Triangolazioni continue per aggirare le sanzioni
Come ‘l’economia da guerra’ di Putin cresce grazie ai numerosi paesi che hanno da guadagnare aiutando la Russia
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Come ‘l’economia da guerra’ di Putin cresce grazie ai numerosi paesi che hanno da guadagnare aiutando la Russia
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Come ‘l’economia da guerra’ di Putin cresce grazie ai numerosi paesi che hanno da guadagnare aiutando la Russia
Molte delle aspettative dei governi occidentali sulla tenuta economica della Russia erano legate alle sanzioni, imposte a ritmo crescente (e disordinato) dal febbraio 2022. Anche recentemente gli Usa hanno sanzionato La “Pobeda Airlines” (la compagnia aerea low-cost russa), gli operatori e le navi del progetto “Arctic LNG-2”, oltre che aziende di Turchia e Cina che hanno aiutato Mosca ad aggirare le restrizioni alle importazioni.
Ormai i pacchetti di restrizioni all’economia russa non si contano ma le conseguenze sul regime di Putin continuano ad essere, almeno per ora, limitati.
Alla fine del 2023, la dinamica dell’economia della Russia ha superato le aspettative della maggior parte degli analisti. Il PIL è cresciuto del 3,6%. Il Fondo Monetario Internazionale ha alzato le previsioni di crescita economica del paese per il 2024 di 1,6 punti percentuali, portandole al 2,6%. Prestazioni economiche che farebbero felici gran parte dei Paesi europei. E queste performances del governo di Mosca hanno nuovamente e inevitabilmente provocato controversie sull’efficacia delle sanzioni occidentali.
Secondo Alexandra Prokopenko, ricercatrice presso il “Carnegie Berlin Centre for Russia and Eurasia Studies” l’economia russa “si è difesa dagli shock esterni, permettendo alle autorità di adattarsi alle nuove sfide; i principali pilastri della crescita economica russa sono l’elevata spesa (soprattutto bellica), e la disponibilità dei partner asiatici (soprattutto Cina e India) ad acquistare grandi volumi di risorse energetiche russe e a fornire componenti e tecnologie necessarie all’industria”.
In alcuni settori dell’industria leggera, come quello dei mobili, si è assistito a un aumento significativo della produzione nazionale, la quale spesso non eccelle per qualità ma è in grado di rispondere alle esigenze di una domanda interna crescente determinata dall’aumento dei salari. In altri settori, come quello automobilistico, la fuoriuscita dal mercato dei marchi tedeschi, francesi o sudcoreani ha favorito la crescita della vendita e della circolazione di macchine cinesi.
L’impossibilità di usare il sistema Swift per le transazioni internazionali grandi e piccole ha provocato in Russia inizialmente una grande richiesta di valuta internazionale in contanti, richiesta che però si è placata nel tempo grazie all’utilizzo di vari trucchi per aggirare le sanzioni. Oggi i commercianti russi che vogliono acquistare in Occidente utilizzano perlopiù la pratica della triangolazione. Da gennaio a marzo 2023 le esportazioni di automobili e pezzi di ricambio dalla Germania al Kirghizistan, per esempio, sono aumentate del 429% su base annua. Il Paese centro-asiatico si è trasformato in un’importante piattaforma per quelle che in Russia vengono chiamate le “importazioni parallele”, che in realtà sono una deliberata violazione delle sanzioni occidentali.
“È chiaro che si tratta di un’attività volta ad aggirare la legge”, ha dichiarato Gabriel Felbermayr, direttore dell’Istituto austriaco per la ricerca economica (Wifo),
I dati mostrano una crescita innaturale ed esplosiva del “Made in Germany” in alcuni Stati post-sovietici dell’Asia centrale e del Caucaso meridionale. Il paese leader di questa dinamica “triangolare”, come abbiamo detto, è il Kirghizistan, uno dei paesi più poveri dell’area con un pil pro capite di poco più di mille dollari all’anno, che lo scorso anno ha aumentato gli acquisti di prodotti tedeschi di oltre sei volte. Nel primo trimestre del 2023, le esportazioni dalla Germania verso questo Paese sono aumentate del 949% rispetto ai primi tre mesi dello scorso anno. Sono cresciute, allo stesso tempo, anche le esportazioni tedesche in Armenia +172%, Tagikistan +154%, Kazakistan +136% e Uzbekistan +92%. Tutto ciò mentre i giornali occidentali gongolavano per la riduzione di forniture dalla Germania alla Russia: diminuite “soltanto” del 47%.
