Un domani in bianco e nero
In sala da alcune settimane il film d’esordio registico di Paola Cortellesi: un successo imprevisto, forse imprevedibile, meritato
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In sala da alcune settimane il film d’esordio registico di Paola Cortellesi: un successo imprevisto, forse imprevedibile, meritato
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In sala da alcune settimane il film d’esordio registico di Paola Cortellesi: un successo imprevisto, forse imprevedibile, meritato
E invece, in queste due, tre settimane da che il film è nelle sale italiane (e della Svizzera italiana), non si parla che di questo piccolo “miracolo”, in tutti i sensi, visto che sta conquistando critici e pubblico, e sta ottenendo un risultato clamoroso al botteghino, diventando già oggi, il campione assoluto d’incassi fra i film italiani del dopo-pandemia.
“C’è ancora domani” è insomma un film che si mostra capace di (ri)portare il pubblico in sala, dove si viene immersi in un’atmosfera dolente e malinconica prodotta anche da un misurato, eccellente utilizzo del bianco e nero, per raccontare la vicenda di una donna, Delia, che vive, nell’immediato secondo dopoguerra, un’esistenza travagliata, fatta di innumerevoli lavoretti – tanto per portare a casa i soldi che mancano – di tutte le quotidiane mansioni domestiche e soprattutto delle fatali accensioni di violenza di un marito-padrone che quando chiude le imposte nell’ombra del seminterrato dove vivono con una figlia da maritare e due più giovani litigiosi fratelli, si scatena nello scaricare sulla moglie tutta la rabbia e la frustrazione.
Eppure, in questo contesto che pare fatalmente destinato alla tragedia, una lettera misteriosa arriva a segnare la prospettiva di Delia sul mondo, sulla famiglia, sul rapporto di sudditanza nei confronti del marito, sulla necessità di “sistemare” la figlia con un giovane di famiglia appena un po’ più ricca (grazie ai soldi fatti nel vendere partigiani ai tedeschi durante il conflitto). È una lettera che Delia riceve e poi subito nasconde, poi legge, poi appallottola e lascia in un cestino; dopo un po’ di tempo, ritrovandola, la riapre, la stende, la nasconde, la smarrisce inavvertitamente, fino al finale, quando si scoprirà di che si tratta.
Una trama semplice, insomma, con un filo narrativo che in quella lettera ha un’esile e silenzioso motore, per toccare alcuni temi che dai toni di un certo recuperato “neorealismo”, sfiorano la commedia, che si traduce subito in dolce-amaro per finire in dramma e poi risolversi, forse positivamente, di nuovo con un’ipotesi di domani, che ancora pare poter offrire una qualche possibile forma di riscatto, sociale, culturale.
Certo, il tema della violenza domestica è lì a dirci che anche ottant’anni dopo quell’epoca in cui si perpetua il peggio della cultura patriarcale dentro una sua legittimazione data dall’educazione fascista (e post-fascista) ci ritroviamo ancora oggi a prendere mestamente atto di quanti e quali episodi di sopraffazione ai danni delle donne si consumino fra le mura domestiche.
E non c’è dubbio che quello di resilienza e resistenza delle donne nei confronti di violenza ed abusi nei loro confronti sia per Paola Cortellesi ed il suo film un aspetto molto importante. Ma la vicenda sa dire anche altro, e di più. Sa raccontare, per brevi cenni, magari anche solo “fra le righe” di frasi smozzicate e sguardi rubati, di un’epoca, quella appunto dei primi mesi dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale in cui, in Italia ma non solo, si sono vissute non poche “rese dei conti”, fra chi stava da una parte, quella del potere fascista, e chi stava da un’altra, sulle colline, fra le strade a combattere, o nei seminterrati, semplicemente a sopravvivere, a “tener duro” provando a capire come rinascere.
Delia è nel suo sguardo perso e sofferente, eppure capace di illuminarsi nel silenzio della sua bocca da tenere chiusa, per principio, nel suo volto emaciato, in un corpo devastato dalle botte, ma sempre in piedi, pronta a “fare” (per la figlia e per il futuro che rappresenta) riuscendo ad assumere in pieno e con consapevolezza il gesto della sua personale rivolta.
“C’è ancora domani” diventa così un film che sa pure farsi metafora, sa anche rappresentare momenti cruciali di svolta, tappe delle storia che ancora bruciano e su cui occorre, ogni giorno, tornare a riflettere; lo sa fare in modo tenue, delicato (anche laddove la violenza che percorre tutto il film imperversa), grazie in particolare alla grande prova della stessa Cortellesi nei panni di Delia e di uno straordinario “cattivo” marito com’è Valerio Mastandrea.
Non da ultimo, è un film che vuole riflettere sulle conquiste sociali e democratiche, come ad esempio quella del voto alle donne, che in Italia ha coinciso, proprio in quei mesi, con la cruciale votazione sul passaggio dalla Monarchia alla Repubblica. Il voto, appunto, come conquista, come strumento in mano ad ognuno per determinare il futuro, il domani, in un momento come il nostro, in cui, in Italia come da noi, si è perso, fra le tante cose, proprio il senso di quella conquista, mentre l’astensionismo, insomma, pare dilagante e determinante, per lasciare che a decidere delle nostre sorti, politiche, sociali, economiche, siano quelli che già decidono, da tempo, e non certo per noi.
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