Un “Manifesto” per le cure di qualità
Gli addetti alle cure e all’assistenza rivendicano servizi di qualità non orientati al profitto. Grazie al sindacato nazionale UNIA hanno pubblicato un Manifesto
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Gli addetti alle cure e all’assistenza rivendicano servizi di qualità non orientati al profitto. Grazie al sindacato nazionale UNIA hanno pubblicato un Manifesto
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Gli addetti alle cure e all’assistenza rivendicano servizi di qualità non orientati al profitto. Grazie al sindacato nazionale UNIA hanno pubblicato un Manifesto
Durante la pandemia abbiamo sentito ripetere la favoletta secondo cui “Nulla sarà più come prima” e gli infermieri venivano salutati da grandi applausi. Invece il personale di cura continua a essere confrontato con condizioni di lavoro pesanti, con ritmi spesso insostenibili, con riconoscimenti inesistenti.
UNIA, sindacato interprofessionale, si è chinato su questo tema, soprattutto per quanto riguarda il settore delle cure di lunga durata, e presenta un “Manifesto per cure e assistenza di qualità” che stila una serie di rivendicazioni da lanciare sui tavoli della politica.
È un documento che sviluppa diversi temi, ma che definisce un principio chiaro: “No al primato delle esigenze economiche a scapito del personale e delle persone bisognose di cure. Tutte le collaboratrici e i collaboratori del settore sottostanno infatti a questo processo di mercificazione. Le cure e l’assistenza alle persone bisognose vengono frammentate in singole fasi di lavoro e ‘ottimizzate’. Il personale deve procedere al cosiddetto ‘minutaggio’ delle fasi di lavoro: per ogni fase di lavoro dispone cioè di un lasso di tempo predefinito e appena sufficiente. Al contempo si assiste ad un aumento della burocrazia, necessaria a giustificare le singole fasi di lavoro nei confronti delle casse malati e delle autorità. Tempo prezioso che viene a mancare alle persone bisognose di cure! A risentire di questa logica del profitto sono la qualità delle cure e dell’assistenza, ma anche le condizioni di lavoro del personale”.
Il Manifesto si basa su una ricerca curata dalla SUPSI in collaborazione con UNIA: “Mettere i lavoratori al centro della promozione di un’assistenza di qualità”, dei professori Nicolas Pons-Vignon e Jason Schneck. Lo scopo dello studio è dar voce ai lavoratori del settore delle cure di lunga durata raccogliendo i loro punti di vista.
Con l’aumento delle malattie croniche e con l’invecchiamento della popolazione, l’OCSE prevede che in Svizzera vi sarà un incremento del 40% del fabbisogno di personale tra il 2023 e il 2033. La crisi nel settore delle cure di lunga durata è già realtà, il numero degli operatori che lasciano la professione è in continuo aumento. L’OCSE afferma che, per risolvere la crisi, “i responsabili politici devono affrontare le questioni delle condizioni di lavoro e di retribuzione, promuovendo il dialogo con i lavoratori”.
La ricerca della SUPSI ha coinvolto dipendenti delle case per anziani di tutta la Svizzera. Tre le principali domande poste ai lavoratori: Cosa intende per “buone cure” dal punto di vista del personale? Le condizioni di lavoro come influenzano la qualità delle cure? Qual è l’impatto degli indicatori di qualità sulle vostre relazioni con i residenti e i colleghi? Significativo che al centro del lavoro di analisi venga posta la sensibilità e le visioni delle lavoratrici e dei lavoratori.
Il punto cruciale su cui si sofferma la ricerca SUPSI è la riduzione dei costi. “Il modo in cui il lavoro è organizzato nelle Case per anziani cerca di massimizzare l’efficienza per ridurre i costi, il che equivale in un certo senso ad applicare il tempo della produzione industriale a una casa per anziani. Benché la gestione attenta delle spese non sia intrinsecamente sbagliata, emergono problemi quando tale strutturazione si scontra con la natura del lavoro. A differenza della produzione in catena di montaggio, la cura a un essere umano è un processo relazionale delicato e può comportare molti imprevisti. La complessità delle cure spesso non può essere svolta in modo lineare, come previsto da compiti predefiniti. Al contrario, i dipendenti svolgono più compiti contemporaneamente, evidenziando una discrepanza tra ciò che ci si aspetta e ciò che è richiesto”.
