Ecco, fresco di stampa, un ulteriore saggio sull’emigrazione ticinese dei secoli passati, nella fattispecie verso il Sud America. Frutto di una ricerca condotta sulla base di materiali scientifici bertoniani riemersi nel 2018 al Museo etnográfico Andrés Barbero di Asunción (Paraguay) – che l’Archivio di Stato di Bellinzona ha nel frattempo inventariato e digitalizzato e di cui conserva copia – è il completamento di una biografia umana e scientifica che i due autori stanno ricostruendo da almeno 30 anni: risultato di un’operazione editoriale, culturale, civile, tanto complessa quanto encomiabile. A meno di altri ritrovamenti clamorosi, probabilmente anche l’ultimo tassello di una lunga fedeltà (dei due autori e della casa editrice) alla figura di Mosè Bertoni (1857-1929). Originario di Lottigna, partì poco più che ventiseienne, con moglie, madre, cinque figli e una decina di contadini, verso il sud America, da cui non avrebbe mai più fatto ritorno.
Navigando fiumi paraguaiani (228 pagine tra documenti testuali, cartografici, biografia e bibliografia: peccato, manca un Indice dei nomi, sempre utilissimo) è tutto questo, ma può essere letto anche prescindendo dalla conoscenza del suo protagonista. Io stesso di lui sapevo ben poco, ma proprio questo nuovo libro di Danilo Baratti e Patrizia Candolfi (che ti accoglie rigoroso e filologico nella sua frammentarietà) mi spingerà a prendere in mano i suoi antecedenti. Nonostante la sua architettura complessa, il volume ti cattura a poco a poco, ti invita a entrare, ti avvolge, ti emoziona: non è un romanzo, non è un racconto, ma non è nemmeno “solo” il report (si direbbe oggi) di una spedizione scientifica. La lingua, lo stile, il ritmo della narrazione, della prosa di Mosè Bertoni sono letteralmente avvincenti: soprattutto il documento C, Descrivere il Salto Guairá (pp. 93-99, emblematiche).
La complessità editoriale è data dal fatto che il volume raccoglie – dando loro un ordine e un senso compiuto – una serie di documenti-frammenti (cartine, fogli di diario, appunti, fotografie, articoli di giornale) che si temevano perduti. Tracce scritte relative al viaggio esplorativo che Bertoni, insieme a due sodali (il ticinese Arnaldo Schoch e l’inglese Carlos Stanley Barnes, che della spedizione su chiatte e canoe, in condizioni spesso difficilissime, tenne un diario qui pubblicato), compì, tra il 26 settembre e il 12 novembre 1893, risalendo le acque del fiume Paraná per raggiungere le grandiose, misteriose, pressoché inesplorate cascate del Salto Guairá, lungo il confine tra Paraguay e Brasile. Oggi, un secolo più tardi, quelle cascate non esistono più, cancellate nel 1984 dalla costruzione dell’immensa diga idroelettrica di Itaipú, lunga 8 km e alta quasi 200 metri. Il lago artificiale che ne nacque si estende per quasi 200 km e ha letteralmente ingoiato, in poche settimane, insieme alle cascate, un immenso comparto con effetti ambientali distruttivi. Di controcanto, su Wikipedia si legge che, già nel 2000, quel nuovo colosso ingegneristico copriva, con una sola delle sue 20 turbine, il 90% del fabbisogno elettrico del Paraguay e con le altre 19 un quarto di quello del Brasile, aggiungendo che “questa diga è stata inserita nella classifica delle 25 meraviglie del XX° secolo stilata da Rough Guides ed è tra le 7 meraviglie ingegneristiche del pianeta”.
La diversa lettura che di quell’operazione danno le cerchie ambientaliste, che non mancarono di farsi sentire quando la diga venne costruita spostando decine di villaggi indigeni e distruggendo una delle riserve naturalistiche più preziose al mondo, e coloro che ne fanno oggi una meraviglia tecnologica, avvolgono l’intera vicenda in una dimensione più ampia e metaforica: rappresentazione plastica del confronto-scontro tra conservazione e presunto progresso, fra difesa del paesaggio e tutela degli interessi economici di un’umanità nuova, poco disposta ad inserire la retromarcia.
Non entrerò sull’apporto supplementare di conoscenza che i nuovi documenti analizzati – riprodotti nell’originale spagnolo e tradotti in italiano dai due autori – aggiunge ai loro due volumi precedenti: il monumentale L’arca di Mosè. Biografia epistolare di Mosè Bertoni, Bellinzona, Casagrande, 1994 e Dalle Alpi al Paraná. Vita e opere di Mosè Bertoni, emigrato bleniese in Paraguay, sempre Casagrande, 2001.