Allo stesso tempo, per risolvere il problema della mancanza di valuta straniera per commerciare, per fare acquisti sulle piattaforme commerciali o più semplicemente per viaggiare senza i limiti dei contanti esportabili (10.000 dollari) i cittadini russi hanno trovato un sistema semplicissimo. Come ci spiega un organizzatore di viaggi moscovita, che intende restare anonimo, “i russi volano fino a Tashkent, la capitale uzbeka, dove non ci sono formalmente limiti di esportazione di danaro e non c’è bisogno di visto di entrata. Dopo essersi presi una stanza d’albergo per una sola notte chiedono la residenza in comune che gli viene data entro 24 ore. Con questo certificato aprono in rubli o in valuta un conto corrente. La banca più gettonata in questo momento per questo tipo di operazioni, grazie alla semplicità dell’attivazione, è “Kapital Bank”. Si fa un primo versamento e si viene forniti di carta di credito Visa o Mastercard utilizzabile in tutto in mondo. Poi, tornati in Russia, con una normale carta di credito russa senza SWIFT si potranno versare rubli su quella carta trasformandoli direttamente in valuta pregiata. E il gioco è fatto”.
Un altro sistema finora usato per esportare valuta fino a un milione di dollari è quello di aprire un conto corrente presso la banca austriaca Raiffeisen Bank, che ad oggi è l’unica che misteriosamente opera in Russia usando lo SWIFT. Da qualche mese, le pressioni soprattutto americane nei suoi confronti sono aumentate ma la banca austriaca conta di realizzare un “soft landing” riducendo sì le sue attività in Russia del 65% ma solo entro il 2027.
Naturalmente questi strumenti finanziari non possono essere usati per le grandi transazioni commerciali che usano strumenti più sofisticati, ma danno l’idea di quanto il sistema delle sanzioni abbia operato “sui generis” negli ultimi due anni.
Ciò non vuol dire che la Russia non abbia dei problemi legati al sistema sanzionatorio. Nonostante la crescita significativa delle entrate non petrolifere e del gas (+25% entro la fine del 2023), la Russia sta diventando sempre più agganciata all’ago del petrolio. Un calo significativo e prolungato (sei mesi o più) della domanda di esportazioni di petrolio e gas della Russia (ad esempio, a causa di una recessione o di un aumento delle sanzioni) sarebbe doloroso per il bilancio russo. Ma per ora Putin naviga a vista e non ha pretese di sviluppare strategie a lungo termine da questo punto di vista.
Per esempio la “flotta ombra” è la risposta russa alla politica del “tetto dei prezzi” sul petrolio deciso dai paesi occidentali. Questo accordo vieta loro di trasportare e assicurare il petrolio proveniente dalla Russia se esso viene venduto al di sopra dei 60 dollari al barile. Ma cos’è la “flotta ombra”? Si tratta di vecchie navi, che cambiano spesso nome, bandiera e proprietario formale e non hanno un’assicurazione occidentale. Non si tratta di una novità assoluta: sono già state ampiamente utilizzate nel passato per il commercio dei paesi sottoposti a sanzioni, come Iran, Corea del Nord, Venezuela. Ma oltre a questa “flotta nera” che opera al di fuori delle regole del commercio marittimo globale, esiste anche una “flotta grigia”, con una struttura proprietaria più identificabile, ma con l’impossibilità di valutare la conformità di queste navi ai regimi di sanzioni.
Il numero esatto di “petroliere ombra” è sconosciuto, ma è certo che il loro numero ha iniziato a crescere bruscamente a partire dal 2022, grazie alla Russia. Le società di ricerca Vortexa e Windward, che hanno sviluppato un sistema per tracciare la “flotta ombra”, hanno stimato il numero totale di “petroliere nere” in 1.100 (con un aumento del 21% dall’inizio della guerra), più altre 900 “grigie” (con un aumento del 68%). E tra gli acquirenti più attivi degli ultimi mesi del petrolio russo trasportato dalla “flotta ombra” c’è l’India, che per il momento non sembra temere le minacce americane. E che, evidentemente, non è l’unico.
Nell’immagine: uno degli impianti mobili del progetto “Arctic LNG-2”
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