L’ambizione di Ursula: può imporsi se manca un’alternativa credibile
Ursula von der Leyen rivuole la presidenza della Commissione UE: qualche buon risultato, ma è poco amata e la “sua” Germania non se la passa bene
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Ursula von der Leyen rivuole la presidenza della Commissione UE: qualche buon risultato, ma è poco amata e la “sua” Germania non se la passa bene
• – Cecilia Cacciotto
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• – Redazione
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• – Aldo Sofia
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• – Redazione
"Disabili, bufera su Vannacci: il contestato debutto dell'ufficiale voluto da Salvini per le europee e che nemmeno una parte della Lega vorrebbe"
• – Redazione
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• – Michele Ferrario
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• – Redazione
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• – Aldo Sofia
Ursula von der Leyen rivuole la presidenza della Commissione UE: qualche buon risultato, ma è poco amata e la “sua” Germania non se la passa bene
Ursula dice di sé “Sono nata a Bruxelles ma sono europea nell’anima”. I primi 13 anni della sua vita vive a Ixelles, sobborgo della capitale belga, dove il padre Ernst Albrecht è uno dei primi funzionari europei. Cresce a pane ed Europa con un forte senso del sacrificio e una forte considerazione di sè stessa. Il carattere teutonico fa il resto.
E’ così che per lei il mandato alla presidenza della Commissione europea è un po’ un ritorno a casa. In questi cinque anni di governo europeo è diventata la donna più potente d’Europa e il volto umano della costruzione europea. Va da sé che un secondo mandato non solo la lusinga, ma è convinta che le spetti quasi di diritto. E dopo l’ok della sua Cdu, il partito popolare tedesco in cui milita da una vita, sono stati i Popolari europei a darle l’investitura ufficiale a marzo.
La sua rielezione però non è automatica: il presidente europeo viene indicato dal Consiglio UE (capi di stato e di governo) a maggioranza; poi sottoposto al voto del parlamento Ue. Quindi il primo scoglio da superare è quello delle cancellerie europee: Ursula von der Leyen deve avere dalla sua parte la maggioranza dei 27 leader europei. Nella famiglia dei Conservatori, ma a anche dei Liberali che la votarono nel 2019, il suo nome fa storcere il naso a più d’uno: il decisionismo di Frau von der Leyen, per quanto abbia fatto comodo in questi cinque anni, non va giù a tutti.
In particolare ad Emmanuel Macron. I suoi più stretti collaboratori lasciano capire che all’inquilino dell’Eliseo non va troppo a genio la presidente ipercinetica, che ha spesso e volentieri messo i 27 di fronte al fatto compiuto, basti ricordare la visita a sorpresa della von der Leyen al premier israeliano Benjamin Netanyahu all’indomani dell’attacco di Hamas, visita in cui dava il pieno appoggio al governo di Tel Aviv, attirandosi le ire dei 27 perché aveva preso le parti di Israele senza interpellarli: e si tratta solo dell’episodio meno datato.
Nemmeno Macron ha gradito. E come potrebbe visto che sogna di incarnare egli stesso il ruolo di “neo-imperatore” nella sua futuristica rappresentazione che vuole l’Europa tornare ad essere un soggetto geopolitico di primo piano?
C’è poi l’Italiana Giorgia Meloni: fino a qualche settimana fa le missioni congiunte delle due in Africa avevano lasciato intendere una sintonia di progetti e di visione europea che pareva andare al di là della legislatura in scadenza. Ma la leader italiana ha fatto capire che von der Leyen per il momento non è la sua candidata: anche per opportunità di campagna elettorale, sostengono in molti.
L’avversità di Victor Orbàn è nota nonostante gli accordi sottobanco tra il capo del governo ungherese e la presidente del Consiglio europeo: e bisognerà anche vedere dove il partito di Orbàn siederà nell’emiciclo.
Infatti, come ricordavamo sopra, anche se il nome che dovesse uscire dal Consiglio dell’Unione europea fosse quello di Frau von der Leyen, c’è poi il voto del parlamento. All’eurocamera è la maggioranza che conta e il fatto che l’Europa vada a destra non basta.
La presidente uscente potrebbe contare sul voto favorevole dei popolari, (destinati a essere il primo gruppo al parlamento europeo anche dopo il voto di giugno), ma per arrivare alla maggioranza c’è bisogno di tessere o quantomeno immaginare alleanze.
Per il momento scartiamo quella con i Conservatori e riformisti capitanati da Giorgia Meloni, scartiamo anche quella con il gruppo dei sovranisti di Marine Le Pen (che vedono insieme anche la Lega di Matteo Salvini e il Pis polacco di Kaczynski).
Ma non basta, i recenti passi indietro dal fronte ecosostenibile di Ursula von der Leyen, per depotenziare la protesta degli agricoltori e i malumori all’interno dello stesso gruppo popolare, lasciano uno spazio di manovra limitato anche a un accordo con i Verdi europei (nel caso ci fosse bisogno).
Insomma, dal cilindro bisognerebbe tirar fuori una nuova “maggioranza Ursula”.
Un dato certo c’è: per il momento Ursula von der Leyen non si trova di fronte alcun competitor. Qualche mese fa era stato fatto il nome dell’ex governatore della Bce ed ex premier italiano Mario Draghi come suo possibile successore, ma la cosa è morta lì. O comunque torna a galla ma ancora non si cristallizza. A metà aprile, nel Bel Paese si è tornati a perorare la causa Draghi ma il diretto interessato ha dichiarato non esserne al corrente (non di non essere disponibile…)
.Per il momento l’Unione europea resta schiacciata tra gli interessi americani da un lato e quelli russi e cinesi dall’altro. C’è da aggiungere che gli Usa, con o senza Trump, intendono preoccuparsi, e quindi occuparsi, sempre meno di Europa. Con uno scenario internazionale di grande incertezza, il prossimo presidente della Commissione Ue deve incarnare la stabilità. Ursula von der Leyen si propone come un usato sicuro. E come dimenticare che è stata la presidente che ha traghettato l’Europa fuori dal Covid?
Nonostante le critiche e la mancanza di trasparenza di cui la si accusa, nel 2020 di fronte alla pandemia ha portato a casa 3 dosi di vaccini per tutti gli europei, e decidendo la co-partecipazione al debito comune tra i 27, ha finanziato la risposta alla crisi socioeconomica. La signora può anche non piacere, e in questo momento la “sua” Germania sconta una difficile situazione economica interna, è una locomotiva stanca. Ma con due guerre alle porte del vecchio continente, e senza un’alternativa credibile, resta una scelta di realpolitik.
Cecilia Cacciotto è giornalista di “Euronews”
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