Un’altra concentrazione editoriale, un altro danno a informazione e pluralismo
Cosa dice e conferma la vicenda della fusione dei due giornali bernesi
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Cosa dice e conferma la vicenda della fusione dei due giornali bernesi
• – Natasha Fioretti
Locarno alle prese con la gestione della politica culturale, tra ignoranza e disinteresse
• – Marco Züblin
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• – Franco Cavani
Divagazioni sul volto prossimo venturo della Città Ticino
• – Enrico Lombardi
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• – Mario Conforti
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• – Franco Cavani
La mortificante scena della presidente della Commissione Von der Leyen relegata su un divanetto
• – Aldo Sofia
Di chi è il merito della scoperta dei vaccini anti-Covid: dei ricercatori privati, o degli Stati finanziatori?
• – Aldo Sofia
L’intrecciarsi di due scandali finanziari provoca 4,7 miliardi di perdite, e un terremoto ai vertici della banca
• – Redazione
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• – Franco Cavani
Cosa dice e conferma la vicenda della fusione dei due giornali bernesi
Come non essere d’accordo, il punto piuttosto è che non si tratta di una novità. Semmai è la conferma di una strategia che già da qualche tempo Pietro Supino e il suo gruppo portano avanti. È la conferma di una tendenza che ormai da qualche anno caratterizza tutto il panorama mediatico svizzero, anche il nostro, a sud delle Alpi. È il prodotto della concentrazione mediatica nelle mani dei grandi gruppi che porta all’impoverimento della qualità e dell’indipendenza giornalistica, soprattutto mina il pluralismo dei media nel nostro paese. Da un lato, sulla notizia ci si potrebbe anche fare anche una bella risata. Amara però perché da giornalisti e da lettori ci si sente presi in giro dalle politiche di certi grandi gruppi. Il primo ottobre del 2020 il Bund ha festeggiato i 170 anni di giubileo. Per l’occasione, Pietro Supino, Presidente di Tamedia AG, si diceva orgoglioso della testata ed esprimeva la volontà di portare avanti il modello bernese perché di successo.
In altre parole, rassicurava sul fatto di non toccare le due redazioni regionali indipendenti, quella della Berner Zeitung e del Bund. A pochi mesi di distanza le carte in tavola sono evidentemente cambiate, non solo non viene più garantita alcuna indipendenza ma si tagliano venti posti di lavoro. Qualcuno potrebbe dire che Tamedia nel 2020 ha registrato perdite per 94 milioni di franchi. Io vorrei invece ricordare che quando nella primavera dell’anno scorso Tamedia, come altri gruppi e testate, riceveva gli aiuti dalla Confederazione per le conseguenze del Covid e introduceva il lavoro ridotto per i suoi giornalisti, il gruppo non ha rinunciato a distribuire ai suoi azionisti lauti dividendi per un totale di 37,1 milioni di franchi. C’è qualcosa che non va e non da oggi nel nostro sistema mediatico. Sarebbe ora di agire per limitare lo strapotere dei grandi gruppi che da un lato tagliano e piangono, dall’altra incassano gli aiuti, distribuiscono dividendi, acquisiscono testate regionali per rafforzare la loro presenza sul mercato e non mostrano interesse a firmare un nuovo contratto collettivo di lavoro.
La coraggiosa protesta delle donne iraniane contro i "guardiani del buoncostume"
Ma soprattutto bisognerebbe ‘sciogliere’ questa parola per capirne il significato non sempre chiaro e chiarito