Collegamenti… televisivi

Collegamenti… televisivi

Dal cripto-carnevale alla dipendenza dal gioco, alla guerra israelo-palestinese


Silvano Toppi
Silvano Toppi
Collegamenti… televisivi

Capita, dopo la buriana delle elezioni e dell’inflazione partitica e subpartitica, di seguire ottime produzioni, inchieste e trasmissioni sulla nostra Televisione (RSI). 

È vero, dapprima si finisce per collegare le due cose per chiedersi, con i tempi che corrono, se gli insistenti tentativi di appropriazione (economica e politica) della SSR/SRG o, ultimo in atto, di  una sua programmata eutanasia (toglierle i  mezzi finanziari per soffocarla), annichilendo in tal modo il mandato di servizio pubblico, non finiranno per esaltare, quasi paradossalmente, il peggio  o quanto di più obbligato e squamoso esista di servizio pubblico (e cioè i dibattiti partitici, le ingabbiature partitico-politiche di programmi, la ridistribuzione aritmetica delle presenze partitiche anche quando si parla di pandemia o del buco dell’ozono). Oppure non finirebbero per costringere ad infarcire il palinsesto televisivo o radiofonico di altra pubblicità, quella però pagante, che permetta di sopravvivere?

O ancora – ed è conseguenza ed il peggio di tutto – di dover rinunciare a vedere quelle produzioni, inchieste, trasmissioni poiché, siccome più impegnative per ricerche, tempi, soldi, rischi fisici, politici ed anche giudiziari, risulteranno alla fine impossibili da realizzare.

O, ciò che sarebbe più giusto aggiungere, perché sono proprio quelle trasmissioni che riescono una volta tanto a sbeffeggiare le rodomontate parapolitiche, parapartitiche e, date alcune premesse presentate, anche paranoiche, che i partiti, soprattutto uno, non vogliono più, ritenendoli ovviamente non conformi al loro modo di pensare. E quello è invece il vero servizio pubblico, democrazia che si fa sincera, nemica dell’ignoranza e dell’autoreferenzialità.

Ed è allora qui, in seconda battuta, che si riesce alle volte a collegare quanto ti presenta un buon documentario o un servizio televisivo, con quanto capita attorno nel mondo, traendone riflessioni che possono essere di conferma o di necessario complemento, ma che, peccato!, potrebbe venir ignorato o restare ignoto.

Facciamo un caso concreto, di tre momenti televisivi e dei possibili “collegamenti” fra loro: 

  • la rubrica, sempre reattiva e presente, “Falò”, la scorsa settimana ha trattato il tema della proliferazione delle criptovalute, versione “Lugano capitale europea delle criptovalute”; un documentario documentatissimo che, involontariamente, per sola e semplice rappresentazione dei fatti, finisce per  risultare anche un poco carnascialesco (fosse solo per la “mise” di qualche protagonista, per “scienziati” omologati che appaiono come cantori di corte, per incontri semiufficiali con imbroglioni penalmente perseguiti, ricordati quasi fossero gloriosi incontri cittadini  con premi Nobel della truffa). 
  • Il “Telegiornale” presenta vari per lo più ottimi servizi sulla “guerra” israelo-palestinese. 
  • Il Faro”, rubrica sabatina del TG, tratta con chiara e brava esperta della patologia ludica o dell’incapacità a resistere alla tentazione di giocare somme di denaro che sta diffondendosi anche tra i giovani.
Cripto, problema psichiatrico

Mentre a Lugano si esaltano le criptovalute, pretendendosi oltretutto capitale europea delle criptovalute, in Inghilterra non solo si discute dei “rischi” che presenta questa “moneta” e delle perdite effettive e colossali che ci sono già state e di quelle potenziali insite nella sua natura altamente speculativa, ma si tratta politicamente e in Parlamento di un problema ritenuto micidiale: la dipendenza dal “trading”, in parole povere la dipendenza dal “gioco”. Tanto che si è discusso e si continua a discutere la proposta, già presentata in Parlamento (lo scorso mese di luglio!) di considerare gli investimenti cripto come gioco d’azzardo. Anche perché molteplici sono ormai gli interventi provenienti dal settore della salute che rilevano una nuova forma crescente di dipendenza dalla scommessa, ancora più preoccupante perché riguarda in particolar modo i giovani attratti “dal denaro facile”. 

