Di Dario Galimberti
Una delle magie della scrittura è quella di poter cambiare la storia, plasmarla a proprio piacimento e far comparire eroi o eroine capaci, forse, di costruire un mondo migliore. Ebbene sì, lo scrittore ha questa invidiabile prerogativa. Egli può rimodellare eventi reali per poi farci viaggiare in mondi immaginari, con diverse linee temporali, dissimili e magari antitetici al nostro: i così detti mondi ucronici. Alla definizione di “ucronia” (sostituzione di eventi reali con eventi immaginari), la Treccani si interroga per esempio su come sarebbe stata la situazione europea se Napoleone avesse vinto a Waterloo.
Sergej Roić, in “Feríta, Giovanna d’Arco, anno 1971” (ed. Mimesis Milano, 2022) ambienta le vicende del suo romanzo in uno scenario simile a quello prospettato dalla Treccani, ma più vicino al nostro tempo. Con grande maestria nel lessico e un linguaggio colto, ci racconta un altro maggio francese e lascia aperto o forse incerto il destino degli eventi.
Il presidente della Repubblica, generale Charles De Gaulle, muore d’infarto all’inizio della “seconda Rivoluzione francese.” Un militare, il generale Roche, diventa capo del governo e si schiera con i rivoltosi guidati o, meglio, incitati da Jeanne, “la novella Giovanna d’Arco.” Roche, sedicente uomo di sinistra, abbraccia le idee del filosofo Eric Feríta e le utilizza per guidare la Francia. Il filosofo, seguace del più noto collega Jacques Derrida, in sintonia con il maestro, costruisce il suo pensiero scomponendo concetti complessi in elementi più piccoli, così da esaminarli al meglio e comprenderne le implicazioni e i significati nascosti: costruisce decostruendo. Le sue riflessioni lo portano a valutare la possibilità che la Francia aderisca all’alleanza militare atlantica, e allo stesso tempo si avvicini all’Unione Sovietica.
Nel 1971, al festival di Cannes, il noto regista russo Martin Aleksandrovič Belogradski, di tarkovskiana memoria, chiede asilo politico alla Francia. Eric Feríta coglie l’occasione e suggerisce di far girare al maestro russo un film sul maggio ’68. Nel film sono coinvolti tre giovani studenti: Georges Aubry, con un’unica interpretazione alle spalle – faceva il morto in Blow Up di Antonioni – Louis, e Irene, la futura Jeanne-Giovanna d’Arco nel film.
Belogradski incita Georges a “lasciar correre la fantasia”, a sollecitare la memoria per poi appropriarsi degli appunti e utilizzarli a suo piacimento, in quel film o chissà, o magari in altri.
La singolare troupe, alla Nouvelle Vague con le cineprese sulle spalle, avvia le riprese e si inserisce nella folla delle controfigure per catturare, come direbbe Godard, “lo splendore del vero”. Belogradski è interessato alla metafora “dell’effetto dell’onda che avanza, si ritrae, cozza contro ostacoli, sprofonda, rifluisce.” In quella visione figurata della folla come mare in burrasca, il maestro russo coglie “l’ineffabile attimo presente afferrando ciò che viene rinviato all’infinito, la voce che parla prima dell’uomo, l’immagine che rappresenta il significato.”
Nel romanzo di Roić, la visione controfattuale del maggio francese svolge un ruolo centrale ed è il fil rouge dove si intrecciano, in modo coerente e armonioso, metafore, immagini evocative, momenti poetici, preservazione della memoria, richiami letterari e profonde riflessioni a cui risulta difficile estraniarsi e che meritano di essere esplorate.
Dario Galimberti è scrittore
Nell’immagine: Giovanna d’Arco, anno 1948 (Ingrid Bergman nel film di Victor Fleming)