L’autogestione non s’ha da fare
Sgomberati gli Autogestiti dallo stabile di Capo San Martino in nome della “legalità”, ma di nuovo lasciando senza risposta la questione di spazi di socialità e di cultura alternativi - Di Bruno Brughera
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Sgomberati gli Autogestiti dallo stabile di Capo San Martino in nome della “legalità”, ma di nuovo lasciando senza risposta la questione di spazi di socialità e di cultura alternativi - Di Bruno Brughera
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Sgomberati gli Autogestiti dallo stabile di Capo San Martino in nome della “legalità”, ma di nuovo lasciando senza risposta la questione di spazi di socialità e di cultura alternativi - Di Bruno Brughera
In un comunicato diffuso l’altro ieri, a proposito di questa nuova azione natalizia, il CSOA ricorda che si tratta di una vicenda che si colloca dentro il contesto di una storia ancora tutta da scrivere e che in questo periodo sta pesantemente tornando a far discutere con la riapertura dell’inchiesta da parte del Procuratore Generale Andrea Pagani, che per ora non sembra troppo assecondato nelle sue richieste dall’autorità cantonale di polizia, visto l’invio di documentazione, relativa al controverso evento del maggio ‘21, fornita in forma annerita e sigillata e per ora dunque inaccessibile all’inquirente.
Nello stesso comunicato si segnala anche che il senso della nuova occupazione avrebbe dovuto essere quello di stigmatizzare, come già nei casi precedenti, con un’azione concreta e di evidente impatto, la presenza nel territorio di strutture abbandonate da anni, “in stato deplorevole e in mano alla lunga catena della speculazione edilizia”. Si aggiunge poi che se nel caso della recente occupazione temporanea dell’Hotel Fischer “proponemmo che lo stabile potesse essere adibito a casa per persone in fuga da guerre, miserie e catastrofi, per la struttura di Capo San Martino proponiamo un laboratorio permanente di attività culturali, con mensa popolare usufruibile da tuttx e con attività ricreative-sportive sul lago”.
A suggello dell’occupazione un programma di quattro giorni stilato e preparato dagli Autogestiti avrebbe voluto proporre, fino al 29 dicembre, una serie di incontri, dibattiti, proiezioni di video e feste musicali popolari. Ma da ieri mattina, con l’intervento in forze della polizia, che ha proceduto allo sgombero dell’area occupata (lasciata pacificamente dagli occupanti e subito segnalata dalle forze dell’ordine come gravemente danneggiata), siamo daccapo: ad imporsi è, esclusivamente, “l’ordine pubblico” e la “protezione della proprietà privata”, in nome di principi legittimi, per carità, ma che non si affiancano ad alcuna considerazione e riflessione circa il senso di un’iniziativa che qualche importante questione sociale la pone da tempo, invano, desolatamente inascoltata. Proponiamo qui, in proposito, un contributo inviatoci dall’educatore Bruno Brughera. [red.]
L’ennesima occupazione da parte del CSOA è durata meno di 24 ore. Eppure, i presupposti per farne un evento significativo almeno fino alla fine dell’anno c’erano tutti.
La notte tra il 25 e il 26 è stata, pur per un breve lasso di tempo, un momento liberatorio per moltissimi giovani. Già solo questo, la dice lunga sulla necessità di spazi non omologati.
Un luogo per anni dismesso è rinato per poche ore, regalando, grazie all’iniziativa del CSOA, un momento di aggregazione alternativo a molti giovani. Un luogo che aspetta da tempo, nel progressivo degrado, solo di essere venduto, in nome dell’ennesima speculazione immobiliare chiaramente dietro l’angolo, per qualche ora ha ripreso a vivere. Si tratta di uno stabile da sempre utilizzato per la ristorazione e come locale notturno di un certo livello, vuoi per la location a picco sul lago, vuoi per i prezzi non certo popolari. Dopo essere diventato essenzialmente un postribolo d’alto rango, si è deciso di chiudere baracca, in attesa di chissà quale altra utilizzazione: appartamenti di lusso, un possibile resort o un residence?
Degli attivisti dell’autogestione vi hanno visto un luogo adatto per creare eventi aggregativi e per farne occasione di denuncia di quanto in questo cantone non si voglia fare per affrontare e risolvere il tema degli spazi non omologati, intesi come luoghi di solidarietà e di inclusione.
Ma ancora una volta la risposta delle autorità è stata quella di negare, con uno sgombero immediato, qualsiasi forma interlocutoria di dialogo e di confronto, benché a parole, in questi ultimi mesi, si sia sentito continuamente intonare il mantra della disponibilità ad accogliere forme di “cultura dal basso”.
Per le autorità – parliamo dell’asse Lega-Udc luganese con i vertici istituzionali cantonali – parrebbe ormai una vera e propria crociata, quella di estinguere ogni forma di autodeterminazione sul territorio. Ristabilire l’ordine pubblico è la priorità e poco importa se non ci si cura di altre situazioni. A partire dalle macerie dello stabile annesso all’ex macello, sembrerebbe che la tolleranza zero verso una parte del mondo, non solo giovanile, sia una prassi consolidata.
L’autogestione non s’ha da fare! Tutto quello che proviene dal basso, non controllabile, non predeterminabile, è da respingere e da reprimere. Peccato, non si vuole proprio accettare che ci siano esigenze aggregative ben diverse, che ci siano altri valori e priorità. Una società moderna dovrebbe essere lungimirante, capace di ascoltare e di favorire le minoranze, di facilitare il dialogo, di mediare e trovare soluzioni. Ma tutto ciò non tocca minimamente i nostri politici ed amministratori, che, semmai, torneranno a sentenziare sul tema (con dure reprimende o con vaghe promesse prontamente dimenticabili) nei prossimi dibattiti elettorali. Ecco, c’è da aspettarsi che con le elezioni di aprile per le comunali, il tema autogestione tornerà ad essere “impugnato” in varo modo, dalla magistratura come dalla politica (o magari dai due poteri in accordo). Una prospettiva non certo fra le più incoraggianti.
Nell’immagine: un fotogramma dal servizio del Quotidiano della RSI
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