È una carneficina

È una carneficina

Per fare passi avanti nella prevenzione dei femminicidi occorre disinnescare alla base la cultura maschilista e patriarcale


Lisa Boscolo
Lisa Boscolo
È una carneficina

Nel sito che in Svizzera raccoglie i dati su femminicidi e tentati femminicidi (Stopfeminizid.ch) risultano,  nel solo 2021, 25 femminicidi (di cui 2 in Ticino) e 8 tentativi (a cui aggiungere il recente fatto di sangue di Via Vallemaggia). In Italia (che conta circa 10 volte gli abitanti della Svizzera) al 20 ottobre erano 90 le donne uccise da uomini, spesso partner o ex partner.

È un bollettino di guerra, che nel tasso di femminicidi in rapporto alla popolazione vede la Svizzera, in Europa, precedere paesi come Germania, Italia e Regno Unito (dati del 2015). Questi casi non sono quasi mai dei “raptus”, frutto di una follia omicida imprevedibile. Sono piuttosto azioni precedute da minacce, intimidazioni, persecuzioni. Atti che intenzionalmente vogliono terrorizzare. La vittima talvolta confida solo a terze persone le proprie preoccupazioni, ma per la maggior parte dei femminicidi la polizia o ad altri servizi sono già a conoscenza di fatti di natura violenta o persecutoria degli autori.

Anche nel caso di Locarno gli interventi adottati per proteggere la vittima non sono stati sufficienti.  L’allontanamento del giovane, già decretato, non ha sortito nessun effetto, e la giovane ragazza ha davvero rischiato di morire.  Al momento sono poche le misure che si possono adottare per tutelare attivamente le potenziali vittime: l’allontanamento dell’autore dal domicilio, il divieto di avvicinamento o di contatto, la possibilità di recarsi in una casa protetta. Sono però misure che non possono protrarsi per molto tempo, e per questo le donne vittime di violenza convivono con la paura di trovarsi di fronte da un momento o l’altro il proprio assassino. Costantemente in stato di allerta, la loro vita è sconvolta.

Ma come intervenire meglio a protezione delle vittime, rispettando nel contempo i diritti del presunto autore? Uno stato di diritto non può rinchiudere in carcere a titolo preventivo una persona che non ha ancora commesso reati (dobbiamo precisare che esiste l’eccezione per la Legge federale sulle misure di polizia per la lotta al terrorismo votata dal popolo recentemente e che apre scenari forse arbitrari nella sua applicazione). Comprensibile quindi il sentimento di frustrazione delle vittime alla mercé di un partner o ex partner violento, che anche quando si rivolgono alla polizia non vedono di fatto sparire la minaccia e la paura, ma si confrontano con misure che non potranno proteggerle dalla determinazione alla sopraffazione che pervade gli autori.

Forse sarà poco, ma se si riconoscesse il reato di stalking con pene più pesanti e l’obbligo per gli autori di seguire dei programmi contro la violenza, sarebbe un primo passo. In Svizzera non esiste un reato specifico, ma devono presentarsi singoli reati ripetuti (spesso sottovalutate dal punto di vista della pericolosità) per essere considerati persecutori e minacciosi (abuso di impianti telefonici, minacce, violazione di domicilio, ecc.).

Per questo è indispensabile formare meglio tutti i professionisti (polizia, medici, infermieri, consulenti, pretori) affinché riconoscano i segnali di pericolo per la vittima e attivino misure adeguate ai singoli casi nei confronti dell’autore. Non sempre il solo allontanamento o il divieto di avvicinamento sono sufficienti.

Contrariamente a quanto abbiamo tutte pensato, il braccialetto elettronico che sarà possibile usare a partire dal 1° gennaio 2022 permetterà solo una sorveglianza passiva, tracciando sì gli spostamenti del potenziale autore, ma senza che sia possibile un controllo in tempo reale. La sua adozione dovrà inoltre essere richiesta espressamente dalla vittima (mettendola quindi in una situazione di maggior vulnerabilità). Oggi tuttavia sarebbe possibile attivare dispositivi tecnologici che mettono in allarme subito la vittima e fanno scattare l’intervento della polizia, sull’esempio di paesi come la Spagna, che ha visto diminuire in 10 anni da 76 a 47 (nel 2018) il numero di femminicidi proprio grazie a dispositivi di protezione e di persecuzione dei reati. Quindi agire si può.

Ma non dimentichiamo che, come dice Michela Murgia, se ci occupiamo di femminicidio o di stalker significa che, quando lo Stato comincia a occuparsene, la donna è già diventata una vittima. Dobbiamo mettere in atto misure per disinnescare alla base la cultura maschilista e patriarcale, quella che porta gli uomini a considerare le donne una loro proprietà e le donne a scambiarlo per amore.

Lisa Boscolo è co-presidente Coordinamento donne della sinistra

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