Nemo e gli asterischi. Ovvero tertium non datur
Con il suo rappresentante, la Svizzera grazie a Nemo vince l’Eurovision Song Contest, ma non solo per il suo brano
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Con il suo rappresentante, la Svizzera grazie a Nemo vince l’Eurovision Song Contest, ma non solo per il suo brano
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Con il suo rappresentante, la Svizzera grazie a Nemo vince l’Eurovision Song Contest, ma non solo per il suo brano
Coerentemente con il suo nome, sino a qualche tempo fa Nemo Mettler era, per gran parte dell’opinione pubblica, un Signor Nessuno o, tutt’al più, il protagonista del romanzo Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne, pubblicato nel 1869-70 e letto a scuola da generazioni di alunni.
I più attenti alla scena musicale invece già conoscevano il giovane rapper biennese, che le sue canzoni, inizialmente, le scriveva quasi sempre in Schwyzerdütsch. In attività da una decina d’anni, nel 2018 la sua carriera ebbe una svolta: primo nella storia, la Svizzera gli tributò ben quattro Music Awards (miglior artista, miglior brano, miglior live, miglior debutto).
Da allora, Nemo – qui aura 25 ans au mois d’août e si è nel frattempo trasferito a Berlino – ha rilasciato varie interviste (la prima alla SonntagsZeitung del 12 novembre 2023) in cui rivendica un’identità non binaria. Cinque giorni dopo quell’outing, uscì il suo nuovo singolo This Body: abbandonato il dialetto, Nemo adotta l’inglese: “This song” spiegava sulla sua pagina Instagram, “holds special meaning for me, as I wrote it during a time when things were very challenging. It’s about not feeling at home in your own body and dealing with internalized shame around gender identity.”
In questi giorni Nemo rappresenta la Svizzera alla finale dell’Eurovision Song Contest, il più seguito concorso canoro al mondo, visto da centinaia di milioni di persone. Qualcuno ricorderà che la manifestazione canora nacque a Lugano: la prima edizione andò in scena nel defunto Teatro Kursaal il 24 maggio 1956 e venne vinta dalla svizzera Lys Assia. Dell’intera serata (regista Franco Marazzi, tra i padri della RTSI) resta oggi soltanto questo frammento televisivo.
Nei palmarès successivi, pochissim* invero sarebbero diventat* delle star (France Gall, Udo Jürgens e Sandie Shaw negli anni ’60; gli Abba nel 1974; Céline Dion nel 1988, in rappresentanza della Svizzera). Scorrendo la lista dei vincitori appare evidente che imporsi all’ESC non spalanca quasi mai la via a un successo duraturo. Ti porti a casa il microfono di cristallo e per molti finisce lì. Il gruppo ucraino Kalush Orchestra, vincitore nel 2022, lo mise all’asta raccogliendo 900mila dollari, devoluti all’esercito del loro Paese per l’acquisto di tre droni.
L’Italia a Eurosong si è imposta 3 volte: dapprima con Gigliola Cinquetti (Non ho l’età, 1964); poi con Toto Cutugno (1990); infine, nel 2021, con i Måneskin, i soli a diventare, in pochi anni, primattori a livello mondiale.
Il Contest è stato spesso vetrina privilegiata per artist* (e loro messaggi) non esattamente mainstream. Fu la drag queen austriaca Conchita Wurst, nel 2014, quella che fece scorrere più inchiostro: 10 anni dopo è quasi dimenticata. Etimologicamente extra vagantes oggi bisogna esserlo per imporsi all’attenzione. Molto spesso – quando la proposta musicale da sola non basta – è l’industria discografica a inventare e costruire nuove figure in grado di colpire la platea e l’immaginazione: con il look, con qualche dichiarazione a effetto o, a seconda di quanto accade nei punti caldi del globo, per il Paese che rappresenti, come successo quest’anno alla concorrente israeliana Eden Golan, ventenne di cittadinanza russa. Malmö, terza città svedese, sede della gara canora, è tra gli emblemi della profonda crisi del modello scandinavo di welfare state, accoglienza, integrazione.
Mentre scrivo (è sabato mattina, mancano 12 ore al gran finale), da giorni i bookmakers indicano Nemo tra i favoriti. La sua vittoria farebbe naturalmente piacere: meno rallegrante sarebbe, forse, per la SRG SSR che dovrebbe, da regolamento, ospitare le tre serate finali nel 2025, con costi che si stimano non inferiori ai 20 milioni di franchi. Un’occasione, certo, più unica che rara, data ai professionisti del nostro Servizio pubblico audiovisivo, per mostrare le loro capacità e produrre uno spettacolo che, dal punto di vista della regia e degli effetti speciali, ha pochi eguali. Ma questa vetrina planetaria varrebbe la candela in un momento così complicato per l’Azienda?
Cosa rappresenterebbe invece una vittoria di Nemo per la Comunità non binaria (le persone, cioè, che non si riconoscono completamente né in un’identità interamente maschile né femminile) e, più in generale, per l’opinione pubblica più indifferente al tema?
Nemo ha già smosso le acque: la sua canzone The Code parla proprio del difficile cammino personale che egli ha compiuto per far accettare la propria genderfluidity. Contemporaneamente, 3’600 cittadin* (tra i quali i copresident* nazionali del PS Mattea Meyer e Cédric Wermuth, la presidente dei Verdi Lisa Mazzone e la mamma dell’artista) hanno firmato una lettera in cui chiedono a Governo e Parlamento di riconoscere ufficialmente le persone non binarie. Attualmente allo stato civile (ma anche nel passaporto, sulla carta d’identità e in decine di altri moduli d’ogni genere) o ti iscrivi come uomo o come donna. Codice M o codice F, insomma, tertium non datur. Si ragiona in bianco e nero, nell’identità di genere non sono ammesse varianti.
Tutto il contrario di quanto accade nella forma, o meglio nella scrittura, dove, con l’adozione di un linguaggio cosiddetto inclusivo, pieno di asterischi, talvolta si esagera in senso contrario. La forma è sostanza, ma il rigorismo risulta spesso controproducente anche nelle battaglie migliori.
Nell’immagine: Nemo con la bandiera svizzera e quella della sessualità non binaria (portata sul palco di nascosto)
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