Putin e il nuovo ordine mondiale
L’ostacolo supremo al disegno del leader russo è la persistenza della democrazia, la sua capacità di essere forma e regola, istituzione e metodo, ma anche morale pubblica, spirito civico, aspirazione universale
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L’ostacolo supremo al disegno del leader russo è la persistenza della democrazia, la sua capacità di essere forma e regola, istituzione e metodo, ma anche morale pubblica, spirito civico, aspirazione universale
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L’ostacolo supremo al disegno del leader russo è la persistenza della democrazia, la sua capacità di essere forma e regola, istituzione e metodo, ma anche morale pubblica, spirito civico, aspirazione universale
Con il nuovo slancio pedagogico per trasformare le sue scelte di potere in concetti, e battezzare con un concetto ogni nuova fase che si apre, Vladimir Putin attorniato dai suoi filosofi di riferimento ha annunciato l’apertura di un nuovo capitolo nello scontro con l’Occidente: «Le relazioni internazionali sono entrate nell’era dei cambiamenti fondamentali e un nuovo ordine mondiale che riflette la diversità del pianeta si sta formando nel mondo. Questi processi non possono essere fermati».
Dunque ci siamo arrivati, era questo l’obiettivo metafisico, immateriale, strategico del leader del Cremlino, dietro i carri armati lanciati a invadere l’Ucraina, spezzare nuovamente l’Europa e chiudere il lungo dopoguerra di pace: sradicare gli elementi fondamentali su cui si reggeva l’impianto istituzionale, politico, diplomatico, normativo e valoriale che teneva insieme le parti diverse del mondo e i soggetti nazionali antagonisti nell’impegno comune di coesistenza, producendo misure di garanzia a tutela della pace, della libertà, del diritto.
Oggi Vladimir Putin ci avverte che ce l’ha fatta, quel meccanismo che ha trasformato a lungo il mondo in sistema è saltato, siamo entrati in un’epoca incognita dove manca ogni criterio comune di giudizio. Viviamo senza più una nozione comune del bene e del male, con la politica cieca.
Il presidente russo ci ha spesso avvisati, annunciando le sue intenzioni: conviene pertanto prenderlo sul serio, domandandoci dove nasce e dove porta quest’azione costante di Mosca contro l’equilibrio internazionale, come se infine la Russia eterna fosse ritornata ad essere il principio di contraddizione, che solo custodisce e riattiva il fuoco ereditario del confronto-scontro tra Est e Ovest, la pietra di divisione del mondo, anche dopo la caduta del muro di Berlino.
Tutto era cominciato addirittura 17 anni fa, alla conferenza di Monaco sulla sicurezza, quando Putin denunciò il modello unipolare: «È inaccettabile, perché alla sua base non ci può essere alcun fondamento morale per la moderna civiltà, ed è pernicioso perché è un mondo nel quale c’è un padrone, un sovrano, che distrugge se stesso dall’interno di questo centro di forza».
Alla fine del suo intervento Putin quasi si scusò: se vi sono sembrato troppo polemico, non prendetevela con me, dopotutto questa è solo una conferenza. Quindici anni dopo, quelle parole si sono trasformate in pallottole, missili, bombe con l’invasione dell’Ucraina che oggi è diventata una guerra permanente.
Ecco perché Putin ha rinunciato senza problemi al beneficio comune del rango che gli derivava dallo status di membro del concerto tra i grandi Paesi: puntava a proporsi come l’artefice in esclusiva di un modello alternativo, l’architetto del nuovo ordine mondiale, capace di costruire un diverso sistema da proporre ai Paesi non occidentali come una vera e propria rivoluzione conservatrice, emancipatrice e autonoma, con l’obiettivo titanico di spostare l’asse del mondo sottraendolo all’Ovest, con il cambio di riferimenti, di valori e di gerarchie che ne consegue.
I cardini dell’operazione sono quattro: la creazione di un mondo multipolare dove l’Occidente non abbia più il controllo decisivo delle dinamiche internazionali; il rifiuto dell’egemonia occidentale; il passaggio a Oriente dei nuovi equilibri, con le grandi civiltà alternative alla cultura euro-americana come quelle eurasiatica, islamica e cinese che entrano in gioco operando come blocchi geopolitici autonomi e con alleanze; il ruolo missionario e universale della Russia che, sentendosi sciolta da ogni vincolo se non quello con il proprio destino immaginifico, si offre al resto del mondo non occidentale come una «forza rivoluzionaria post-liberale e conservatrice», contro il nichilismo, il rifiuto della tradizione, la globalizzazione e la società aperta.
Un nuovo Stato essenziale, «non nazionale perché imperiale, salvifico, escatologico e apocalittico — dice il filosofo Aleksandr Dugin — . È l’ultimo avamposto della salvezza, la nuovo ed eterna Arca».
È evidente che l’ostacolo supremo a questo disegno è la persistenza della democrazia, la sua capacità di essere forma e regola, istituzione e metodo, ma anche morale pubblica, spirito civico, aspirazione universale. L’attacco di Putin è direttamente alla sua sostanza, al nucleo della sua natura e della sua essenza: cioè il principio liberale, nell’obiettivo di separare la forma e l’espressione della democrazia dai valori del liberalismo, riducendola a un guscio vuoto, disarticolato e inerte.
Ma il momento è esattamente questo, perché secondo la lettura di Mosca al culmine del suo ciclo vittorioso, nel 1991, il liberalismo ha iniziato a implodere e oggi sta cedendo senza riuscire a governare le crisi economico-finanziaria, sanitaria, del lavoro, della rappresentanza e del consenso.
È il momento di andare all’offensiva, smascherando il velo sull’aspetto ideologico, di potere, ma anche politico, militare, strategico del liberalismo, e cancellando l’errore che la storia ha commesso con la caduta dell’Urss, per manipolare infine a posteriori l’equilibrio disegnato dalla storia tra Est e Ovest, a fine Novecento.
Per noi occidentali rimane solo un dubbio: abbiamo le energie, le risorse, la forza, la coscienza e l’autonomia per difendere il nostro modello di vita, i nostri valori e la nostra civiltà dalla sfida culturale che cammina davanti ai blindati di Putin e in realtà li guida?
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