Se per Putin Gaza è “una nuova Stalingrado”
Perchè il leader del Cremlino sostiene la "resistenza" di Hamas
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Perchè il leader del Cremlino sostiene la "resistenza" di Hamas
• – Yurii Colombo
Due operazioni notturne israeliane possono far tracimare la guerra da Gaza all’Iran, passando per il Libano
• – Redazione
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• – Redazione
Eliminato il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, colpito da un raid israeliano mentre si trovava nella capitale iraniana
• – Aldo Sofia
L’operazione a Teheran riporta il Mossad ai fasti degli Anni Settanta
• – Redazione
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Fa discutere l’ipotizzata dismissione dello Spazio Culturale Svizzero a Venezia. Nulla è stato ancora deciso, ma i timori aumentano, mentre il dibattito sulle priorità di spesa e sui tagli dell’ente pubblico potrà sempre meno essere ignorato
• – Michele Ferrario
Il capo del DATEC è una volpe nel pollaio che ha trasformato la politica del suo dipartimento secondo i dettami dell'UDC
• – Beat Allenbach
E neanche la Svizzera, il Ticino e i Grigioni. La retorica del "destino tragico delle valli" e l'irresponsabilità dei negazionisti climatici causeranno sempre più vittime
• – Redazione
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• – Franco Cavani
Perchè il leader del Cremlino sostiene la "resistenza" di Hamas
Putin ha recentemente paragonato la Striscia di Gaza a Leningrado, che fu lungamente assediata dalla Germania durante la Seconda Guerra Mondiale, provocando l’ira degli israeliani e il plauso di Hamas. Paragone “forte” ad uso e consumo dell’opinione pubblica “pro-Palestina”. Storicamente il ruolo dell’URSS era stato di sostegno alla causa arabo-palestinese ma nei primi venti anni dell’era Putin i rapporti della Russia con Israele erano stati molto buoni soprattutto dal punto di vista commerciale. Tuttavia le cose sono iniziate a mutare rapidamente dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022, quando il regime di Mosca ha dovuto iniziare a pensare come mettere insieme la questione siriana con quella turca (e con quella iraniana) ancor prima di quella palestinese.
“Per anni la Russia si è presentata come mediatrice in Medio Oriente, ma ora il Cremlino non ha né la capacità né la volontà di perseguire una vera riconciliazione o risoluzione dei conflitti” sostiene Anna Borshevskaya del “Washington Institute for Near East Policy”. Si tratta di una tesi sostanzialmente corretta ma è al contempo vero che Putin naviga prima di tutto a vista e cerca di capire come sia possibile aprire delle linee di faglia nel principale campo nemico, ovvero quello americano.
“Si tratta di presentare la Russia come una grande potenza senza la quale non si può prendere alcuna decisione internazionale fondamentale, e come un contrappeso agli Stati Uniti”, afferma correttamente l’esperta, per la quale l’obiettivo dichiarato della Russia in politica estera è quello di “distruggere l’ordine mondiale liberale e sostituirlo con uno multipolare”.
“Tutto il mondo è concentrato su Israele e sulla Striscia di Gaza, il che significa che la Russia ha molto margine di manovra in questo momento”, afferma Nikolay Kozhanov del Centro per gli Studi sul Golfo dell’Università del Qatar, il quale cita, a sostegno di quanto afferma, il fatto che la Russia è stata in grado di eliminare il trattato per la messa al bando dei test nucleari in modo relativamente silenzioso: la Duma di Stato ha approvato recentemente una legge in tal senso senza che nessuno se ne accorgesse.
Sei giorni fa Bashar al-Assad è atterrato a Mosca per un incontro a quattr’occhi con Putin. Uno dei temi trattati dai due leader è stato quello di un possibile negoziato tra il presidente siriano e Erdogan. La Turchia ha interrotto i rapporti diplomatici con la Siria dopo l’inizio della guerra civile nella repubblica araba nel 2011 e attualmente mantiene le sue forze militari nel nord-ovest della Siria ma Damasco insiste da tempo sul ritiro di tutti i militari turchi dai suoi confini. Con i chiari di luna che ci sono nella regione e la netta posizione assunta dalla Turchia in chiave anti-israeliana, il Cremlino vorrebbe mettere un punto perlomeno a questa vertenza.
Secondo Iqbal Durre, professore associato presso il Dipartimento di Studi Regionali Esteri dell’Università Linguistica Statale di Mosca, dopo che Damasco ha ammorbidito la sua posizione sul ritiro delle truppe turche, si è aperta una finestra di opportunità per una potenziale ripresa dei colloqui tra Turchia e Siria. Da lì si potrebbe pensare a nuovi accordi tipo quello di Astana di qualche anno fa, che metterebbero Tel Aviv di fronte a un fatto compiuto nella riconfigurazione della regione.
In questo contesto la complessità delle relazioni tra Russia e Israele è destinata a perdurare. Israele è rimasta a guardare il conflitto in Ucraina. Tel Aviv non ha aderito alle sanzioni occidentali, non ha fornito armi all’Ucraina ma è stata “critica” nei confronti dell’azione militare russa e ha accolto i rifugiati ucraini e la nuova diaspora giovanile russa no-war. Il punto di equilibro tra i due Stati finora è stato chiaro: nessuna interferenza reciproca nei due conflitti che stanno tenendo con il fiato sospeso il mondo.
C’è poi la questione dell’Iran. In effetti, un conflitto più ampio che coinvolga Hezbollah e altri sostenitori iraniani potrebbe dirottare gran parte degli aiuti militari che Teheran ora invia a Mosca. Putin doveva atterrare a Teheran tra qualche giorno per discutere anche di questo ma ora potrebbe rimandare una visita che avrebbe un chiaro significato politico.
Resta infine la questione dei rapporti diretti tra la Russia e Hamas. Una delegazione del movimento di Hamas il 1° marzo scorso è giunta a Mosca e ha avuto una lunga discussione con l’Inviato Speciale del Presidente russo per il Medio Oriente e l’Africa, Mikhail Bogdanov, nell’ambito degli incontri tra i rappresentanti dei vari movimenti palestinesi, tra cui Fatah e la Jihad Islamica, per giungere a un’unità d’intenti nella lotta contro Israele. Per ora la Russia appare solo come il “gran cerimoniere” di un eventuale armistizio tra fazioni palestinesi ma è chiaro che in questo modo il Cremlino può capire meglio cosa succede nel radicalismo politico mediorientale.
Putin ha, in ultima istanza due obiettivi principali in Medio Oriente: mantenere il flusso di armi dall’Iran e una presenza militare in Siria, dove la Russia controlla il porto di Tartus. Un piatto forse non ricchissimo, ma che esige comunque ampiezza di vedute e rapidità di manovra.
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