L’altro 11 settembre – Il golpe fascista in Cile ricordato da Luis Sepúlveda
Ricordi e riflessioni dello scrittore cileno che aveva militato a fianco di Salvador Allende
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Ricordi e riflessioni dello scrittore cileno che aveva militato a fianco di Salvador Allende
• – Redazione
Il racconto della straziante esperienza dell’esilio dopo la fuga da Santiago del Cile, 50 anni fa - Di Miguel Angel Cienfuegos
• – Redazione
La biografia della prima pastora donna della Chiesa evangelica riformata svizzera (e d’Europa) pubblicata da Armando Dadò
• – Michele Ferrario
Quarant’anni fa nasceva una delle più inconfondibili voci del pop - rock, spentasi troppo presto per un triste destino fatto di disagio e sofferenze
• – Gianluca Verga
La mia esperienza di ospite in un programma del servizio pubblico italiano
• – Redazione
La politica estera del capo del Cremlino è funzionale rispetto alla volontà di fare della Nuova Russia un polo attrattivo per sovranisti e populisti; complici le difficoltà della nostra democrazia (2. parte)
• – Yurii Colombo
Blocher arriva in Ticino, e dice alla destra cosa fare
• – Franco Cavani
Blocher chiede in anticipo la quadratura del cerchio, che Udc e Lega vadano sempre a braccetto in Ticino
• – Redazione
Lo stucchevole 'Prima i nostri' di un ottimo attore
• – Michele Realini
Il capo del Cremlino ritiene che l’Europa possa riconoscersi nel modello “slavofilo” e reazionario su cui basa la sua idea di nuovo “Mondo russo” (1. parte)
• – Yurii Colombo
Il 16 ottobre 1998 il generale Augusto Pinochet, su mandato della magistratura spagnola, venne arrestato nella clinica di Harley Street a Londra. Nell’ambito dell’inchiesta sul “Piano Condor”, i giudici iberici che ne chiesero la cattura accusavano l’ex dittatore cileno, in quel momento senatore a vita, di genocidio, tortura, terrorismo, nonché di essere responsabile della scomparsa di diversi oppositori che erano anche cittadini spagnoli. La notizia dell’arresto raggiunse lo scrittore cileno Luis Sepúlveda mentre si trova in Italia, e l’evento lo incoraggiò a scrivere una serie di riflessioni su quanto avvenuto nel suo paese. Sepúlveda, intellettuale militante della sinistra cilena, aveva fatto parte della guardia personale del presidente Salvador Allende, venne arrestato e torturato. Nel cinquantesimo anniversario del colpo di Stato fascista vi proponiamo alcuni passaggi del libro di Sepúlveda “Il generale e il giudice” (ed. Guanda), che scrisse dopo la cattura del dittatore, e che fra l’altro ripercorre varie fasi seguite al tragico golpe dell’11 settembre 1973, sostenuto dagli Stati Uniti, contro un governo democraticamente eletto. Lo scrittore segnala anche i suoi dubbi sulla possibilità che Pinochet avrebbe davvero pagato per i suoi crimini, mentre il Cile era ancora nelle mani di chi lo aveva sostenuto, e aveva varato una legge che in sostanza imponeva l’impunità per i responsabili della feroce dittatura. Due anni dopo l’arresto Il generale tornò infatti nel suo paese senza aver subito un processo.
Una sera di fine ottobre del 1973, il generale di brigata Washington Carrasco Fernandez visitò le camere di tortura del reggimento Tucapel, a Temuco. Io ero uno dei cinque uomini appesi per i polsi, come bestiame, che il generale ispezionò con occhio critico. Portava l’uniforme da campo e una pistola regolamentare alla cintura. Improvvisamente venne verso di noi, e dette a ciascuno una lieve spinta, che ci fece oscillare come pendoli. Poi chiese se avevamo bisogno di qualcosa. Uno degli uomini appesi – giuro che fu un consigliere comunale di Carahue, che per pura coincidenza si chiamava Sepúlveda come me – gli rispose: “potrebbe avvicinarci il pavimento ai piedi?”. Quando poi nel 1982, il generale Washington Carraro Fernandez fu nominato dalla dittatura ministro della difesa, riconobbe che forse, chissà, durante i primi mesi dopo il golpe potevano essersi verificati alcuni eccessi, di cui però non esisteva prova. In altre parole, quei cinque uomini appesi, che contano solo tre sopravvissuti, non sono mai state vittime di torture pianificate fin nel dettaglio e perfettamente note a ogni comando, bensì protagonisti perdenti di qualche eccesso di zelo militare, di cui però non esistono prove.
