L’accettazione dei reciproci traumi
Equilibrismo e comprensione dei traumi: l’equipaggiamento dell’osservatore del conflitto israelo-palestinese.
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Equilibrismo e comprensione dei traumi: l’equipaggiamento dell’osservatore del conflitto israelo-palestinese.
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• – Enrico Lombardi
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• – Redazione
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Chiara svolta a destra nei risultati, ancora non definitivi, delle elezioni nazionali: l’Udc sfiora il 30% e punta a dettare l’agenda delle camere federali in accordo con quel che resta del PLR
• – Rocco Bianchi
Equilibrismo e comprensione dei traumi: l’equipaggiamento dell’osservatore del conflitto israelo-palestinese.
A poco più di due settimane dal massacro di Hamas, che lo scorso 7 ottobre ha sorpreso Israele completamente impreparato, il bilancio è drammatico.
I morti da entrambe le parti continuano a salire e, degli oltre duecento ostaggi di parte israeliana trattenuti a Gaza, solo due per ora hanno fatto ritorno. Come se non bastasse, nonostante la stanchezza di tutti, riservisti compresi, l’operazione militare si preannuncia lunga e logorante.
L’empatia nei confronti del popolo ebraico si è esaurita in pochi giorni, complice la dura risposta militare di Israele che, pur avendo l’obiettivo di annientare Hamas, si ripercuote drammaticamente sui civili di Gaza la quale sembra venire lentamente rasa al suolo insieme ai suoi abitanti. Se la legittimazione a Israele da parte dei governi occidentali perdura, quella delle masse, soprattutto dopo la spiacevole vicenda del bombardamento dell’ospedale, è agli sgoccioli. Nelle piazze di tutto il mondo si grida già morte agli ebrei, l’antisemitismo è risalito alle stelle e gli ebrei si percepiscono in pericolo, dentro e fuori Israele.
D’altro canto, l’appoggio pressoché incondizionato degli Stati Uniti e dell’Europa alla massiccia controffensiva israeliana cavalca la crociata occidentale nei confronti dei terrorismi di matrice islamico radicale che hanno fatto capolino a partire dall’11 settembre. La nuova sofisticata e disgustosa veste di Hamas, rafforzata dall’attentato di Bruxelles e da numerose segnalazioni dell’intelligence, ha risvegliato timori mai sopiti e rialzato lo stato di allerta in particolare intorno agli obiettivi ebraici come scuole e sinagoghe di tutto il mondo, riportando così anche l’islamofobia al centro del dibattito.
In questo scenario, che comprende il pericolo che il conflitto si estenda a tutta la regione con conseguenze su scala mondiale, basta scorrere le pagine dei social o ascoltare le analisi proposte dai media main stream per vedere come la tifoseria e le categorizzazioni binarie abbiano il sopravvento nel dibattito. Tuttavia, non è certo semplificandolo che si aiuteranno le reali parti di questo conflitto a uscirne e ritrovare un po’ di pace, se mai sarà ancora possibile.
L’ arduo compito che si richiede all’osservatore terzo è piuttosto quello di giocare all’equilibrista, accettando l’oggettiva complessità di questo prisma e tenendone insieme tutte le verità. Vediamone alcune.
La prima è che gli atti disumani commessi da Hamas sono chiaramente ingiustificabili e, come tali, da condannare senza se e senza ma. La seconda è che è possibile esprimere empatia nei confronti dei civili israeliani devastati fisicamente e psicologicamente dal massacro più spaventoso subito dopo la Shoah, senza per questo rinunciare a leggere gli avvenimenti nel loro contesto, ovvero quello dell’occupazione a carico del popolo palestinese che perdura dal 1948 con le ulteriori implicazioni dell’assetto successivo alla Guerra dei Sei Giorni del 1967. La terza è che l’antisemitismo esiste ed è sempre latente, in attesa di un nuovo pretesto per scagliarsi, non solo contro gli israeliani, ma anche gli ebrei della diaspora che nei giorni scorsi sono tornati obiettivo di odio, minacce e terrorismo, come dimostra l’omicidio di Detroit dove ha perso la vita la presidente della comunità. La quarta è che gli ebrei non hanno speranze di combattere efficacemente l’antisemitismo mentre Israele uccide 5000 palestinesi in pochi giorni, dopo aver ripristinato la supremazia e asimmetria che dal principio caratterizzano le relazioni tra i due popoli. L’occupazione del popolo palestinese deve giungere a una fine e Israele deve smettere di violare sistematicamente il diritto internazionale e soprattutto i diritti umani dei civili.
Allo stato attuale, tuttavia, è impossibile favorire un dialogo senza comprendere a fondo i traumi di entrambi i popoli, ovvero la Shoah e la Nakba, e i meccanismi sottesi alle loro riattivazioni. Non si tratta di trasformarsi in terapeuti, ma di rendersi conto che non saranno certo espressioni come quelle di “Gas agli ebrei” (Australia) o “Apriteci i cancelli così potremo uccidere gli ebrei” e “fuori gli ebrei dall’Italia” (Milano), nè tantomeno l’uso improprio della foto di Anna Frank in una manifestazione pro-palestinese, a favorire un cambiamento di coscienze negli ebrei, che li porti a cambiare linea. In sostanza i palestinesi sono da sempre vittime indirette dell’antisemitismo e chi ne ha a cuore il destino deve essere consapevole che certe esternazioni razziste e volgari indeboliscono anche le poche voci critiche in seno all’ ebraismo, un grave errore in una situazione così delicata.
Infine, proprio la compresenza di antisemitismo e islamofobia può fornire una chiave di lettura alternativa che sottolinea il rischio che Israeliani e Palestinesi da protagonisti della scena si riducano nuovamente a pedine degli Stati occidentali e dei loro interessi economici e militari. Le popolazioni dei paesi terzi devono fare pressione sui loro governi per prima cosa perché si adoperino per la liberazione degli ostaggi e, successivamente, per invertire la rotta virando urgentemente verso una soluzione politica che non implichi l’uso della violenza. La vendetta chiama altro sangue, mentre è fondamentale sostituire le leadership fasciste e inadeguate con nuovi governi che mirino finalmente a costruire ponti al posto dei muri.
Nell’immagine: uno dei murales realizzati da Bansky sul muro di Gaza
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