L’ospedale psichiatrico di Castle Craig, in Scozia, che si vuole pioniere nella lotta contro la dipendenza dalle criptovalute, sostiene ad esempio di aver ospitato in poco più di un anno 300 pazienti, perlopiù uomini e in giovane età, tutti tormentati da quella sindrome. Interrogato dal “Financial Times”, uno psicoterapeuta dell’istituto rileva che i “criptodipendenti” con cui ha avuto a che fare descrivono la loro esperienza “come qualsiasi giocatore descriverebbe la sua dipendenza dal gioco” e che alcuni raccontano come “investono in maniera compulsiva, attraverso le piattaforme accessibili con un semplice clic; piattaforme che fanno del trading 24 ore su 24, sette giorni su sette. “Verificavo il mio portatile alle 3 del mattino e perdevo il sonno”, confessa un paziente. L’ex-presidente dell’organo di regolazione finanziario britannico, il Financial Conduct Authority (corrispondente alla nostra Finma), ammette che le applicazioni di scambio di cripto approfittano… dell’ignorantaggine (crass ignorance) rispetto ai rischi da parte di molti investitori, rilevando tuttavia “la democratizzazione dell’investimento” (democrazia uguale ignoranza?). In Ticino, territorio dove già esiste il rapporto case da gioco-numero di abitanti (escludendo Campione) più elevato della Svizzera, con Lugano capitale del cripto, si aggiunge dunque in questo contesto un’ulteriore opportunità, moltiplicando con nuove forme e nuovi casi la dipendenza dal gioco. Forse andava perlomeno evocato e detto. 

Cripto, moneta terrorista

Risulta che dall’inizio della guerra una delle preoccupazioni maggiori sia degli Stati Uniti (gendarme del mondo) sia di Israele (deciso annientatore di Hamas “terrorista”) sia quella di riuscire a individuare (tracciare) il finanziamento dell’organizzazione islamica, che avverrebbe mediante criptovalute. Due settimane fa Israele è riuscita a localizzare e congelare dei conti che servivano ad Hamas “per sollecitare doni “sulla maggiore piattaforma mondiale di scambio di criptomonete, Binance. Si precisa, quindi, che le criptomonete sono utilizzate perché hanno la reputazione di essere meno facilmente tracciabili, benché si fondino su registri distribuiti (blockchain) dove tutte le transazioni potrebbero essere consultate pubblicamente. Sarà anche vero, se non rimanesse comunque il problema… dell’identificazione dei detentori di fondi. Altrimenti non si capirebbe – come sostiene Ari Redbord, ex-alto responsabile del Tesoro americano – in che modo e perché Hamas sia ricorso subito, sin dal 2019, alle cripromonete per la sua raccolta di fondi (perché non ci si chiede mai come trovano missili e armi?). 

Uno degli indirizzi, Gaza Now, è riuscito ad esempio a raccogliere in poco tempo l’equivalente di 800 mila dollari. È vero che dall’aprile scorso il movimento islamico ha annunciato di non più raccogliere denaro “via bitcoin” a causa della sorveglianza accresciuta delle autorità israeliane e americane. Con un efficace raggiro, tuttavia: la raccolta di fondi, sempre in criptomonete (affrancate al dollaro) avviene sempre attraverso vari gruppi di sostegno ad Hamas. Gli indirizzi identificati dalla società di analisi israeliana BitOK come associati ad Hamas avrebbero ricevuto l’equivalente di 41 milioni di dollari in criptomonete sino al luglio scorso e altri indirizzi legati alla Jihad, un gruppo legato ad Hamas, hanno captato l’equivalente di 154 milioni di dollari in poco meno di un anno, e alcuni di essi rimangono tuttora attivi. 

La scorsa settimana l’amministrazione americana ha chiesto maggiore trasparenza ai “crypto mixers” (i mescolatori, in pratica e in parole semplici coloro che assicurano l’anonimato delle transazioni effettuate via cripto, attraverso pseudonimi, per garantire la confidenzialità degli utilizzatori, ricorrendo perlopiù a tecniche crittografiche assai avanzate, e complicando in tal modo ogni tracciabilità). La motivazione: le cripto stanno nutrendo il terrorismo. 

Nell’immagine: il sindaco di Lugano presenta la “Plan B University collaboration”  perfettamente agghindato per l’occasione (dal servizio RSI)

Dal nostro archivio

Troppo giovani per morire in guerra
Naufragi

Troppo giovani per morire in guerra

Molti i giovanissimi soldati di leva, anche diciottenni, caduti nell’inferno di questo conflitto

Pubblicato il Aldo Sofia
Credit Suisse, storia di tonni e corruzione
Naufragi

Credit Suisse, storia di tonni e corruzione

Altro scandalo per la banca elvetica, beccata con le mani nel sacco in una operazione da 'bankster' in Mozambico. Rea confessa, e condannata a un risarcimento ultramilionario

Pubblicato il Federico Franchini