Assassini di popoli
La guerra non è capace di rispettare nemmeno le regole di guerra
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La guerra non è capace di rispettare nemmeno le regole di guerra
• – Redazione
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• – Redazione
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• – Redazione
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• – Redazione
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• – Redazione
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• – Paolo Di Stefano
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• – Michele Realini
Nella seconda guerra mondiale sono morti circa 24 milioni di militari e più di 40 milioni di civili. Il numero dei morti senza uniforme è stato quasi il doppio del numero dei morti con l’uniforme. La guerra non era più soltanto una mattanza di soldati, come in passato. Anche le città e le case finivano in quel tritacarne. Da allora le cose sono peggiorate. L’obiettivo del pogrom di Hamas non era l’esercito israeliano, erano le persone ebree. La rappresaglia israeliana su Gaza ha fatto, ormai, quasi diecimila vittime. In maggioranza sono civili e non possono che essere tali: là si vive ammassati come bestie in un recinto.
Quello che un tempo si chiamava “campo di battaglia” oggi non esiste più. È come se i pugili fossero scesi dal ring e avessero cominciato a picchiare la gente fuori dal ring. Il campo di battaglia può essere anche la tua cucina, se abiti a Gaza o se vivi in un kibbutz. Può anche essere una fermata d’autobus, o un mercato, se vivi in Ucraina. Sei un bersaglio anche se non indossi una divisa, anche se sei disarmato, anche se non hai mai dichiarato guerra a nessuno. Anche se sei un bambino.
In teoria, non si potrebbe. Perfino le guerre, sempre in teoria, avrebbero delle regole scritte. Esiste un diritto internazionale di guerra. Esistono regole di guerra e crimini di guerra. Accordi, carte, protocolli firmati, nell’ultimo secolo e mezzo, da quasi tutti gli Stati del mondo. La convenzione di Ginevra, il tribunale dell’Aja. Nomi che solo a pronunciarli evocano impotenza. Come l’ONU. L’umanità ha cercato di dare un regolamento al suo sport preferito, che è scannarsi. Ma quel regolamento è carta straccia.
Venerdì, in qualche città italiana, si sono rifatti vivi i pacifisti. Amnesty International, Emergency, Arci, i cattolici di Assisi e diverse altre sigle. Lo slogan di convocazione era “proteggere la popolazione civile, perché anche le guerre hanno le loro regole e vanno rispettate”. A questo si sono rassegnati, gli uomini della pace: se proprio dovete fare la guerra, almeno cercate di rispettare le regole di guerra. Non c’erano bandiere palestinesi e non c’erano bandiere israeliane, solo quelle arcobaleno, quelle che penzolano ingenuamente dai davanzali di qualche casa italiana, a volte da anni, e ci siamo dimenticati in occasione di quale macello le avevamo appese.
C’era poca gente, alle manifestazioni di pace. Perché lo slogan “proteggere la popolazione civile” non galvanizza le tifoserie. Popolazione civile, quale? I palestinesi o gli israeliani? No, perché se non me lo dici, da che parte stai, io alla tua manifestazione non ci vengo.
Difatti c’era molta più gente, soprattutto ragazzi, alla manifestazione del giorno dopo a Roma. Era pro Palestina e contro Israele, un amico e un nemico, così è più facile. L’umanitarismo dei pacifisti, di quei frati, di quei militanti sconfitti, di quel vecchio signore gentile, il Papa, che aveva indetto una giornata di preghiera per la pace, non raccoglie applausi. Parlare agli uomini nel nome dell’umanità, in questo momento, è come parlare marziano.
Gino Strada ricuciva tutti. Le budella dei feriti e le gambe mozze obbedivano, tutte quante, alla stessa anatomia, quella di homo sapiens. Non è diverso rammendare il corpo di uno che ha ragione o il corpo di uno che ha torto. I punti di sutura sono gli stessi. Ma Gino Strada aveva una regola molto chiara: tutti hanno diritto alla salute e alla cura. E per tutta la vita l’ha rispettata.
E dunque, tiriamoci su. Siamo riusciti a individuare almeno un punto a favore della pace. La pace ha una regola, e la rispetta: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. La guerra non è capace di rispettare nemmeno le regole di guerra. Dunque, non ha rispetto neanche per se stessa.
Nell’immagine: Michele Serra durante il suo intervento
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