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Credit Suisse, storia di tonni e corruzione
Naufragi

Credit Suisse, storia di tonni e corruzione

Altro scandalo per la banca elvetica, beccata con le mani nel sacco in una operazione da 'bankster' in Mozambico. Rea confessa, e condannata a un risarcimento ultramilionario


Federico Franchini
Federico Franchini
Credit Suisse, storia di tonni e corruzione
• 24 Ottobre 2021 – Federico Franchini
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Due luoghi che più diversi non si può. Da una parte, Paradeplatz a Zurigo, cuore pulsante del capitalismo finanziario elvetico, sede di Credit Suisse. Dall’altra, il Mozambico, uno degli Stati più poveri e corrotti del pianeta, martoriato da anni di guerra, oggi nella morsa delle milizie islamiste e vulnerabile come pochi alle catastrofi naturali. Due mondi lontani, ma che si intersecano come maglie di una rete da pesca. Una similitudine non casuale: a far da sfondo a questa vicenda sono infatti dei tonni.

È infatti per finanziare lo sviluppo della pesca al tonno che, tra il 2013 e il 2014, Credit Suisse e la banca russa VTB Capital concedono un prestito di circa due miliardi di dollari al Mozambico. I soldi devono finanziare tre nuove aziende statali come parte di un progetto per creare una flotta di pesca al tonno. Si parla così di “tuna bond”. Anziché una mattanza di tonni, quest’operazione porterà però al dissanguamento delle casse dello Stato mozambicano.

Il prestito sfugge ai controlli necessari e non viene ratificato dal parlamento locale. I creditori non sembrano farsene una ragione. Tanto più che il Governo li tranquillizza col fatto che dai fondali a largo delle coste emergono in continuazione nuove riserve di gas naturale. Tutto non va però come previsto. Anche se, forse, tutto era prevedibile. I soldi finiscono in varie tasche, ma non là dove dovevano andare. A sguazzare in questa tonnara sono i politici locali che hanno coordinato l’operazione, in particolare l’entourage dell’ex ministro delle finanze Manuel Chang. Ma non solo: ne approfittano anche la Privinvest, il costruttore navale che fa capo al magnate franco-libanese Iskandar Safa e gli stessi banchieri che, dalla filiale Credit Suisse di Londra, hanno pilotato l’operazione.

Le imbarcazioni incriminate nel porto di Maputo (da Google Earth)

I soldi girano. Le imbarcazioni, invece, inadatte e sopravvalutate, arrugginiscono nel porto di Maputo. Lo scandalo scoppia nel 2016 quando il Mozambico si trova nell’incapacità di pagare gli interessi del suo debito. Una situazione che crea un effetto catena: l’FMI, gli Stati (tra cui la Svizzera) e diversi altri finanziatori chiudono i rubinetti e bloccano finanziamenti e nuovi prestiti. Il risultato è una bancarotta nazionale, con una crisi economica che vede la valuta nazionale crollare in valore del 70% e il tasso di crescita del PIL scendere dal 6,7% al 3,8%. A pagarne le conseguenze, come sempre, è la popolazione, spinta ulteriormente nell’austerità per pagare un debito odioso concepito tra le corrotte élite locali e i bankster [banchieri-gangster, ndr] di Credit Suisse.

Lo scandalo porta all’apertura di inchieste giudiziarie negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Svizzera dove, a seguito anche di una denuncia inoltrata nel 2019 dall’ONG Pubic Eye, il Ministero pubblico della Confederazione ha aperto un’inchiesta contro ignoti. La procedura elvetica è ancora in corso, mentre negli USA e in Gran Bretagna le inchieste hanno già portato a importanti decisioni. Nel 2019, tre banchieri di Credit Suisse si sono dichiarati colpevoli negli USA per aver cospirato per violare le leggi americane contro la corruzione nonché per riciclaggio di denaro e frodi sui titoli. Per le autorità americane i banchieri hanno co-organizzato l’assegnazione di super-mazzette a funzionari mozambicani: per un importo di 200 milioni di dollari, con cui si erano arricchiti anche personalmente.

Questa settimana è stato invece il turno della banca. Credit Suisse ha accettato di pagare un totale di 475 milioni di dollari per mettere fine alle inchieste giudiziarie negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Attraverso le azioni dei suoi banchieri, Credit Suisse ha ingannato in modo fraudolento gli investitori e violato le leggi statunitensi sulla corruzione, hanno affermato le autorità americane secondo cui quanto accaduto è da imputare ai “controlli contabili interni carenti del Credit Suisse, che non sono riusciti ad affrontare adeguatamente i rischi significativi e noti riguardanti la corruzione”. La banca, che si è dichiarata colpevole, cancellerà inoltre un debito di 200 milioni a profitto dello Stat africano. In parallelo, anche la FINMA ha annunciato di aver concluso la propria inchiesta. Per l’Autorità di vigilanza, Credit Suisse “ha gravemente violato i requisiti in materia di organizzazione e l’obbligo di comunicazione sancito dalla Legge sul riciclaggio di denaro”. L’inchiesta ha dimostrato gravi lacune nella gestione dei rischi a livello del gruppo: la casa madre zurighese disponeva di informazioni secondo cui i crediti potevano essere stati oggetto di un utilizzo non conforme allo scopo, ma, malgrado diversi segnali d’allerta, da Zurigo non si è intervenuto e non si sono chiesti chiarimenti. In Svizzera, di sanzioni pecuniarie, nemmeno l’ombra. La FINMA si è limitata ad imporre delle ”condizioni temporanee per le nuove operazioni creditizie con Paesi finanziariamente deboli e Paesi esposti a un rischio elevato di corruzione”. Basterà? Chiedetelo al popolo mozambicano.






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