Tutti in lista (d’attesa)
Definiti i nomi dei candidati alle prossime elezioni cantonali sarebbe anche ora che dalle liste elettorali uscisse anche una qualche lista di programmi e prospettive non solo elettoralistiche
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Definiti i nomi dei candidati alle prossime elezioni cantonali sarebbe anche ora che dalle liste elettorali uscisse anche una qualche lista di programmi e prospettive non solo elettoralistiche
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Definiti i nomi dei candidati alle prossime elezioni cantonali sarebbe anche ora che dalle liste elettorali uscisse anche una qualche lista di programmi e prospettive non solo elettoralistiche
Ora ci sono tutti i nomi, tutti i 973 candidati delle quattordici liste di partiti, alleanze, movimenti che si presenteranno all’appuntamento elettorale cantonale del prossimo 2 aprile. Alle 18.00 del 6 febbraio le liste saranno definitive ed ufficiali anche se sono ormai settimane, per non dire mesi, che la campagna elettorale è partita a suon di polemiche e battibecchi più o meno personalistici, sia a sinistra (con il “caso Mirante” finito nell’ennesima scissione – Avanti così), sia a destra, con il paradossale teatrino del finto “volemose bene” fra Lega e UDC, fra i Cip e Ciop e quelli che si autodefiniscono “coglionazzi”. Indubbiamente già ci siamo, e di palle ne girano a volontà (per restare in metafora paminiana).
Rimarcato un po’ da tutti i commentatori è il notevole aumento del numero di candidati rispetto a quattro anni fa: da 786 a 973, ovvero 187 in più. Un dato che potrebbe essere letto come molto incoraggiante dentro il contesto della nostra concezione della “politica di milizia” come garanzia dell’accesso a seggi e scranni democraticamente distribuito e consentito a chiunque abbia a cuore le sorti della collettività e sia nutrito dal cosiddetto “fuoco sacro”, a costo di rinunce e sacrifici rispetto alla propria attività professionale.
Un dato dunque, che parrebbe in controtendenza, se così vogliamo dire, con non poche riflessioni che si sono potute leggere nelle scorse settimane (e non per la prima volta, in verità) su una vera o presunta “crisi” della vocazione alla politica che ha portato diversi parlamentari ad annunciare, non senza qualche clamore, il proprio abbandono dell’attività parlamentare per “esaurimento di energie”. Da lì, ha preso il via la messa in discussione del concetto di “milizia” e della sua praticabilità, oggi, di fronte a temi e dossier sempre più articolati e complessi che in commissioni e sottocommissioni fan passare ai parlamentari ore, settimane, mesi prima che si arrivi a qualche decisione, poi magari da rinviare ad maiora.
Un’attività faticosa, insomma, quella del politico e, verrebbe da aggiungere, ci mancherebbe che non lo fosse, visto che da essa dipendono le sorti di tante nostre esigenze o aspettative di vita quotidiana. Certo, in conto van messe forse sempre più non poche frustrazioni, che portano a decisioni sommarie frutto di sfinimento. I candidati, comunque, si sono messi in lista, li andremo ad eleggere, facciano il loro ruolo fino in fondo. Se poi non ce la fanno, vabbè, avranno un sacco di ragioni, tutte rispettabili e forse ancor più comprensibili se derivano, appunto, da sfinimento o consunzione per essersi troppo impegnati.
Ma qui sorge forse un interrogativo che, forse maliziosamente, potremmo contrapporre all’ottimistico riscontro numerico relativo all’aumento dei candidati. I problemi sono complessi, i dossier intricati e contorti, i temi da trattare sempre più numerosi e diversificati. E così, in commissione, ci si spartisce il lavoro e chi più ha rappresentanti più vi mette propri esponenti, non necessariamente per “competenza”, ma per marcare presenza ( o marcare “a uomo” esponenti di altro schieramento).
Così i “dossier complessi” paiono finire dentro l’ingranaggio di un funzionamento sempre più farraginoso del Parlamento (e del suo rapporto con il Governo) trattati a suon di slogan, ridotti a merce di scambio partitico, affrontati con qualche “decreto” che porta al voto e all’affermazione, sempre più costante, di un certo schieramento, quello che si batte per il “ceto medio”, vero totem di riferimento un po’ per tutti quelli che poi, in suo nome, ti rifilano l’ennesima agevolazione fiscale che favorisce i ricchi ma che, naturalmente e beneficamente, ti dicono, sgocciola, distillata, anche in testa a chi ricco non è.
E intanto il “ceto medio” diventa sempre meno medio, anzi più povero, ma guai a pensare che sia frutto di un orientamento politico incapace di affrontare la “complessità dei dossier” e di avere a cuore davvero le sorti di un’istituzione pubblica, lo Stato, che dovrebbe poter fornire a tutti i cittadini le medesime condizioni e garanzie. Lo Stato è tendenzialmente concepito come un ingombro da chi, in realtà lo “occupa” in Parlamento per dire che tutto dev’essere affidato alla libertà d’impresa, all’iniziativa privata, che vanno sostenute e favorite in ogni modo, finché poi non capita che con tanta libertà a disposizione, vi siano imprese che collassano. A quel punto, vuoi che non spunti un qualche vate delle PMI a dire che lo Stato deve intervenire per sostenerli?
Anche a sinistra, in verità, in un’alleanza “rossoverde” che è meglio non chiamare unitas, ci si batte per il “ceto medio”, anche se, in verità, oggi si parla sempre più insistentemente di “classi meno abbienti, o disagiate, o sfavorite” e via di eufemismi, per dire, semplicemente che andrebbero difesi, davvero, i “poveri”, gli “esclusi”, quelli che fanno andare avanti quotidianamente la baracca del settore pubblico e parapubblico come di quello privato. Quelli che sempre più faticosamente sorreggono il principio di “crescita” economica del nostro Paese entrandovi ed uscendovi quotidianamente attraverso il confine nel dispregio sistematico riservatogli da un deprecabile domenicale; quelli che stanno in corsia d’ospedale, nei cantieri, sulle strade, per ore, ogni giorno; che vanno difesi da pesanti attacchi salariali, tagli pensionistici; quelli che per primi e sempre più pesantemente, risentono dell’aumento del costo della vita, insomma, e fanno sempre più fatica.
“Dossier contorti e complessi” liquidati o rinviati sine die, di quadriennio in quadriennio, in un quadro politico che c’è solo da sperare possa trovare nei nuovi e numerosi (come non mai) candidati, un approccio diverso, che renda il Parlamento qualcosa di diverso dal luogo così descritto da un granconsigliere uscente nel proprio profilo social:
“Purtroppo (o per fortuna, in questo caso), tutte le cose umane hanno un inizio e hanno una fine, anche in quell’ambiente tossico che è la politica ticinese e anche se ormai ci siamo abituati ai deputati zombie, ai candidati poncho (ovvero che-stanno-bene-su-tutto-e-che-vanno-bene-in-qualsiasi-stagione), ai “culodipietristi” e alle successioni in stile saghe dinastiche, al cui confronto i protagonisti del Trono di spade o della Casa del Drago sembrano sprovveduti dilettanti allo sbaraglio”.
E speriamo che i nuovi candidati, accolgano come una sfida, come un monito cui confrontarsi per un vero cambio di marcia, l’augurio finale dello stesso granconsigliere uscente:
Auguro tanta, tanta, ma tanta fortuna a tutti coloro che verranno e che ne avranno davvero bisogno, perché – semmai dovessimo scamparla – si tratterà inequivocabilmente e senza ombra di dubbio di un’enorme botta di culo.”
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