Le modalità del lavoro determinano un sovraccarico per i dipendenti che sono costretti a razionare continuamente le cure e quindi a non poter soddisfare i bisogni dei pazienti. Tutto ciò favorisce la stanchezza di chi lavora, causa dell’incremento di assenze, stress, frustrazione e abbandoni. “Più in generale – sottolinea la ricerca – i dipendenti percepiscono una mancanza di riconoscimento, sia finanziario che professionale o personale”. Un partecipante alla ricerca ha sintetizzato efficacemente: “Una buona cura non consiste solo nel mantenere in vita un corpo”.
Il Manifesto di UNIA è stato approvato alla fine di agosto e ora verrà diffuso nei Cantoni e al grande pubblico. Il concetto che sta alla base è la denuncia dei nuovi modelli di finanziamento, che obbligano le case per anziani, le case di cura, le cure a domicilio, le istituzioni sociali e anche gli ospedali ad essere redditizi. Se l’assistenza si orienta verso il profitto ne vanno di mezzo la cura delle persone bisognose, i famigliari e il personale.
La lista delle rivendicazioni è lunga. Le professioni del ramo delle cure e dell’assistenza devono essere maggiormente valorizzate e rese più attrattive. Le condizioni di lavoro devono migliorare: occorre più personale, limitazione delle ore in eccesso, contratti di lavoro. Si devono rivendicare salari minimi vincolanti a livello nazionale, supplementi equi per lavori svolti fuori orario. Va garantita un’offerta di formazione e di perfezionamento costante con una compensazione della perdita di guadagno. Ci sono nuove forme di assistenza, come le badanti, che nascono in seguito all’invecchiamento della popolazione. Si trovano in una zona grigia perché per le assunzioni dirette nelle economie domestiche private non si applica la legge sul lavoro. I e le badanti devono poter contare su contratti collettivi di lavoro su scala nazionale.
Un Manifesto che ha fatto scuola è quello del collettivo inglese “Care”, che si occupa degli stessi temi affrontati da UNIA. Naomi Klein, nota scrittrice e attivista canadese, ha ben sintetizzato il senso di questi lavori: “Il Manifesto della cura è un brillante invito a trasformare la nostra economia e la nostra società, una mappa per capire come uscire da crisi che si affastellano le une sulle altre, e dare forma a un nuovo tessuto sociale. L’etica della cura universale è l’antidoto alla spirale di incuria che il sistema attuale mostra di avere per le persone e il pianeta. Gli autori e le autrici ci dicono che la cura non è un bene: è una pratica, un valore fondamentale e un principio organizzativo sulla base del quale possono e devono sorgere nuove politiche”.
Enrico Borelli, co-responsabile nazionale del dossier cure di UNIA, sottolinea che “per raggiungere l’auspicata svolta, superare questa grave crisi e salvare il salvabile ci sono due aspetti centrali: disporre di un migliore finanziamento delle cure e coinvolgere i lavoratori nella pianificazione del lavoro in funzione dei reali bisogni dei residenti. In fondo la domanda da porsi è semplice: i nostri genitori e nonni hanno il diritto di vivere con dignità la loro vecchiaia e di ricevere cure di qualità? Se sì, l’ente pubblico, quindi lo stato deve trattare la questione in modo urgente e prioritario, visto che è un vero tema di società che interessa ciascuno di noi, e liberare le necessarie risorse”.
“In prospettiva – dice ancora Borelli – è indispensabile costruire una coalizione, un’alleanza che riesca a porre il tema come prioritario per la società. Fondamentale coniugare le istanze degli anziani con quelle del personale”.
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