Di Roberto Lessio e Marco Omizzolo, Micromega
Non è la Terra che ci affama, siamo noi stessi che non garantiamo che il cibo possa arrivare nelle tavole di tutti.
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Nel 2023 che si concluderà fra qualche settimana saranno prevedibilmente superati vari record storici inerenti la vita quotidiana di ogni singolo abitante del Pianeta. Si tratta, in particolare, dei principali fattori per i quali otto anni fa tutte le nazioni aderenti all’ONU si erano impegnate a raggiungere i 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile attraverso l’Agenda 2030. Un elenco di impegni solenni, nel quale compaiono ai primi due posti la sconfitta della povertà e della fame nel mondo, con la contestuale lotta ai cambiamenti climatici e il perseguimento della Pace e della Giustizia per affermare istituzioni solidamente democratiche in ogni Paese (obiettivi n. 13 e n. 16).
Siamo ormai oltre la metà dei 15 anni considerati come necessari per raggiungere tali obiettivi; ma questi propositi, tutti condivisibili, continuano ad essere ignorati nell’agenda politica globale e nazionale. Colpisce, in particolare, la pagina ancora bianca delle azioni intraprese dal governo Meloni: troppo affaccendato nella lotta alla cosiddetta “immigrazione clandestina”, che poi è, nella realtà, una guerra contro i profughi in fuga da molti di quei fattori che l’Agenda 2030 avrebbe dovuto affrontare e risolvere: cambiamenti climatici, guerre, povertà, terrorismo e dittature. E, innanzitutto, fame.
Il problema non è la scarsità di cibo
Secondo l’aggiornamento mensile del rapporto semestrale FAO sui mercati alimentari globali, nel 2023 si raggiungerà un livello record di produzione globale di derrate alimentari. Il problema della fame non è dunque legato alla scarsità di cibo. Quello dei cereali, ad esempio, è il settore che ha determinato il maggior incremento con una quota di produzione stimata in 2.819 milioni di tonnellate, quasi l’1% in più rispetto all’anno precedente, nel quale si erano già abbondantemente superati i livelli pre-Covid 19. Ciò sta ad indicare che, in teoria e solo per questo tipo di alimenti, ognuna delle otto miliardi di persone nel mondo avrebbe a disposizione quasi un chilo di cibo al giorno tra grano, mais, riso e altri cereali secondari. Anche facendo i calcoli rispetto alle perdite dovute alla macinazione e alla successiva setacciatura per la trasformazione in farine, risulterebbe disponibile una quantità tre volte superiore al fabbisogno quotidiano di ogni essere umano. […]
Sempre la FAO, attraverso il rapporto annuale del 2023 sullo “Stato di sicurezza del cibo e della nutrizione nel Mondo”, ci informa che nel 2022, ad esempio, oltre il 93% delle persone che nel mondo soffrono la fame risiede in Asia (402 milioni) e in Africa (282 milioni), in particolare in Paesi già gravemente colpiti dalle carestie provocate dai cambiamenti climatici, da conflitti armati e da dittature o terrorismo. Nello stesso anno, nel 58% dei Paesi parte dell’ONU la prevalenza della denutrizione risultava significativamente più elevata rispetto a prima della pandemia. Nei Paesi a basso reddito la percentuale della popolazione che soffre di denutrizione è salita al 77%. Un dato che mette i brividi, considerando le sofferenze alle quali sono condannate milioni di persone. Inoltre, la maggior parte di coloro che già non poteva permettersi una sana e completa alimentazione ha subito pesantemente l’aumento dei prezzi inflazionati prima dalla guerra innescata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia con annessa speculazione sui prezzi del grano e ora con il nuovo drammatico conflitto in corso nella striscia di Gaza.
Questi dati hanno indotto la FAO ad affermare che “il numero previsto di persone denutrite nel mondo indica che è ben lontano il raggiungimento del traguardo Fame Zero entro il 2030” così come previsto dall’Agenda dell’ONU nel 2015.
Cibo mal distribuito
Come abbiamo già ribadito, siamo in presenza di una crisi alimentare vergognosa perché non deriva affatto da una crisi della produzione, bensì dalla politica redistributiva. Vale a dire che si tratta di una crisi di natura politica e non strettamente legata alla coltivazione dei prodotti alimentari. È dunque l’accesso al cibo, fondamentale alla vita, a essere compromesso per via di interessi e politiche volte alla speculazione. Di per sé la quantità di cibo a disposizione dell’umanità sarebbe sufficiente per sconfiggere definitivamente la piaga della fame ovunque nel mondo.
Nello specifico, aggiungiamo, l’organizzazione internazionale Oxfam ha calcolato che nei soli Paesi del Corno d’Africa (Somalia, Etiopia e Kenya) il numero di persone che soffrono la fame acuta è passato da 10 a 23 milioni in un solo anno. Un aumento determinato, ad esempio, dal fatto che per il quarto anno consecutivo non ci sono state piogge. La siccità ha causato la morte di oltre 43 mila persone. […] A latere, un’amara considerazione: si tratta di Paesi che non hanno alcuna responsabilità per la crisi climatica in corso. Nel loro complesso, ad esempio, Somalia, Etiopia e Kenya emettono appena lo 0,1% delle emissioni globali di CO2 (anidride carbonica) mentre per gli altri gas serra non vi è quasi traccia di emissioni.
Le guerre affamano
Basterebbe infine ricordare, a proposito di guerre, fame e speculazione sui beni alimentari fondamentali alla vita e al futuro del genere umano, che sono attualmente in corso 56 conflitti nel mondo, di cui otto hanno raggiunto il livello di guerra e 22 sono stati internazionalizzati, ossia hanno ricevuto il sostegno di Stati esteri mediante invio di truppe militari. Sotto questo aspetto, immaginando la netta contrapposizione tra produzione di beni alimentari fondamentali alla vita e le guerre, che invece producono morte e devastazione anche sotto il profilo ambientale, l’Uppsala Conflict Data Program, il centro di ricerca più accreditato al mondo per i dati sulla violenza organizzata, nel 2022 ha rilevato che le vittime della violenza organizzata sono aumentate del 97% rispetto al 2021, passando da 120mila a oltre 230mila, rendendo il 2022 l’anno più letale dai tempo del genocidio del Ruanda del 1994. Un aumento determinato dal conflitto in Ucraina e soprattutto, ancora una volta, dalla guerra in Etiopia. Entrambi questi conflitti hanno lasciato sul campo oltre 200mila vittime, ossia il numero di morti più alto dal 1989. Nel contempo il conflitto in Mali ha registrato un aumento dei morti del 154% nel 2022, con un aumento della violenza contro i civili del 570%, mentre in Myanmar i decessi legati ai conflitti sono aumentati dell’87%. Lasciamo ai lettori immaginare quali numeri di morti per guerre e violenze organizzate saranno denunciati l’anno prossimo in seguito al conflitto tra Israele e Hamas con le vittime israeliane e palestinesi e il relativo eccidio della popolazione di Gaza, donne, bambini, anziani e infermi in primis. […]