Luigi Rossi, gentile, europeo e gran pittore
Visitando l’esposizione di opere di Luigi Rossi aperta alla Pinacoteca Züst di Rancate
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Visitando l’esposizione di opere di Luigi Rossi aperta alla Pinacoteca Züst di Rancate
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Visitando l’esposizione di opere di Luigi Rossi aperta alla Pinacoteca Züst di Rancate
Al lettore che si fida dico che questa è una gran bella mostra: lo possono confermare quanti, nelle scorse settimane, hanno già visitato Luigi Rossi alla Pinacoteca cantonale Giovanni Züst di Rancate (Mendrisio): c’è comunque tempo fino al 25 febbraio 2024 (chiuso il lunedì).
Curata da Matteo Bianchi – pronipote dell’artista e già autore del Catalogo ragionato delle opere (1999) – in collaborazione con la direttrice uscente del Museo, Mariangela Agliati Ruggia e Alessandra Brambilla, l’esposizione sottolinea il centenario della morte del pittore, avvenuta il 6 agosto 1923 quando aveva da pochi mesi superato i 70 anni.
Nella elegante, documentatissima monografia (molto più di un catalogo) pubblicata per l’occasione dalle “Edizioni pagine d’Arte” e curata dallo stesso Matteo Bianchi, si trova una serie di contributi di spessore, tutti godibilissimi, che ci accompagnano lungo la biografia e ci aiutano nella sua contestualizzazione storico-artistica. Le opere più antiche esposte risalgono al 1873; l’ultima, Il falciatore, al 1921. Preziosi gli Apparati (biografia, bibliografia, storia espositiva e schede delle singole opere) curati da Miriam Notari. In copertina è ritratta Gina Maria Bariffi Rossi, figlia dell’artista, sua modella d’elezione e nonna di Matteo (Genzianella, 1908), a riprova della valenza anche affettiva che questa ulteriore impresa dedicata al bisnonno ha avuto per il curatore.
Poco meno di un centinaio i dipinti, presentati in un percorso cronologico che copre fedelmente anche la non infinita varietà di temi e soggetti affrontati dall’artista: il che, si badi bene, non è un limite o la constatazione di una certa ripetitività, ma piuttosto la conferma della coerenza, dell’equilibrio, della misura che attraversa l’intero percorso dell’artista. Quella di Luigi Rossi è una pittura naturalistica, ma anche civile e latamente politica. Nato a Cassarate nel 1853, figlioccio di Carlo Cattaneo, cresciuto in ambienti liberal-democratici a contatto con alcuni esuli italiani (i fratelli Ciani), vicino a Carlo Battaglini, che sulla sua formazione ebbe un influsso importante, nutrito da Stefano Franscini e Heinrich Pestalozzi. Non si perda, in esposizione, la sezione che approfondisce, di Luigi Rossi, il ruolo di educatore democratico.
La mostra ha per sottotitolo Artista europeo tra realtà e simbolo: “europeo” (Rossana Bossaglia, nel 1979) gli si attaglia perfettamente se pensiamo alle capitali culturali del Vecchio Continente in cui egli ha vissuto e lavorato: Torino, Milano (formazione a Brera, prime opere esposte) e Parigi, dove arriva nel 1885 con la moglie e inizia a lavorare su testi letterari illustrando 8 libri di Alphonse Daudet (ritratto nel 1887, del quale diventa amico), Pierre Loti, Victor Hugo, Châteaubriand, ma anche Gottfried Keller. Il successo conseguito in terra di Francia – Tartarin sur les Alpes vende 1 milione di copie – è fulminante e rimbalza verso l’Italia. Lasciata la Ville Lumière nel 1889, rientra a Milano con la volontà di non concentrarsi solo sull’illustrazione, Rossi passa dalla trascrizione pura e semplice della realtà a una pittura simbolista, fortemente influenzato da Gian Pietro Lucini, con cui ha lavorato a stretto contatto.
Mentre Rossi illustra scrittori e poeti, il poeta Lucini compie il percorso opposto iniziando a trascrivere in versi alcuni quadri (tutti in mostra) di Rossi: Scuola del dolore diventa La prima orma; Rêves de Jeunesse porta a Il sogno di un pescatore; Il mosto ispira a Lucini In lode al mosto ( si veda, in proposito, quanto ne ha scritto Paolo Plebani su “Il Cantonetto” .
