Quando si inizia a guardare questa pellicola del 2022 – diretta dalla canadese Luis De Filippis – che si presenta come una storia di famiglia nell’ambientazione tutta particolare (e di certo non nuova) delle vacanze estive, a un certo punto ci si aspetta che succeda qualcosa. Non necessariamente un dramma o una situazione incresciosa, ma almeno un conflitto, o un colpo di scena, un dialogo serrato, uno scontro, una sorpresa. Al più tardi alla fine della prima metà tempo però, è chiaro che non sarà così, che i ritmi lenti, che i lunghi silenzi, che l’occhio della telecamera che indugia su particolari anche minimi, è né più né meno la cifra esatta di questa produzione.
Sono quattro i protagonisti di Something You Said Last Night. Alla coppia genitoriale italo-canadese composta dal quasi invisibile ma dolcissimo padre Guido (Joel Parro) e dall’energetica madre Mona (Ramona Milano), si contrappongono (o affiancano, a dipendenza delle prospettive e delle scene) le figlie Siena e Renata. E se la prima, in piena adolescenza, si concede qua e là qualche scatto d’ira, nonché delle scappatelle notturne con il belloccio conosciuto nella località balneare, la figura di Renata è molto più complessa ed è in qualche modo quella intorno a cui ruota l’intera vicenda. La figlia maggiore è infatti in transizione, come rivelano le lunghe gambe maschili, il petto piatto, ma anche una frase della madre. Un processo però, raccontato da De Filippis (a sua volta transgender) in modo naturale, incastonato com’è in una quotidianità che è tutto fuorché spettacolare.
In questo understatement molto si deve al personaggio di Renata, interpretata magistralmente da Carmen Madonia, che al netto di sguardi profondi e assorti, di una vape sempre attaccata alla bocca e di un’aria quasi contemplativa, poco concede allo spettatore. Renata è parca di parole, negando così di fatto al pubblico uno sguardo ravvicinato su un’interiorità che si può immaginare complessa ma affascinante, destinata invece a restare ermeticamente misteriosa. Invece di dare voce alla giovane donna, la telecamera indugia su una goccia d’acqua che scorre lungo la schiena, su un cappellino da baseball, su una corsa in auto o in pedalò, come a volere affermare che solo nelle piccole cose sta il cuore di tutte quelle che consideriamo grandi.
Ed è così che, nonostante i silenzi e i non detti, nonostante uno sfondo che è solo abbozzato (non si capisce dove esattamente la famiglia si trovi in vacanza) perché mero contorno, la storia di Something You Said Last Night, diventa quella di tutti noi, di chiunque abbia avuto la fortuna di vivere l’intimità famigliare in una cornice vacanziera, con le sue piccole trasgressioni, il senso di claustrofobia, di mancanza di comprensione, ma anche con gli interminabili giochi a carte, il lessico famigliare, i momenti di ozio, la voglia di essere altrove pur essendo esattamente lì. Il film si trasforma dunque in un viaggio intimistico fin dentro i nostri ricordi, che per primi in ciò che scorre sullo schermo riconoscono odori e sapori di un tempo passato, poiché il tempo della propria vita mai ritorna.
Aveva ragione Tolstoj, quando affermava che “Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”, ma forse si dovrebbe aggiungere che certe felicità (come quella di essere giovani, di avere ancora dei genitori, di poterci andare in vacanza lasciando a loro ogni decisione) le si riconosce solamente quando non sono più riproducibili, quando vengono riportate in vita dalle infelicità che ogni adultità, per sua natura, si porta appresso.
Nell’immagine: i personaggi di “Something You Said Last Night” sul manifesto del film