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Il servizio pubblico alla ricerca di sé, fra lineare e digitale


Enrico Lombardi
Enrico Lombardi
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• 3 Novembre 2021 – Enrico Lombardi

Nel periodo elettorale i contributi di candidate e candidati sono benvenuti sulla nostra zattera secondo queste regole

Sul settimanale “Azione” di lunedì, nella sua rubrica dedicata ai programmi radiotelevisivi, Marco Züblin ha opportunamente messo l’accento su una certa propensione ombelicale della programmazione televisiva della RSI, che, forse complici le condizioni pandemiche, ha portato ad un’accresciuta offerta di trasmissioni incentrate sul territorio, setacciato in lungo in largo e in sovrabbondanza.

Così, alla mezz’ora canonica e liturgica del “Quotidiano”, ai frequenti racconti locali di “Storie” si possono aggiungere, in settimana, le “uscite” di “Siamo fuori” (diretta quotidiana del pomeriggio fra la gente – che non di rado non c’è, o non si fa trovare, o va inseguita fino a casa) oppure i cicli andati in onda nelle scorse settimane come “Non te lo dirò mai” (sui bricchi ed i boschi dei funghi e di chi li cerca – e a volte trova) o “Salirò” (strade e vallate attraversate in bicicletta).

Insomma, è tutto un arare il terreno (peraltro già ampiamente percorso) che fatalmente, ogni volta, si scopre limitato, per non dire piccolissimo. E allora, fatalmente, ci si imbatte, gira e rigira, negli stessi interlocutori, si finisce negli stessi luoghi (comuni) del “rapporto con il pubblico” che va sempre conquistato e riconquistato, per pubblica missione.

Ora, è indiscutibile, come viene spesso detto e ribadito dall’Azienda, che non c’è servizio pubblico senza pubblico, che è per il pubblico più vasto (seppur differenziato) che si lavora e che è ad esso che ci si rivolge instancabilmente. Nell’offerta lineare, televisiva e radiofonica, la questione sta però assumendo, forse, un po’ troppa angosciata importanza, forse (e anche legittimamente) per il calo di ascolti ed interesse cui si assiste in questi ultimi anni.

Il fenomeno è generale, non tocca certo solo la RSI, ma la natura stessa della fruizione di radio e televisioni generaliste, e magari anche di servizio pubblico. La programmazione “lineare” si confronta (e a volte si scontra) con una domanda del pubblico che trova immediata e più soddisfacente risposta nell’offerta digitale, online.

Del resto, la stessa Direzione Generale della SSR ha da tempo annunciato l’obiettivo di giungere in pochi anni ad un’offerta che sia al 50% lineare e al 50% digitale, e tocca ora alle diverse unità aziendali rincorrere (un po’ a perdifiato, in verità) gli esiti più innovativi (e meno costosi) della “rivoluzione digitale”.

L’impressione è che per quanto riguarda la RSI, di fronte alle tante necessità, soprattutto di risparmio, o di “ottimizzazione” come usa dire più elegantemente, la decisione “strategica” che è stata presa consiste sostanzialmente nel giocare, sul lineare, tutte le carte localistiche, regionali, mentre sul digitale ci si può aprire maggiormente, provare anche a percorrere strade non proprio convenzionali.

Televisione e radio, con la nuova gestione della RSI, cercano di “recuperare” credito ed empatia (notevolmente persi dalla dirigenza precedente) presso il largo pubblico, quello che dà gli alti indici d’ascolto nel preserale e nel prime time, e lo fanno con programmi di facile ed immediato accesso, tendenzialmente di intrattenimento, possibilmente “seriale”.

Dopo funghi e biciclette potremo così aspettarci che arriveranno pesci e pescatori, camperisti, subacquei e maratoneti: basta che si “scopra il territorio” (con il provvidenziale ausilio di stormi di droni). Belle immagini saranno garantite, non c’è da dubitarne, perché il paese è pur sempre un bel paese, e perché i professionisti dell’immagine alla RSI sono molto bravi.