****
Non esiste essere più vile di quello capace di affermare che non è mai stato né con i vincitori né con i vinti, e che insiste a ripeterlo nella sua unica tribuna possibile, come buffone al banchetto dei vincitori. È a questo genere di individui che appartiene Enrique Lafourcade (ntr: scrittore e giornalista cileno). Alla fine del 1973, Lafourcade pubblicò una sfilza d’infamie intitolata “Salvador Allende”, un ibrido che mescolando vari generi tenta di “spiegare” chi era Salvador Allende, e cosa fu il governo di Unidad Popular. L’autore, che non si né mai schierato né con i vinti, ritrae il presidente martire come un ubriacone abituale che eccedeva anche coi sonniferi. Tutto ciò per sostenere che la responsabilità del fallimento istituzionale cileno va attribuita in parte anche a una patologia psichica di Allende. Lafourcade non fu mai vicino ad Allende. Il compagno presidente, la sua integrità politica e umana, non hanno certo bisogno di alcuna difesa, ma io che invece lo conobbi, perché mi onoro di aver fatto parte della sua scorta personale – i temibili, terribili, sanguinari, antropofagi GAP [la guardia personale del presidente Allende, ndr], secondo l’isteria pinochetista e il suddetto autore -, mi ribello contro la spazzatura che vuole insozzare il suo nome e la sua memoria. Allende aveva altri difetti, e voglio regalarli a Lafourcade. Gli piacevano le donne, tutte. Beveva ‘Chivas’ di dodici anni. Amava il gelato al cocco di Copelia. Detestava le poesie di Neruda mentre ammirava, per esempio, Leon Felipe. Diceva che il vino era rosso, e tutti gli altri imitazione. Collezionava cravatte italiane. Amava la buona pasta. Era uno splendido cavallerizzo. Aveva il culto dell’amicizia. Il suo pensiero politico fu sempre più vicino a Gramsci che a Marx. E la mia generazione – che ha dato molti autori dotati in quantità industriali – vide in lui, più che un leader, un compagno che la capiva. Non a caso la vittoria elettorale del 4 settembre 1970 la festeggiammo nella sede della Federacion de Estudiantes de Chile.
****
Durante gli anni della dittatura, donne e uomini del Cile sofferente opposero resistenza alla tirannia, e furono massacrati. Non sapremo mai il numero esatto di militanti, di combattenti socialisti, comunisti, del Movimiento de Izquierda Revolucionaria o del Frente Patriotico Manuel Rodriguez, che caddero per la libertà.
I militari hanno poi riconosciuto che molti corpi non saranno mai rinvenuti perché li gettarono nella profondità del mare, di inaccessibili laghi sulla cordigliera, o dei grandi fiumi che scendono dalle Ande [si calcola che i “desaparecidos” cileni sono stati circa 4.000, ndr]. Non recupereremo mai la preziosa vita di quelle ragazze e di quei ragazzi che diedero tutto. E ogni volta che cadeva uno dei nostri, ogni volta che ritrovano sgozzato uno dei nostri, i rappresentanti dell’altro Cile, quelli che consigliano il tiranno e celebrano i suoi compleanni, festeggiavano, ballavano nelle loro strade pulite e sorvegliate, stappavano bottiglie di champagne e chiedevano nuovo sangue alla soldataglia. Pian piano, l’instaurarsi dell’egoismo, dell’avidità, della menzogna e del trucco politico, del tradimento dei princìpi e del compromesso morale, è riuscito a fare della disperazione una forma di vita, un modello di comportamento, il sinistro sinonimo che ha rimpiazzato la parola democrazia. Ma, e questa è una delle grandi materie che aspettano quanti, in futuro, si incaricheranno di scrivere la storia vera, malgrado il terrore e l’esilio, ci sono migliaia di cileni che tennero in vita la fiamma della legittima resistenza, del dovere di opporsi con tutti i mezzi, comprese le armi, alla tirannia.
****
Nel settembre 1973, quando la destra cilena e il suo braccio esecutivo, le forze armate, abbatterono il governo costituzionale di Salvador Allende, la CIA, Henry Kissinger e Nixon si sentirono soddisfatti, perché gli ufficiali che avevano diretto il golpe fascista erano illustri ex-allievi della Escuela de las Americas, sul Canale di Panama, la scuola di assassini dove, tra i molti infami, vennero addestrati il generale guatemalteco Rios Mont, il celebre vigliacco delle Malvine, Astiz, e tanti altri che sfoggiano i loro diplomi “esperti in scienza della sicurezza nazionale” o di “ufficiali d’intelligence per la lotta al nemico interno”, tutti laureati nella grande università della violazione dei diritti umani…..Non è un segreto per nessuno che il cavallo di troia della Cia, di Nixon e di Kissinger nella destabilizzazione del governo Allende furono gli autotrasportatori. Scandalosamente al soldo degli Stati Uniti, paralizzarono il trasporto collettivo di persone e merci. I camionisti, diretti da un mafioso chiamato Leon Vilarin, riunirono migliaia di veicoli in alcuni terreni vicino alla Papelera Nacional, l’azienda monopolistica che si rifiutava di vendere carta alla stampa di sinistra, ma riforniva i fogliacci di destra, soprattutto ‘El Mercurio’, quotidiano che ostenta il singolare e turpe record di non essere mai uscito senza una menzogna sulle sue pagine in più di cent’anni.
