Il giorno sbagliato per avere ragione
Il rischio è che la giornata della memoria scada nella ritualizzazione e non serva più a molto né per la manutenzione dei ricordi né per il presente
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Il rischio è che la giornata della memoria scada nella ritualizzazione e non serva più a molto né per la manutenzione dei ricordi né per il presente
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Il rischio è che la giornata della memoria scada nella ritualizzazione e non serva più a molto né per la manutenzione dei ricordi né per il presente
Che la giornata della memoria corra da tempo il rischio di scadere nella ritualizzazione e non servire più a molto né per la manutenzione dei ricordi né per il presente lo scrive con preoccupazione anche l’Unione delle comunità ebraiche italiane. Ma perché il 27 gennaio non sia solo un rito si devono respingere quelle interpretazioni museali per le quali bisogna evitare ogni discorso che riporti l’orrore della Shoah nell’attualità e nelle sue tragedie e per le quali quell’abisso si potrebbe dunque solo contemplare, una volta l’anno.
Questo 27 gennaio non può che parlare anche all’attualità del 7 ottobre, al barbaro attacco di quel giorno di Hamas ai civili israeliani e alla carneficina che Israele sta facendo a Gaza da oltre cento giorni. Tanto da rendere possibile l’accusa di genocidio sulla quale si farà sentire oggi la Corte dell’Aja.
Nell’occidente che si riarma e dove cresce ovunque la destra, l’attualità del «mai più», il messaggio più forte della giornata della memoria, è tragicamente più urgente. Ma non è su questo che si appunta l’attenzione qui da noi, anche a causa della leggerezza con la quale la Comunità ebraica nazionale sceglie i suoi interlocutori negli eredi di chi firmò le leggi razziali. Celebrare degnamente il 27 gennaio significherebbe interrogarsi (tornare a farlo) sul perché un popolo di vittime, vittime dell’orrore più grande, possa oggi nella sua larga parte comprendere e giustificare le sofferenze atroci di Gaza e la mattanza inarrestabile di civili che produrrà nuova violenza e nuovi lutti.
Altro che cancellare Hamas. E celebrare degnamente il 27 gennaio significherebbe anche riflettere su come possa accadere che la rabbia di fronte al fiume di sangue di Gaza scateni non (solo) la massima condanna del gabinetto di guerra israeliano, per Netanyahu e per la colonizzazione armata che ne è il retroterra e il fine ultimo, insieme a ogni tentativo di fermarli, ma scateni troppo diffusamente l’odio antisemita verso un intero popolo. Popolo ebraico che invece, non è tutto con i devoti carnefici dell’estrema destra al governo di Tel Aviv, popolo con il quale andrebbero tenute aperte alleanze con l’obiettivo di fermare subito la strage in corso. E spezzare la copertura che i governi occidentali concedono a Netanyahu. La confusione tra la tragedia della Shoa e ogni altra tragedia attuale, compresa quella in corso, allontana invece che avvicinare questo obiettivo.
Come tutti gli impossibili paragoni storici, la similitudine tra l’Olocausto e qualsiasi altra nefandezza della storia è una cretinata. Non solo per l’immensità dei numeri quanto per il carattere di sterminio programmato che ha avuto l’Olocausto, per il suo sorgere imprevisto nel cuore dell’Europa e per l’essere stato efficientemente portato avanti nell’indifferente complicità dei molti. Proprio per questo la sua memoria è fondamentale, perché parla a tutti noi, eredi della zona grigia, non solo agli eredi delle camice brune o nere – che oggi portano a compimento quella forma di non memoria che si chiama cancellazione. La confusione tra Olocausto e qualcos’altro è sempre strumentale e per questo è sempre oscena. Gravissima anche se non sorprendente quando la fa la destra al governo di Israele, che definisce Olocausto l’attacco di Hamas. Gravissima e stupida quando tenta gli amici della Palestina e la sinistra. Per questo convocare una manifestazione contro lo sterminio di Gaza nel giorno della memoria è stata una scelta sbagliata. Funzionale a quella confusione. Utile solo a offrire argomenti agli istinti repressivi del nostro governo.
Vietare la manifestazione sarebbe comunque una scelta grave e inaccettabile. Ma le ragioni di chi continua senza arrendersi a difendere la vita, la verità e la giustizia per la Palestina e grida al mondo l’orrore che Israele sta compiendo vanno tenute alte ogni giorno dell’anno. La mobilitazione per la salvezza di quel che resta di Gaza e di tutte le vite, per la libertà, l’autodeterminazione, i progetti e i sogni dei palestinesi, e quindi per la stessa salvezza di Israele, nei mesi scorsi non ha mai avuto bisogno della chiamata alle piazze di Hamas. Adesso non ha bisogno di provocazioni.
Andrea Fabozzi Cronista parlamentare, al manifesto dal 2001, insegnante di giornalismo a Unisob dal 2010. È direttore del manifesto dal 2023
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