Navalny, una sentenza che conferma la degenerazione del putinismo
La dura condanna contro il più noto oppositore russo sancisce il passaggio del regime Putin da un ‘paternalismo autoritario’ a una nuova forma di totalitarismo
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La dura condanna contro il più noto oppositore russo sancisce il passaggio del regime Putin da un ‘paternalismo autoritario’ a una nuova forma di totalitarismo
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La dura condanna contro il più noto oppositore russo sancisce il passaggio del regime Putin da un ‘paternalismo autoritario’ a una nuova forma di totalitarismo
La nuova, mostruosa condanna a 19 anni di prigione per “estremismo” inflitta a Alexej Navalny rappresenta solo un nuovo tassello di una strategia ben studiata che si sta sviluppando da anni e sta conducendo non solo alla definitiva abrogazione dei diritti politici in Russia ma anche di quelli individuali. Il carattere autoritario del regime di Putin è sotto gli occhi di tutti, ma la rassegnazione sembra però affliggere in questa fase anche i più decisi oppositori del governo, che continuano, per lo più, a scegliere mestamente la via dell’esilio.
Navalny ha accumulato ormai, dal suo rientro in Patria nel 2021 (dopo essere stato curato in Germania per le conseguenze dell’avvelenamento subito durante un suo tour elettorale), 30 anni e 8 mesi di condanne. E se non verrà ancora messo sotto accusa, potrà uscire dal carcere solo nel 2052, all’età di 76 anni.
La sua sorte è condivisa secondo i dati del portale “Doxa” da altri 557 oppositori russi già condannati, e da altre centinaia in attesa di processo. Si tratta del triplo dei condannati per motivi politici rispetto a cinque anni fa. Il numero relativamente piccolo di prigionieri ha fatto dire a Putin solo qualche giorno fa che “la Russia attuale non è quella del 1937”, l’anno del picco delle repressioni staliniane, quando furono centinaia di migliaia i condannati. Ma il dato non deve trarre in inganno.
Il raffronto con le “grandi purghe” degli anni Trenta è infatti innaturale e legato a forme di una organizzazione sociale sorpassata. Una comparazione sorprendente invece è possibile farla con il periodo sovietico della “stagnazione” degli anni ’70. Durante la reggenza a segretario del PCUS di Leonid Breznev, malgrado venne dato molto rilievo a casi come quello del fisico Andrej Sacharov o dei musicisti rock rinchiusi negli ospedali psichiatrici, gli arresti per motivi politici furono nell’ordine delle decine, e spesso le condanne furono anch’esse lievi. Il regime era in declino, ma era stabile socialmente. Il putinismo invece appare in declino, ma è segnato dall’instabilità e quindi dalla necessità non solo di controllare ma anche di punire, seppur non in modo sistematico.
D’altro canto, quando si valuta l’ampiezza della repressione nella Federazione occorre tener presente che in Russia esiste la formula dell’“arresto amministrativo”, il quale non sporca la fedina penale, però condanna a reclusione, in prigioni locali o ai domiciliari, fino a due mesi. Queste condanne – senza processo – sono previste per reati minori come partecipazione a manifestazione non autorizzata o blanda resistenza a pubblico ufficiale, e sono state scontate in questi anni da decine di migliaia di persone. A ciò vanno aggiunti gli oltre 700 casi penali contro i Testimoni di Geova (fuorilegge dal 2017), i cui seguaci notoriamente si rifiutano di prestare servizio militare.
Da quando organizzazioni come “Memorial” (Premio Nobel per la Pace 2022) sono state chiuse d’imperio, e Amnesty International è stata espulsa dal Paese, è diventato difficile avere un quadro più preciso dei soprusi governativi. Spesso le informazioni trapelano soltanto nell’ambito della stretta controinformazione. Come nel caso di Anatoly Berezikov. Quarantenne di Rostov sul Don, arrestato il 15 giugno di quest’anno per “attività no-war”, Berezikov è morto in cella dopo aver denunciato al suo avvocato le torture subite con manganelli elettrici. Il suo fascicolo è stato archiviato dalla Procura russa come “suicidio”.
Si tratta in generale di un “sistema selettivo di repressione dei refrattari al sistema”, come lo ha definito l’ormai ex-professore di Sociologia dell’Università Mosca, Boris Kagarlitsky (dal 25 luglio anche lui arrestato per “istigazione all’estremismo”), che prevede diversi gradi di intimidazione e di pressione di cui la condanna penale è solo uno degli strumenti. Anche per questo si può ritenere che il regime stia conoscendo nell’ultimo lustro il passaggio da un autoritarismo paternalistico a un’inedita forma di totalitarismo.
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