****
Il Cile, e soprattutto Santiago, si ritrovarono sull’orlo della paralisi, ma per fortuna esistevano uomini come Horacio Cepeda Marincovic che, insieme ai sindacati affiliati alla CUT, la Central Unica dei Trabajadores, e agli studenti degli istituti tecnici, pronti ad accorrere come volontari nelle officine meccaniche, raddoppiò il ritmo dei turni degli autobus e dei filobus, e il Cile continuò a lavorare. Ricordo alcuni giorni particolarmente violenti in cui mi toccò far parte dei picchetti di sorveglianza che affrontavano i fascisti per strada, i militanti di Patria y Libertad [che nel 1970 avevano eliminato il generale René Schneider, fedele alla costituzione e comandante in capo dell’esercito, ndr] cercavano di incendiare gli autobus seguendo gli ordini del führer creolo Pablo Rodriguez. Venticinque anni dopo, in uno slancio di ‘generosità’ degli assassini, l’esercito ha riconosciuto, al tavolo delle trattative aperto fra vittime e boia, che i resti di Horacio Cepeda Marincovic (ndr: arrestato dopo il golpe mentre era in clandestinità), si trovavano in un cimitero clandestino a Cuesta Barriga, un luogo sperduto lungo la strada che va da Santiago al Pacifico.
****
L’opposizione vinse il plebiscito del 1988, e iniziò la curiosa “transizione” cilena, che ha poco o nulla in comune con la “transizione” spagnola. La destra e la dittatura promulgarono rapidamente le leggi di amnistia e le riforme costituzionali che assicuravano loro un’eterna maggioranza in parlamento e la designazione di Pinochet a senatore a vita, ma che soprattutto garantivano la permanenza di un modello economico basato e costruito sull’impunità. L’apparente contraddizione fra la destra, i militari e la Concertacion Democratica (composta in gran parte da democristiani, più socialisti convertiti al neoliberalismo) non era altro che una lotta fra diverse proposte per amministrare lo stesso modello economico. Non venne accolta, riconosciuta o rivendicata neppure una delle mozioni relative alle vittime che chiedevano giustizia. L’impunità dei criminali fu accettata come “il prezzo del benessere” e nel momento in cui qualche giudice audace osò almeno un possibile delitto, come ad esempio quando, nel 1993, si cercò di portare in tribunale un figlio di Pinochet sospettato di clamorosi reati di corruzione e di favoritismi miliardari. Così l’impunità si eresse a forma di convivenza al potere e l’amnistia si trasformò in ragione di Stato. Ogni corpo ritrovato è un caso chiuso, perché con il suo rinvenimento cade in prescrizione il delitto di sequestro, da cui Pinochet, Arellano, Morén, Espinoza, Contreras e altri generali si sono auto-amnistiati.
****
Quelli di cui sentiamo la mancanza, la domenica, all’ora del tramonto, proponevano: “Ehi, ci facciamo un mare?, e poi, con il calice famigliare che emanava l’aroma dell’infuso migliore, di “erba intera” dicevano quelli di cui sentiamo la mancanza, si guardavano negli occhi con fiera tenerezza, con passione armata di futuro, con violento affetto, con passione armata di futuro, perché quelli di cui sentiamo la mancanza erano militanti. E se noi ne sentiamo la mancanza, non è un caso o un imbroglio del fato, né si deve ai disegni di un qualche dio offeso. Ne sentiamo la mancanza perché osavano proporre un’esistenza migliore di quella del gregge. Ne sentiamo la mancanza perché dicevano che il pane era di tutti o di nessuno. Ne sentiamo la mancanza perché Accendevano luci nell’oscurità, forti o deboli non importa, il loro bagliore continua a illuminarci. Ne sentiamo la mancanza perché nella penombra della camera si avvicinarono al letto dei figli, li accarezzarono, lasciarono sulle loro fronti la stessa di un bel sogno e, quando uscirono per compiere un’azione, lo fecero sapendo quante cose avevano da perdere, eppure agirono con la risolutezza di chi ha la ragione dalla sua parte. Quando li portarono via, quando iniziammo a sentirne la mancanza, i testimoni che non avevano visto nulla, mormorarono: “qualcosa avranno fatto, non per niente li portano via”. E avevano ragione, perché avevano fatto molto più di qualcosa: avevano sognato che si poteva vivere in piedi. Avevano sognato che il destino dell’uomo non poteva essere sempre un castigo. Avevano sognato che la felicità di tutti è possibile. Avevano sognato di creare una legge giusta, davanti alla quale saremmo stati tutti uguali. E avevano osato far diventare realtà i sogni, perché quelli di cui sentiamo la mancanza, senza tante storie né pavoneggiamenti, avevano raggiunto la dimensione superiore dell’essere umano, per questo ne sentiamo la mancanza: perché erano rivoluzionari.
Nell’immagine: Luis Sepúlveda
”Il passeggero”, il romanzo di McCarthy da poco uscito in italiano con la notevolissima traduzione di Maurizia Balmelli
Diari, ricerche, domande per provare a capire il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza attraverso il contatto diretto, piuttosto che sentenziando a priori su cos’è giusto e cosa...