La politica (funeraria) del placebo
Il placebo è un concetto affascinante. E non solo dal punto di vista biologico-medico. Anche dal punto di vista storico, dal punto di vista politico. E proprio in politica l’effetto placebo abbonda
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Il placebo è un concetto affascinante. E non solo dal punto di vista biologico-medico. Anche dal punto di vista storico, dal punto di vista politico. E proprio in politica l’effetto placebo abbonda
L’”effetto placebo” è diventato altra cosa. È sostanza farmacologicamente inerte, inefficace, che viene somministrata ai pazienti che si credono ammalati; oppure sostanza che si usa nelle sperimentazioni cliniche per poter fare confronti con medicamenti che sono invece attivi, ritenuti efficaci.
Che cosa c’entra tutto questo con la politica? La parola placebo è come intessuta tra qualcosa di gradevole e di utile e qualcosa di falso e di ingannevole. Sa di trucco, insomma. Darà l’impressione di far bene e rimettere in sesto, mentre in realtà si sa che il male è altra cosa e proporre un placebo è solo un modo per rivoltarlo o mascherarlo.
Si prendano i costi della salute e i premi delle casse malati, che salgono senza remissione. Si dirà che il rimedio principale sta nell’accrescere la responsabilità degli assicurati che ricorrono troppo frequentemente, senza necessità o urgenza, al medico, alle medicine, al pronto soccorso, all’ospedalizzazione, agli interventi inutili o superflui. Quasi volessero rifarsi, con una paradossale tautologia, sui premi troppo alti che pagano “utilizzandoli”, ammalandosi. Il placebo che si troverà allora facilmente è quello di elevare ancora la franchigia minima in modo da “orientare” la responsabilità degli assicurati verso una riduzione delle prestazioni (vedasi l’accettazione della mozione udc al Consiglio degli Stati, 25 voti contro 11, che propone oltretutto un adeguamento continuo della franchigia minima, in parallelo con l’aumento dei costi sanitari). Con due conseguenze certe: chiamare ulteriormente alla cassa i meno abbienti, anziani, poveri, quelli per forza di cose con la franchigia più bassa, quasi fossero i maggiori responsabili di tutto; più aumentano i costi della salute, meno ti copriranno le casse malati. Effetto placebo.
Si prenda l’indebitamento dello Stato, al quale costituzionalmente si pone un freno o si impone il raggiungimento della parità di bilancio entro la fine dell’anno prossimo. In buona logica di bilancio le vie per riuscirci sono due: diminuire le uscite (minori spese), aumentare le entrate (maggiore aggravio fiscale). È il classico supplizio di Tantalo (che desiderava avere ciò che non riusciva ad avere). Allo Stato si continua a chiedere, anche da parte dell’economia, di impegnarsi a proteggere, difendere, permettere di crescere, formarsi, curarsi, circolare, rimediare alle conseguenze climatiche, far fronte a eventi pandemici o catastrofici. Ma allo Stato o si tolgono mezzi (sgravi fiscali) o gli si oppone come promessa “politica” sacrosanta la rinuncia ad ulteriori aumenti delle entrate. E infatti non se ne vien fuori.
E allora, politicamente, eccoti altri classici, consueti, placebo.
Il primo è quello di far credere che la ricchezza, là dove c’è, non va punita, non va gravata ma piuttosto sgravata, perché la ricchezza finisce sempre per sgocciolare verso il basso, giovare quindi a tutti e, per effetto dell’accresciuta domanda, maggior vitalità dell’economia e maggiore entrata fiscale: è una regola venduta e generalizzatasi in tutto il vetero e nuovo capitalismo che risulta però, dovunque, la turlupinatura fattasi sistema.
Il secondo è che esiste comunque un responsabile certo della situazione incresciosa. E chi è? È chi deve ricorrere alla protezione dello Stato (protezione sociale). E chi è dipendente dello Stato (amministrazione pubblica). Il primo perché è portato ad approfittarne, il secondo perché, quasi per tradizione storica, è sempre ritenuto eccedente o superfluo, o partiticamente ripartito e collocato, Insomma, una spesa superflua, uno spreco.
Due incantevoli placebo, quindi: ridurre le poste cosiddette “sociali”, e vadano al diavolo anche la ripartizione della ricchezza o la povertà; trovare il modo di lasciare a casa i dipendenti statali, popolarmente ritenuti i maschi dell’ape, categoria comunque ingiustamente privilegiata.
Non è difficile trovare abbondanza di altri placebo politici se ci addentriamo, anche di poco, nei campi che riguardano il clima e le sue conseguenze. La rinuncia all’energia nucleare sancita in un articolo costituzionale – perché ritenuta pericolosa, fortemente dipendente dall’estero per la materia prima, fonte di scorie radioattive millenarie – vien riabilitata con fantasie di progresso tecnologico. Trasformata dapprima in un errore del popolo e poi subito in un placebo che ci salva da due mali: la crisi energetica e gli alti costi, cappio per l’economia; il ricorso ad una energia riscoperta “pura” per far fronte alla rinuncia all’energia inquinante (idrocarburi ecc.).
Persino in politica estera e nei rapporti con l’Europa si riesce a collocare un indiscutibile ottimo placebo: l’Unione europea, trent’anni dopo la sua creazione, è a un bivio esistenziale perché non ha imparato niente dal modello svizzero. Perché, insomma, è l’Europa che dev’essere come la Svizzera e non viceversa. Quindi sappia Bruxelles, che fa la voce grossa, che è l’Europa ad aver bisogno della Svizzera e non il contrario, ed è inutile che Berna si prodighi in inchini perché il peggio sta da un’altra parte. È il placebo “salvaSvizzera”.
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