Ritrovare il tempo della vita

Ritrovare il tempo della vita

Riflessioni e considerazioni, fra un anno e l’altro, sul tempo che passiamo nel non sapere chi siamo, nel non saperci appartenere


Silvano Toppi
Silvano Toppi
Ritrovare il tempo della vita

Capita, a fine anno, che inserti di giornali importanti o riviste letterarie chiedano a questo o a quello quale libro di lettura ha preferito o suggerirebbe. Raramente si scomodano un autore o un libro dell’antichità classica. Eppure, un libro che si direbbe fatto su misura per questo tempo, di passaggio da un anno all’altro, potrebbe essere il “De brevitate vitae” (La brevità della vita) di Seneca, scritto probabilmente nel 49 (dopo Cristo). Stralci di quel testo li trovavamo spesso, da tradurre, negli esami scolastici: un latino aguzzo, frammentato, sentenzioso, ma non ostico, anche se richiedeva grande attenzione. E così abbiamo dimenticato Seneca.

Una scissione tra vita e tempo

Si affronta, in quel testo, il problema del tempo e della sua fugacità ma si contesta anche il luogo comune della brevità dell’esistenza umana. E per questo motivo diventa ancora testo di sempre tormentata attualità e riflessione. Basterebbe una frase per riassumere tutto: piccola è la parte di vita che viviamo, tutto lo spazio rimanente non è vita, ma è tempo (“exigua pars est vitae, qua vivimus; ceterum quidem omne spatium non vita sed tempus est”). Una scissione tra vita e tempo. Perché lo sprechiamo il tempo e lo togliamo alla vita, Solo chi è saggio riesce a dominare il tempo. Brevissima e ansiosissima (“sollicitissima”) è la vita di quelli che dimenticano il passato, non curano il presente, temono il futuro. 

E Seneca definisce in maniera spregiativa gli “affaccendati” (“occupatorum animi, velut sub iugo sint”, gli animi degli affaccendati, quasi fossero sotto un giogo), le persone che dedicano tutte le proprie energie al “negotium”,alle pratiche materiali. 

È vero, forse non c’è tema che sia stato più studiato e scrutato di quello del tempo. Tutti i grandi pensatori, filosofi, religiosi, scienziati, in tutte le civiltà, hanno cercato di capire o di descrivere quel concetto, la cui realtà è intuitivamente evidente, ma che sfugge ad ogni definizione teorica. 

È un’entità materiale, un’invenzione della mente, ha un inizio? Se non lo ha come pensare un tempo infinito nel passato? È irreversibile, si misura con l’invecchiamento o questi gli è estraneo, come spiegare che l’istante presente sia immediatamente sostituito da un istante presente? Che c’è nel tempo oltre la morte?

Tutti i pensieri filosofici hanno sbattuto contro quelle domande e persino quelli teologici, che si misurano con l’eternità, faticano a trovare una risposta. La scienza armeggia sulla relazione tra spazio-tempo della fisica quantica e quello della relatività generale.

Non arrossisci?

Sta il fatto che nella realtà prosaica delle nostre vite la complessità del tempo è sempre grande. E maggiore sembra quando abbandoni un anno per un altro.

C’è un tempo universale che ritma le grandi evoluzioni geologiche, biologiche, climatiche, C’è un tempo politico che appartiene a chi ha il potere, la potenza religiosa, politica o mercantile. C’è il tempo economico, come quello del cartellino da timbrare all’azienda, della contabilità delle ore di lavoro divenuta misura del valore delle persone e delle cose. C’è il tempo personale che ognuno allestisce a suo modo, spesso sprecandolo o occupandolo con il timore della morte. 

Per il capitalismo onnipresente e che ci comanda senza che ce ne accorgiamo, non un secondo delle nostre vite deve esserci senza consumo. Per la politica che invade, non un secondo delle nostre vite deve permetterci di riflettere. 

Per l’uno e per l’altra non un secondo delle nostre vite deve essere condiviso perché è la solitudine che spinge al consumo e che blocca la vera riflessione.

Ed ecco Seneca che ritorna e ci rimprovera: “Non arrossisci (“non pudet te”) di riservare per te gli avanzi della vita (“reliquias vitae”) e di destinare il tuo bene interiore, il tempo della buona mente, (“tempus bonae menti”), della cura del tuo spirito, solo quel tempo che non può essere utilizzato per niente altro; non arrossisci di non appartenere a te stesso (“suus nemo est”)?

Si potrebbe o si dovrebbe quindi aggiungere: trova anche il tempo della buona conversazione, della musica, del pasto assieme, dello spettacolo vivente della natura e fors’anche quello della ribellione per divenire te stesso, per appartenere a te stesso.

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