I tre assassini dell’umanità
Il disprezzo del vivente, da sempre praticato, nella Storia, attraverso le guerre fratricide fra preti, generali e mercanti
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Il disprezzo del vivente, da sempre praticato, nella Storia, attraverso le guerre fratricide fra preti, generali e mercanti
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Il disprezzo del vivente, da sempre praticato, nella Storia, attraverso le guerre fratricide fra preti, generali e mercanti
Càpito su un breve saggio di Jacques Attali dal titolo tanto drastico quanto di grande impatto, soprattutto in questo momento (Les trois assasins de l’humanité) che, letto e trovato singolare per contenuti e tipo d’analisi, appare forse interessante da conoscere anche per i lettori di Naufraghi/e (comunque disponibile anche sul sito personale dell’autore).
Di Jacques Attali (nato nel 1943, di famiglia ebraica, vissuta ad Algeri sino al 1956, trasferitasi poi a Parigi) sarebbe troppo poco limitarsi a dire che è economista ed è notoriamente stato “eminenza grigia” del presidente Mitterrand. Non si può non aggiungere, per capirne la poliedricità, che è anche filosofo, ingegnere, storico, è stato banchiere internazionale, saggista di un numero infinito di opere, autore di romanzi, di pièce teatrali e biografie; potrei aggiungere che le sue biografie su Pascal (Blaise Pascal ou le génie français), su Marx (Karl Marx ou l’esprit du monde), su Diderot (Diderot ou le bonheur de penser), sono letture pressoché imprescindibili.
Attali fa una prima constatazione che solitamente sfugge (o forse discende come scontata già da Caino e Abele, i primi fratelli e il primo delitto della storia e dalla sentenza universale che ne è poi derivata: amor di fratelli amor di coltelli). Se un giorno sarà possibile analizzare spassionatamente il periodo attuale – rileva Attali – dovremmo constatare, come non mai, che è stato caratterizzato dalla sovrapposizione di numerose guerre fratricide. Russi e Ucraini, culturalmente, storicamente, etnicamente, sono popoli fratelli, così come gli Israeliani e i Palestinesi, i Pashtun del Pakistan e quelli dell’Afghanistan, i Dinka e i Nuer del Sud Sudan, gli Huthi e gli altri yemeniti. E così per molti altri popoli, che si uccidono tra fratelli, attraverso frontiere artificiose.
Tuttavia – ed è la seconda constatazione ancora più sconvolgente – gli attori di quelle tragedie che sono sempre le guerre, sono solo vittime collaterali di combattimenti più importanti e mascherati. Sono vittime di tre forze che si contendono il dominio del pianeta. Tre forze che l’umanità conosce da tempi immemorabili poiché si sono via via succedute nel potere. Sono i preti, i generali, i mercanti. Spesso gli uni al servizio degli altri: i generali dei poteri religiosi o vicevera, i mercanti dell’uno o dell’altro per sconfiggere il terzo.
È vero, sembrava che la Storia avesse ormai preso senso con i generali vittoriosi sui preti e i mercanti vittoriosi sui generali. Se fosse così non avremmo oggi né potere religioso né impero militare e troveremmo solo il capitalismo a portare avanti la marcia del mondo. Ma non è così. Quelle tre forze sono sempre lì, si combattono più ferocemente che mai, ognuna vuol affermare il suo “imperium” sul mondo.
Attali (con il rischio di apparire caricaturale, osserva lui stesso) vede il potere religioso in chi, nell’Islam più che in altre religioni, proclama sempre la volontà di un califfato planetario, eliminando tutti gli altri regimi politici, le altre chiese, convertendo o uccidendo. Lo si sente dire esplicitamente sui media del mondo, nelle strade di Berlino o di Bruxelles, di Teheran o di Doha. Scannandosi anche tra le varie correnti di questo Islam radicale che non rappresenta che una parte minoritaria dell’Islam mondiale. Se quel potere religioso dovesse avere partita vinta, distruggerebbe tutto ciò che l’umanità ha costruito da millenni e, con il suo oscurantismo, vieterebbe ogni insegnamento, ogni libertà per le donne e così ogni progresso umano.
Il potere militare, o imperiale, si esprime oggi nell’impero cinese, che ha pure voglia di ottenere un controllo sul mondo, non per imporre una fede, una dottrina o una ideologia, ma, come ogni impero militare, per ricavare dalle sue colonie i mezzi per nutrire le sue popolazioni. Se ne trova un’altra espressione, forse più brutale e sommaria, con l’Impero russo e le sue metastasi africane.
La terza forza, quella del mercato, che si chiama in modo schematico capitalismo, appare ancora oggi nel suo “avatar”(nella sua incarnazione, manifestazione) americana: ha anch’esso l’ambizione di dominare il mondo ricorrendo alla forza delle sue armate e, alle volte, anche a quella della fede messa al servizio della sua ambizione. E impone così la sua concezione del mondo, i suoi valori, il suo cinema, le sue tecnologie.
Andando oltre sé stesso, è quindi l’ordine mercantile medesimo che, cercando di dominare il mondo, porta in sé i germi di una distruzione della natura e quindi di un’ampia parte dell’umanità.
Ognuna di queste forze vuole imporsi contro i suoi nemici interni (le altre religioni, gli altri imperi, le altre potenze capitaliste) e contro le due altre. I conflitti locali sono i sottoprodotti di queste grandi battaglie.
Se si continua così, quelle tre forze ce la metteranno tutta per autodistruggersi e, “incidentalmente”, distruggeranno l’umanità. Perché, qualunque cosa possano sostenere, hanno tutte un denominatore comune: il disprezzo del vivente.
Non solamente il disprezzo degli umani, così come si vede dalla disinvoltura con la quale schiavizzano, sfruttano, umiliano, abbruttiscono, avvelenano, violano, torturano, massacrano. Ma anche per il disprezzo del vivente, quando si vede come tutte e tre quelle forze, ognuna a suo modo, saccheggia la natura, distrugge tutte le eredità del passato e depreda tutte le promesse dell’avvenire.
Conclude Attali: “Solo nel superamento di queste tre forme di potere e fondandosi su valori universali (la libertà, i diritti dell’uomo, la democrazia, la giustizia sociale, la dignità, la creatività, la ragione, l’empatia, l’altruismo, la cooperazione) l’umanità potrà riuscire a trovare ancora la forza di combattere il suo peggiore nemico. E cioè sé stessa”.
Nell’immagine: Francisco Goya, “La rivolta del due di maggio 1808” (1814, dettaglio)
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