Se ci manca la parola
Quando la narrazione comunicativa stravolge il senso e muta i significati come fa comodo alla destra
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Quando la narrazione comunicativa stravolge il senso e muta i significati come fa comodo alla destra
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Quando la narrazione comunicativa stravolge il senso e muta i significati come fa comodo alla destra
L’esempio è sotto i nostri occhi tutti i giorni. Lo scorso 23 gennaio, giusto per concretizzare il concetto, ‘la Regione’ pubblica una pagina redazionale a pagamento della Camera di commercio, che già la cosa in sé potrebbe essere oggetto di una riflessione a parte (la verità ha un prezzo?), ma non è questo il tema che qui mi interessa. Si parla di fiscalità e delle buone ragioni a difesa degli “sgravi” fiscali per i contribuenti più benestanti (con oltre 500mila franchi annui di imponibile). Le virgolette a sgravi hanno un senso che dirò più avanti.
Orbene, nel testo in questione si può leggere la seguente premessa: “visione dottrinale (quella degli oppositori ai sopraccitati sgravi, mia nota) che vede nel fisco solo un’arma per espropriare la ricchezza e intimidire chi la produce”. Complimenti sinceri all’anonimo redattore! Un esempio bellissimo di mistificazione semantica, che utilizzando parole adatte allo scopo (difendere la propria causa) ci spinge a considerare scontato ciò che scontato non è.
Vediamolo assieme. S’inizia col considerare gli oppositori sacerdoti di una dottrina e dunque dogmatici, chiusi nel loro mondo (“visione dottrinale”). E si prosegue utilizzando termini guerrafondai (arma) e giacobini (espropriare, vale a dire portare via d’imperio ciò che non ti appartiene). Gli oppositori alla “riduzione del dovuto” – così si dovrebbero definire le proposte in questione e non “sgravi”, definizione che equipara le tasse, le imposte, a un “aggravio” – vorrebbero appropriarsi di una ricchezza d’altri e, peggio, intimidire chi la produce. In quest’ultimo passaggio, mi sia permesso, l’alterazione semantica fa un vero salto mortale. Non solo si dipingono gli avversari come brutali cosacchi pronti allo stupro dei ricchi, si spaccia anche per assodata una presunta verità sulla ricchezza.
Già, la fantomatica “produzione della ricchezza” usata come totem del capitalismo compassionevole. Orbene, la ricchezza è davvero solo figlia dell’impegno, della volontà e delle capacità del singolo imprenditore che ci mette il denaro (magari ricevuto in prestito da una banca), del singolo proprietario di una catena commerciale o di un qualsiasi azionista? O piuttosto la ricchezza è generata da un insieme di fatiche e di intelligenze che collaborano fra di loro, nei rispettivi compiti, dopo aver stabilito un patto di collaborazione (contratto di lavoro)? Il prodotto finale – la fonte di benessere – non è forse figlio di una comunità produttrice che vive in un dato e voluto contesto geopolitico?
E allora chi espropria cosa e chi intimidisce chi? La verità casomai è un’altra. Tanti, per non dire quasi tutti (oggi poi con l’uso spasmodico degli smartphone!), producono ricchezza; è piuttosto la ridistribuzione della stessa che fa difetto. Dati recenti, pubblicati in Italia, ci dicono che l’1% della popolazione di quel paese possiede il 25% della ricchezza nazionale. C’è da credere che dalle nostre parti non sia molto diverso.
In verità si dovrebbe aumentare l’imposizione fiscale ai contribuenti in questione (quelli, lo ricordiamo, con imponibile oltre i 500mila franchi annui) perché decisamente troppo ricchi rispetto ai “colleghi” che producono, con ruoli diversi, la ricchezza generata in Ticino. È a costoro, e non ai dipendenti dell’amministrazione cantonale, che si dovrebbe chiedere un contributo di solidarietà in tempi decisamente difficili per la maggioranza dei ticinesi. Ricchi, va ricordato, che si sono ancora più arricchiti quando tutti gli altri erano alle strette, ovvero durante la pandemia del 2020/23, e costretti – ma guarda un po’! – a ricorrere al sostegno statale.
Si dovrebbe tornare a dare un nome corretto alle cose, riportando l’esperienza al centro della nostra riflessione, fuori dalla rappresentazione mediatica e autoreferenziale dei social, ma anche dei luoghi comuni, scontati e vuoti. Chicca finale, sempre estratta dall’articolo della Camera di commercio. A un certo punto si precisa che meno tasse ai ricchi significa “modernizzare il nostro sistema tributario (…) che risale a mezzo secolo fa”. Un esempio tangibile di come il moderno non sia sempre sinonimo di progresso. Il sistema tributario in questione, voluto progressivo con molta lungimiranza, è quanto di più democratico e moderno si possa immaginare e non a caso è stato introdotto mezzo secolo fa, quando anche i conservatori credevano nello Stato. Stai a vedere che alla Camera di commercio piace assai di più la ‘tassa piatta’, quella uguale per tutti. Avete presente i premi delle casse malati? Mille franchi al mese per i ricchi e per i poveri, perché tutti si ammalano allo stesso modo. Poi magari, in un’altra occasione, si potrebbe precisare che anche quest’ultima affermazione non è corretta e il Covid ce l’ha dimostrato.
Le finanze dello Stato? Torniamo a ridefinire il pane col pane e il vino col vino, sarebbe già un buon inizio.
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