Nel capoluogo lombardo frequenta Previati, Segantini, i Boito e diventa amico di Giacomo Puccini. Non si allontana tuttavia dalla sua Patria svizzera e intreccia contatti con Albert Anker e Ferdinand Hodler. Quanto alla collaborazione a testi letterari, anche a Milano e in Ticino prosegue con le illustrazioni per opere di Emilio De Marchi, Alfredo Oriani, Francesco Chiesa (La Reggia, 1904), Cuore, nel 1920, di Edmondo de Amicis e un’edizione non datata delle Poesie di Carlo Porta.
Almeno due rapidi cenni meritano l’attenzione rispettosa che l’artista testimonia nei confronti del mondo contadino, della sua dignità, dei suoi aspetti poetici, contrassegnata da una vena di pudica nostalgia per una civiltà che stava per tramontare lasciando il posto a quella industriale: si veda, in mostra, Armée du travail (1898), uno dei capolavori assoluti, oggi appartenente alla Confederazione.
E quella per l’infanzia, a causa della quale il critico Guido Marangoni lo definì “pittore dei bimbi”: si vedano l’acquerello Scuola del dolore (1895), compianto dolente di un bimbo morto, con evidente riferimento autobiografico, contrapposto al luminoso Primi raggi (1900-1905), pienamente simbolista. Proprio quest’ultimo quadro – commenta Matteo Bianchi in catalogo – è da considerarsi uno dei punti più alti della sua produzione, oltre che un cantiere “che conosce varianti e stesure eseguite secondo le diverse tecniche, dallo schizzo preparatorio alla fotografia fino all’opera compiuta”. Una precedente rassegna – ospitata sempre a Rancate nel 2011 – sui rapporti-corrispondenze tra pittura, incisione e fotografia aveva già ben evidenziato questo aspetto. Scrive Giovanna Ginex: “Da discreto dilettante, Luigi Rossi fece un uso ludico della macchina fotografica, spesso in interazione con le sue opere: fotografare se stesso, il suo spazio e le persone a lui care diviene un passatempo raramente slegato dalla pittura, cui persino le riprese apparentemente solo familiari si riallacciano con costanti rimandi” (ma molto altro si può leggere in proposito nel sito dedicato all’artista).
Tra gli aggettivi ripetutamente utilizzati da Matteo Bianchi durante l’inaugurazione per definire il bisnonno vi è “gentile”, da non interpretare, tuttavia, come sinonimo di ingenuo, banalmente figurativo, bozzettistico. “Gentil” viene usato dallo stesso Daudet in riferimento, oltre che ai tratti personali di Luigi Rossi, a quelli della sua pittura: familiare, misurata nei temi, nei toni, nel tratto. E, si potrebbe aggiungere, cordiale, sincera, spontanea Ancora il curatore: “Mai una forzatura si legge nell’immagine della sua poetica tesa alla ricerca della serenità, ora venata di ironia ora di nostalgia”.
Dopo quelle di Villa Ciani a Lugano (1980) e soprattutto Villa dei Cedri a Bellinzona (1985), la mostra della Züst, riconferma, insomma, la statura e la modernità dell’artista. Pur restando vicino alla sua Capriasca, che continua a dipingere mirabilmente (La Valle del Cassarate, 1905-1910), Rossi ha respirato a piene mani l’humus, il clima, la luce delle due metropoli che ne hanno consolidato la formazione e decretato il successo traendo profitto dagli stimolanti incontri con alcune grandi figure della pittura e della letteratura già menzionate, delle quali è diventato amico.
A Biolda, sopra Tesserete sorge la Casa Museo Luigi Rossi, progettata nel 1996 dagli architetti Edy Quaglia e Emil Bernegger, che conserva ed espone la collezione di famiglia. Fino a fine febbraio propone un nuovo allestimento dedicato proprio alla presenza del pittore nell’amata regione della Capriasca.
Nell’immagine: Luigi Rossi, autoritratto
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