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Aldo Sofia
Aldo Sofia
Troppo giovani per morire in guerra
• 3 Aprile 2022 – Aldo Sofia

Tre diciottenni. Ilya, che di anni sembra averne anche meno, la faccia pulita da adolescente, un mezzo sorriso, lo sguardo azzurro fiducioso. David, la fronte corrucciata, le labbra strette, il viso teso e ‘da duro’, sotto il basco azzurro. Yegor, apparentemente il più mite dei tre, lo sguardo triste, il ciuffo ben pettinato, alle spalle lo scivolo di un parco giochi. Poi Alexey, Anatoly, Alexander, e un altro Alexey: diciannove anni. Venti ne ha Mikhail, e potresti dargliene di più, tanto è serio il viso orgoglioso della sua divisa. Il più vecchio, Vitaly, l’espressione preoccupata, un cappello militare troppo grande, 21 anni: eppure sembra il più piccolo.

Foto di soldati ragazzi. Ragazzi russi. Caduti in guerra. Sembra che nemmeno sapessero di essere destinati al fronte ucraino. Oppure, chissà, forse avevano assicurato loro che sarebbe stata una questione di pochi giorni, del famoso blitz, e che sarebbero stati accolti da una popolazione festante e sollevata, dopo essere stata ‘liberata’ dai nazi-fascisti. Li avevano privati anche dei cellulari, ‘arma’ impropria, c’è il rischio che chiamino casa, che raccontino una contro-verità. Alcuni di loro, e molti altri uccisi in battaglia, erano addirittura di leva, anche se la legge formalmente lo escluderebbe, ma per Mosca, e probabilmente anche per loro, questa doveva essere una semplice ‘operazione militare speciale’, e non una vera guerra.

Alle spalle avevano qualche mese di naja, poi sono improvvisamente finiti nelle periferie di Kiev, di Mariupol, di Kharkiv, di Chernobyl, di altre città assediate. Non meno impauriti di chi, dall’altra parte, finiva nel mirino dei loro kalashnikov, dei loro mitra, dei loro cingolati. Con armi, dicono gli esperti, meno moderne e performanti. Con un addestramento troppo breve e precario. Con una determinazione di certo minore rispetto a quella dei nemici, questi molto più consapevoli e motivati, meglio equipaggiati e più preparati, in un confronto violento e apparentemente impari. In concreto sembra non ci sia stato il grande, generale, costoso ammodernamento dell’esercito russo di cui si è favoleggiato in molti centri di studi militari occidentali.

Nemmeno erano nati, i ‘soldatini’, quando il neo-zar aveva preso possesso del Cremlino. Bambini quando Mosca decise di scatenare sanguinose offensive in zone ribelli da riportare nella Federazione. Ragazzi quando, probabilmente inconsapevoli e poco interessati, nei palazzi del potere si elaboravano i progetti per riportare il loro paese all’antica potenza imperiale. Li chiamano ‘la generazione Putin’. Molti provengono da regioni e centri urbani periferici, i posti più sperduti dell’ ‘impero’, assai meno sviluppati, in un paese dove gli squilibri sociali ed economici sono profondi. Così, come in altri conflitti ad opera di altre potenze vere o presunte (anche in Vietnam, anche in Iraq, anche in Afghanistan) pure nell’esercito putiniano affluiscono i giovani più poveri, perché non hanno molte alternative.

Anche in Ucraina dai 18 anni non puoi lasciare il paese, sei arruolabile. Ma, dicono, i più giovani e meno esperti servono nelle retrovie. Rispetto al numero dei morti in battaglia, le foto pubblicate dei soldati ragazzini caduti in battaglia sono proporzionalmente poche. Rese note dopo i funerali in patria. O dai nemici, perché quelle istantanee hanno anche un valore propagandistico. Molte delle famigerate bare di zinco non andrebbero direttamente in Russia, ma fanno tappa (piuttosto a lungo) in obitori dell’amica e alleata Bielorussia. Mostrare i morti non è cosa, può colpire il morale di una nazione che secondo i sondaggi ufficiali, frutto anche di un’informazione a senso unico, si è stretta attorno al suo comandante. La guerra, almeno nei primi mesi, ricompatta. Fino a quando si vedrà.

Comunque senza più Ilya, Anatoly, Vitaly, David, e altre decine o forse centinaia di ragazzi, uccisi dalla guerra dei più ‘grandi’.






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Aldo Sofia
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