Resta il dubbio che si debba però anche pensare ad una certa “misura”: il troppo, come noto, dopo un po’ non va più giù, e ingolfa anche i palati meno raffinati. Un piccolo e modesto suggerimento: perché non provare ad immaginare che “il territorio” possa essere, ogni tanto, quello “nazionale” e non solo ed esclusivamente, il nostro beneamato Ticino? Certo, per varcare il San Gottardo, e dar conto del resto del paese, la RSI può pur sempre “adattare” produzioni delle consorelle di SRF e di RTS come già fa, meritoriamente, da anni. Il fatto è però che restano come “mondi paralleli” che non comunicano: perché la lingua è diversa, gli stili e gli approcci divergono, il nostro pubblico vuole quel che conosce, cui è abituato, ama la “prossimità”. Appunto, qui si potrebbe fare un bel tentativo: provare a puntare alla “prossimità della coesione”. Obiettivo ambizioso e difficile, ma perché non puntarci? Per ora lo fa, maggiormente e con risultati interessanti, la produzione digitale. Prendiamo ad esempio una serie “podcast” come “ANNA – swiss riot girls”, curata da Valentina Grignoli e dedicata a donne che crescendo o soggiornando in Svizzera, nella storia, hanno cambiato il paese, hanno lasciato una traccia importante della loro presenza. Sette puntate di una ventina di minuti previste quindicinalmente, con la prima già disponibile dedicata alla presunta “strega” Anna Göldi, bruciata sul rogo dopo una sentenza a dir poco opaca ed ambigua.

Una narrazione coinvolgente, un linguaggio moderno e accattivante, buon ritmo, suoni, musiche, rumori per dar conto di una “storia” che merita di essere conosciuta: un bel prodotto che oggi offre il secondo episodio, tutto da scoprire, dedicato a Emma Herweg.

Una proposta che forse il sito RSI potrebbe maggiormente trovare modo di mettere in rilievo, e che comunque si affianca, sempre in ambito culturale, al notevole livello del “canale cultura” curato da Mattia Cavadini. Un canale che offre, spesso e volentieri, “perle d’archivio” incastonate in testi di grande qualità per parlare di temi generali, d’attualità, per evocare o rievocare personaggi e personalità. Basta un’occhiata, aprire il canale, e ci si troverà, ad esempio, in un “focus” dedicato, in questi giorni di commemorazione dei defunti, al tema della morte ed alla maniera di intenderla in Occidente ed Oriente.

Ma quando ci si è dentro, nel canale cultura, è davvero difficile non cominciare a linkare altri capitoli e temi, sempre trovando pagine corredate con documenti d’archivio RSI di notevole livello, preziosissimi: si vedano i “dossier” di Arte, Società e Filosofia. Davvero contributi di rilievo, che meriterebbero una regolare “newsletter” che li promuova.

Ed online è ora anche l’attesa seconda stagione della premiatissima serie di corti intitolata “ARTHUR”, presentata sabato scorso al Cinema Lux di Massagno. I nuovi dieci episodi, di circa 8’ ciascuno, sono già visibili sulla piattaforma nazionale di streaming ad iscrizione gratuita “Playsuisse”: torna dunque, il “serial killer della porta accanto” che fra un delitto efferato e l’altro si è portato a casa, cinque anni fa, una miriade di riconoscimenti internazionali, risultando la serie web più premiata al mondo nel 2016.

Anche questa seconda serie è scritta da Chloe De Souza e diretta da Nick Rusconi con mano sicura e grande talento. La storia, di per sé, si inscrive nel genere “noir”, e come “genere” fa i conti con non pochi riferimenti di produzione seriale di questi anni. Il protagonista, interpretato da un bravissimo Ettore Nicoletti, qui ancor più iconico, personaggio ambiguo e tormentato, ma sempre con un filo di ironia o autoironia, rimanda, fra gli altri, al Frank Underwood dell’acclamatissima serie americana “House of Cards” per il suo modo di rivolgersi improvvisamente in camera, allo spettatore, per un commento, per esprimere uno stato d’animo, un’ intenzione, un turbamento.

Ma “Arthur”, più che nella vicenda raccontata (che mostra qualche limite in relazione, certamente, al formato e alla limitatezza dei mezzi di cui ha potuto disporre) spicca per una scelta di immagini (sporche, fredde, spesso notturne, ma sempre curatissime grazie alla fotografia di Giacomo Jäggli) dentro cui i personaggi si muovono con dialoghi serrati, accoltellandosi o sparandosi, in fondo, come in un fumetto, come in un mondo volutamente bidimensionale, senza profondità, dentro scenari ristretti, concentrazionari eppure affascinanti e vivi.

Una produzione “locale” (RSI con “Inmagine” di Alberto Meroni) che fa i conti, a modo suo e consapevole dei propri “limiti”, con il contesto internazionale, decidendo di darci una vicenda senza tempo e senza luogo, forse americana (ma solo per i cliché evocati) pur svelando, nei titoli di coda, che le immagini sono state girate a Bioggio, Chiasso, Coldrerio, Ligornetto, Mendrisio, Meride, Riazzino… Ecco, torna il territorio. Ma qui è stravolto, trasformato, diventa “neutro” o “assoluto”: un luogo-non luogo, che è forse quello con cui saremo destinati a misurarci anche fuori dalla fiction e fuor di metafora fra non troppo tempo.






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