Sottolineo unicamente che il nuovo materiale permette oggi una ricostruzione ancora più precisa della vita di Bertoni e di quanto egli ha realizzato nei suoi quasi 50 anni trascorsi in Sud America: inizialmente in Argentina, dove intendeva fondare una sorta di colonia agricola e scientifica d’impronta sociale e per certi versi anarchica (il nostro Monte Verità sarebbe nato una quindicina d’anni più tardi), poi nella Nazione vicina. E sottolineo anche che la pubblicazione di questi documenti lo stesso Bertoni – vulcanico, curioso, onnivoro, in questo ancora emanazione dell’Ottocento – l’aveva inseguita e promossa invano, in vita, anche a distanza di decenni dalla sua spedizione del 1893.
Il fatto che il titolo stesso del nuovo libro di Baratti e Candolfi, Navigando fiumi paraguaiani, sia un endecasillabo, sembra voler autorizzare (accanto alla lettura storica, biografica e scientifica) anche qualche considerazione che potrebbe sembrar peregrina. Leggerlo cioè come se si trattasse di un’opera letteraria d’invenzione, oltre che del resoconto di una spedizione scientifica.
Il primo, forse un po’ scontato richiamo che oso buttar lì è con Cuore di tenebra, racconto-capolavoro di Joseph Conrad del 1899, in cui viene narrata la navigazione del fiume Congo del suo protagonista, Marlow, appassionato di cartine geografiche (esattamente come lo era, nella realtà, Bertoni; nel libro sono 7 quelle che descrivono il corso del Rio Paraná). Più esplicitamente di Bertoni, ritraendo la figura memorabile di Kurtz, avido commerciante bianco d’avorio trasferitosi nell’Africa nera, Conrad introduce i temi dell’imperialismo occidentale, dello sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali, del razzismo.
Anche se a Conrad si è ispirato esplicitamente Apocalypse Now di Francis Ford Coppola (1979), la seconda immagine che mi si para costantemente davanti leggendo il libro di Baratti e Candolfi, non è quella di Marlon Brando, bensì Klaus Kinski, alias Fitzcarraldo, nell’omonimo, grandioso film di Werner Herzog del 1982: diario visionario (che si tradusse in un set tecnicamente onerosissimo, protrattosi per quasi 4 anni, ai limiti della follia) di un viaggio – coevo a quello di Bertoni – lungo il Rio delle Amazzoni, in terre altrettanto remote, cariche di pericoli, di mistero e di calamitante suggestione, dove Fitz intendeva costruire una linea ferroviaria, una fabbrica di ghiaccio e – colpito dopo aver visto cantare Enrico Caruso a Manaus; il concerto in realtà non c’è mai stato – un teatro d’opera.
La parola finale, però, va a Mosè Bertoni che, nel dicembre del 1900, 6 anni dopo il suo viaggio e con l’intenzione di pubblicarne il diario, scrive così (p.97; ma anche il capitolo successivo, a p.99, ha la stessa forza): “Il Guairá, come i mostri della mitologia, come i fantasmi delle anime deliranti, si presenta trasformato ogni volta che lo si ammira da un punto diverso e ogni volta che si modifica la sua variabilissima portata d’acqua; trasformato in altri esseri diversi, in altri mostri per nulla somiglianti al primo se non nell’immensità terrificante. Il Guairá (considerato nelle sue molteplici forme) non è una cascata colossale come il Niagara, non è un torrente terribile come quello di Torres, non è un abisso in cui scompare un grande fiume come lo Zambesi, non è il gorgo del Maelstrom, non è l’oceano sconvolto da una violenta tempesta… Il Guairá è tutto questo insieme, tutto questo riunito, mescolato, confuso in un caos spaventoso che mai pennello né parola umana potrà descrivere. Tale è il Guairá, meraviglia della natura, opera divina, davanti alla quale rimane minuscolo, umiliato, annichilito il vanitoso essere alla cui specie apparteniamo, il povero e debole essere che pretende di nascondere la sua miserabile piccolezza sotto il pomposo nome di Re della natura”.
Ultimo gioiello, la copertina, porta d’ingresso che accoglie il lettore. Vi viene riprodotto l’ultimo dei sette fogli cartografici disegnati da Mosè Bertoni, che tracciano minuziosamente il corso del fiume Paraná. Il più prezioso, poiché mancava ed è stato ritrovato, ma soprattutto poiché raffigura il punto d’arrivo, le cascate, alle quali Mosè Bertoni diede anche un nome. “Nessuno di questi toponimi” commentano Baratti e Candolfi (p. 216) “ha avuto corso: pur trattandosi del rilievo più minuzioso di quei decenni, sembra paradossalmente un’opera di geografia fantastica”. A questo punto, l’intreccio tra realtà e sogno che attraversa il nuovo libro dall’inizio alla fine, è perfetto.
Danilo Baratti Patrizia Candolfi, Navigando fiumi paraguaiani. Mosè Bertoni esploratore e cartografo dell’Alto Paranà, Edizioni Casagrande, Bellinzona, 2023
Nell’immagine: Mosè Bertoni