Un ambiente sano e naturale come diritto umano: le anziane per il clima fanno storia
La Svizzera deve prendere questa sentenza come un’opportunità per dare una svolta alla sua politica climatica - Di Matteo Buzzi
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La Svizzera deve prendere questa sentenza come un’opportunità per dare una svolta alla sua politica climatica - Di Matteo Buzzi
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La Svizzera deve prendere questa sentenza come un’opportunità per dare una svolta alla sua politica climatica - Di Matteo Buzzi
La sentenza della CEDU è logica nei contenuti e estremamente storica nell’associare le lacune della politica di protezione del clima alla violazione di uno o più diritti fondamentali. Essa si inserisce bene nella tendenza in atto che vede le denunce climatiche verso autorità e grandi compagnie in forte crescita a causa dell’incapacità delle autorità politiche e dell’economia di mettere in piedi politiche climatiche in linea con gli accordi di Parigi. Tutti i paesi aderenti alla CEDU si confronteranno con questa sentenza ed è alquanto probabile che altre persone o associazioni in altri paesi inoltreranno in futuro denunce analoghe.
Nonostante le prime scontate polemiche politiche, alla luce di tutti gli elementi scientifici oggi a disposizione la sentenza ha una sua logica rigorosa. Il riscaldamento climatico in Svizzera dall’era preindustriale ha raggiunto i 2.1 gradi e si sta ulteriormente intensificando (il 2023 era già 2.7 gradi oltre la media preindustriale). Questo aumento della temperatura è chiaramente associato all’aumento della concentrazione dei gas serra di origine antropica nell’atmosfera. L’aumento della temperatura media è a sua volta causa dell’aumento delle ondate di calore, in particolare di quelle più estreme. Le giornate tropicali con massime sopra i 30°C e le notti tropicali con temperatura minima sopra i 20°C sono quasi quintuplicate in Ticino dagli anni settanta. La temperatura media dell’ondata di calore su 3 giorni più calda dell’estate è passata in Ticino in media dai 23-24 ai 26-28 gradi. Anche la temperatura massima media dell’ondata di calore più calda dell’anno è passata da 30 a 32-34 gradi. Le conseguenze sanitarie di questa estremizzazione delle ondate di calore sono state evidenti: la mortalità nella popolazione anziana è aumentata sensibilmente. Diversi studi sia a livello svizzero che internazionale lo hanno ormai dimostrato. Le donne anziane sono state le più colpite (da qui la motivazione e la determinazione delle anziane per il clima), così come a livello geografico le popolazioni della Svizzera occidentale e meridionale e quelle nelle aree più urbanizzate. Ognuna delle estati torride dal 2003 ad oggi ha causato in Svizzera un aumento da 500 a 1000 unità dei decessi nella popolazione anziana. Si stima che dal 30 al 60% di questi decessi non ci sarebbe stato in un clima senza effetti antropici. Da qui l’evidente responsabilità delle autorità nell’agire sia in termini di mitigazione (riduzione delle emissioni) che di adattamento (misure preventive, edifici più efficienti, misure per ridurre le isole di calore, ecc.) per proteggere la popolazione anziana in generale e quella anziana femminile in particolare.
Le associazioni ambientaliste, ma anche i Verdi e la sinistra, ribadiscono ormai da anni che la politica di protezione del clima in Svizzera è insufficiente e non permette di raggiungere gli obiettivi climatici contenuti nell’accordo di Parigi e ora anche approvati in votazione popolare il 18 giugno 2023. Anche senza contare l’effetto enorme della piazza finanziaria Svizzera (moltiplica per 14-18 volte le emissioni di gas serra nazionali), il nostro Paese rimane infatti uno di quelli con le emissioni pro capite più elevate al mondo e questo anche a causa di elevate emissioni grigie importate per prodotti e servizi utilizzati in Svizzera ma prodotti all’estero. Se da un lato è già un notevole passo in avanti aver perlomeno inserito nella legge nazionale l’obiettivo finale (neutralità climatica entro il 2050, considerata la nostra responsabilità storica sarebbe stato però più equo puntare al 2040) dall’altro mancano le necessarie misure concrete e i relativi passi intermedi vincolanti per effettivamente raggiungerlo. Soprattutto nel campo dei trasporti, sia terrestri che aerei, nell’agricoltura e nel parco immobiliare come pure nelle importazioni ci sono ancora grossi margini per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra.
L’auspicio è che ora la Svizzera prenda questa sentenza come un’opportunità per dare una svolta alla sua politica climatica: essa deve essere in grado di implementare da un lato misure di mitigazione del mutamento climatico più efficaci e vincolati e dall’altro interventi di adattamento per far fronte a quella parte di mutamento climatico ormai irreversibile. In questo importante percorso sarà fondamentale che i costi della transizione ecologica verso la neutralità climatica non siano scaricati sulle fasce più deboli della popolazione. La creazione di un corposo fondo per il clima come proposto dall’iniziativa popolare di Verdi e PS, appena consegnata alla cancelleria federale, è quindi imprescindibile per il futuro. Solo nel caso in cui gli sforzi saranno proporzionali alla forza economica di ogni residente il Parlamento prima e il Popolo poi saranno nella condizione di approvare misure più incisive e vincolanti.
D’ora in poi, sia in Parlamento che nel Popolo, quando si parlerà di clima e di politica climatica bisognerà però tener ben presente che in gioco ci sono anche i diritti fondamentali.
Matteo Buzzi è meteorologo e climatologo, e deputato in Gran Consiglio per i Verdi
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