano dal Maharashtra una quantità di zucchero limitata rispetto alla produzione totale nello Stato.
La replica di Pepsi e Coca-Cola
Entrambe le aziende hanno pubblicato codici di condotta che vietano ai fornitori e ai partner commerciali di utilizzare lavoro minorile e forzato. “La descrizione delle condizioni di lavoro dei tagliatori di canna da zucchero in Maharashtra è profondamente preoccupante,” ha dichiarato PepsiCo. “Coinvolgeremo i nostri partner franchise in valutazioni volte ad appurare le condizioni di lavoro dei tagliatori di canna da zucchero e eventuali azioni che potrebbe essere necessario intraprendere”. Coca Cola ha rifiutato di commentare un dettagliato elenco di questioni.
Il centro dello sfruttamento è il distretto di Beed, una regione rurale impoverita del Maharashtra che è terra d’origine di gran parte della popolazione migrante dei tagliatori di canna. Per un rapporto del governo locale sono state intervistate circa 82mila lavoratrici di Beed, ed è emerso che circa una su cinque aveva subito un’isterectomia. Secondo un altro sondaggio governativo a campo più limitato la proporzione è una su tre.
Lo scaricabarile
Gli abusi continuano, nonostante le indagini del governo locale, le cronache giornalistiche e gli avvertimenti dei consulenti aziendali, perché tutti giocano a scaricabarile. Le grandi aziende occidentali sono sulla carta impegnate a eliminare le violazioni dei diritti umani nelle loro catene di approvvigionamento, in pratica, raramente visitano le piantagioni e delegano ampiamente la supervisione ai loro fornitori, i proprietari delle raffinerie.
Questi però sostengono che i lavoratori non sono loro dipendenti. Appaltano a terzi il reclutamento dei migranti in villaggi remoti, il trasporto alle piantagioni e la retribuzione. Come vengono trattati quei lavoratori, dicono, è una questione tra loro e gli appaltatori. Nessuno spinge le donne a sottoporsi a isterectomia come forma di controllo delle nascite. In realtà poiché le ragazze di solito si sposano giovani, molte hanno figli nell’adolescenza. “Non potevo permettermi di perdere lavoro per andare dal medico” spiega Savita Dayanand Landge, una lavoratrice trentenne che ha subito un’isterectomia l’anno scorso.
Le piantagioni del Maharashtra
L’India è il secondo produttore mondiale di zucchero e lo Stato del Maharashtra rappresenta circa un terzo della produzione. Oltre a fornire aziende indiane e occidentali, lo Stato ha esportato zucchero in più una dozzina di Paesi, le cui tracce poi si perdono nella catena di approvvigionamento globale. Gli abusi derivano dal particolare assetto dell’industria dello zucchero del Maharashtra. In altre regioni produttrici, i proprietari delle piantagioni reclutano lavoratori locali e li retribuiscono direttamente. Il Maharashtra opera in modo diverso. Circa un milione di lavoratori, in genere provenienti da Beed, migrano nelle piantagioni del Sud e dell’Ovest. Durante il raccolto, da ottobre a marzo circa, si spostano dall’una all’altra, trasportando con sé i loro averi. Invece di uno stipendio dai proprietari delle piantagioni ricevono da un appaltatore della raffineria un anticipo, spesso attorno ai 1.800 dollari a coppia, pari a circa 5 dollari al giorno a persona per una stagione di sei mesi. Questo sistema in atto da secoli riduce i costi di lavoro per i produttori di zucchero.
Chaure è minuta, sfiora appena il metro e mezzo, porta al naso un anellino d’oro a forma di fiore e ha un sorriso che le illumina il volto. Parla a raffica e quando si infervora ti afferra il polso per assicurarsi che tu la stia ascoltando. “È facile approfittare di noi,” dice, “perché non abbiamo istruzione.” Ha passato la vita a tagliare canna per una raffineria di proprietà della NSL Sugars. Ha iniziato a lavorare nelle piantagioni che non era ancora adolescente e ora, trentenne, si aspetta di continuare per il resto della vita. La sua famiglia continua a vivere nella povertà più estrema, tanto che deve saltare i pasti perché i suoi tre figli abbiano da mangiare a sufficienza. Chaure sa che non ha alternative se non lo zucchero, ma spera che le cose cambino per i suoi figli.
Traduzione di Emilia Benghi
Nell’immagine: India Stato del Maharashtra , la raccolta della canna da zucchero