Dal nostro corrispondente da Mosca
Sull’ “Economist” del 4 novembre è stata pubblicata un’intervista al Comandante in capo dell’Ucraina, il generale Valerij Zaluzhnij: in essa per la prima volta appare evidente una dialettica interna alla leadership ucraina e una valutazione diversa del corso della guerra rispetto alla narrativa del Presidente Zelenskij, ripetuta come un mantra per mesi secondo cui “tutto stava andando secondo i piani”. Intanto perché si mettono nero su bianco i risultati della controffensiva ucraina iniziata ormai da oltre cinque mesi: i chilometri conquistati in questo periodo sono stati solo 17. La precedente offensiva russa di Bakhumt, considerata dagli specialisti anglo-americani come “deludente”, aveva prodotto conquiste per una quarantina di chilometri quadrati. Ciò conduce il generale ucraino a sostenere che saremmo giunti a uno “stallo” e “molto probabilmente non ci sarà una svolta profonda e positiva”.
Questa impasse ha anche minato la convinzione del generale Zaluzhnij di poter fermare la Russia dissanguando le sue truppe. “Questo è stato il mio errore. La Russia ha avuto almeno 150.000 morti. E qualsiasi altro paese di fronte tali perdite avrebbe fermato la guerra”. Sono stati sottovalutati probabilmente alcuni fattori che un uomo comunque nato nell’ex-URSS avrebbe dovuto tenere in considerazione: primo, lo spirito di sacrificio e di obbedienza dei russi; secondo, la superiorità numerica in termini assoluti.
Tuttavia lo stratega ucraino, dopo essere tornato a leggersi un vecchio manuale sovietico del 1941 intitolato “Violazione delle linee di difesa fortificate”, sostiene che nell’attuale fase il “fattore tecnologico” sia determinante. Ciò che sarebbe mutato oggi rispetto alla Seconda Guerra Mondiale sono “i moderni sensori: possono identificare qualsiasi concentrazione di forze e impiegare le moderne armi di precisione che possono distruggerle”.
Queste considerazioni di carattere “tecnico” però evidenziano la scelta del numero uno dell’esercito di venire allo scoperto e di rilanciare la palla implicitamente sul terreno prettamente politico con una ineludibile domanda: se non si può vincere la guerra a breve, bisogna iniziare a fare dei passi diplomatici?
Qui però vengono i dolori, perché l’amministrazione Zelenskij su questo terreno ha dimostrato finora poca attitudine. Per esempio, dopo il 7 ottobre il presidente ucraino ha sostenuto incondizionatamente Israele senza bilanciare queste prese di posizioni con un riconoscimento dell’esistenza di una “questione palestinese”. Questo non aiuterà a portare dalla sua parte molti paesi arabi che finora sul conflitto slavo erano rimasti alla finestra. Inoltre rischia di convincere molte nazioni del “Sud del Mondo” che il diritto all’autodeterminazione dei popoli per il governo Kiev è una questione che attiene a una sola nazionale: la propria.
A quattro giorni dalle esternazioni di Zaluzhtenij, il presidente Zelensky ha replicato intervenendo alla “NBC News”, in cui ha negato che la situazione sui campi di battaglia del Donbass sia bloccata, e ha ribadito le richieste agli Stati Uniti per la fornitura di più armi. Un altro passo discutibile. E’ difficile pensare che con la guerra in Medio Oriente, e le elezioni presidenziali che si avvicinano, Washington possa garantire all’Ucraina ancora più 75 miliardi di dollari in aiuti militari, umanitari e finanziari finora concessi. Lo stesso vale per l’Unione Europea, dove i mal di pancia di una parte dell’opinione pubblica a sostenere lo sforzo bellico dell’allato diventano sempre evidenti.
Alcuni volontari italiani presenti in Ucraina per portare aiuto alla popolazione civile ci hanno confermato che anche tra gli ucraini stanno iniziando a prevalere stanchezza e rassegnazione. “Qui la gente – ci ha confidato uno di loro – sa bene che la controffensiva non è andata come si sperava e che ora l’inverno rattrappirà ogni iniziativa bellica”.
Buona parte della stampa ucraina chiede a gran voce “di non permettere che il nemico ora ci divida”, tuttavia prima o poi si porrà il problema delle elezioni presidenziali (per ora ipotesi accantonata da Zelenskij) in cui emergeranno inevitabilmente non solo le perplessità ma delle vere e proprie alternative alla dirigenza ucraina attuale.
Per ora è venuto allo scoperto solo Oleksij Arestovich, uno dei più stretti collaboratori di Zelenski fino al gennaio 2023, ma che ha poi abbandonato il Paese e sostiene di volersi presentare alle prossime elezioni “anche se fossero tra due anni”. Non rappresenta, verosimilmente, un pericolo per Zelenski. Tuttavia alcuni dei suoi punti programmatici sono condivisi da molti ucraini: per esempio la riforma del sistema di mobilitazione (introducendo la rotazione del personale mobilitato e la possibilità concessa agli uomini di poter andare all’estero, seppur temporaneamente). Inoltre, lo sfidante del capo dello Stato chiede una sburocratizzazione delle strutture che dovrebbero facilitare lo sviluppo della piccola imprenditoria. Il presidente in carica sa di doversi confrontare con un rivale che sarebbe un errore sottovalutare.
Nell’immagine: il generale Valerij Zaluzhnij