Come ci ha ricordato ancora ieri
, in questa sede, un contributo di Fabio Dozio, dobbiamo sempre più chiederci, come ha fatto Dick Marty nel suo ultimo libro
Verità irriverenti, se “la partecipazione al governo di tutti i partiti principali è ancora attuale. La domanda è lecita, se si pensa che il partito più votato è quello che oggi manifestamente riveste allo stesso tempo il ruolo di partito governativo e opposizione. La collegialità assume così aspetti un po’ grotteschi che a mio parere nuocciono alla credibilità della politica.”
Occorre forzatamente tornare di nuovo su queste considerazioni dopo che il Consiglio di Stato si è ufficialmente espresso a proposito dell’iniziativa sul canone SSR “Duecento franchi bastano” e sulla proposta di controprogetto del Consiglio federale che porterebbe la riduzione a 300 franchi.
Nell’ambito della consultazione federale sulla Revisione parziale dell’ordinanza sulla Radiotelevisione (ORTV), il nostro Governo si è trovato costretto ad esprimersi e, in quanto autorità politica del Cantone, a trasmettere il proprio preavviso negativo al Consigliere federale Udc Albert Rösti, fra i primi firmatari della drastica iniziativa e poi, nel suo ruolo di ministro delle comunicazioni, artefice di un “controprogetto” che comunque toglierebbe all’Azienda di Servizio pubblico radiotelevisivo circa 240 milioni di franchi all’anno (a partire dal 2027) con la conseguenza inevitabile di tagli sul personale, che alla RSI potrebbero essere equivalenti a circa 170 posti di lavoro.
Ci troviamo di fronte, una volta di più, ad alcuni aspetti paradossali del funzionamento della politica, che prevedono che un acceso antagonista del settore pubblico informativo come Rösti, diventato membro dell’esecutivo federale debba occuparsi con attenzione e partecipazione di quello stesso servizio pubblico, e chieda, nella fattispecie, anche al nostro Governo cantonale, a maggioranza relativa leghista (dunque sostenitrice dell’iniziativa “antibalzello”) un preavviso sulla questione, sentendosi rispondere picche.
Un ginepraio che metà basta, invogliando i più a mollare la presa e lasciar perdere ogni tentativo di voler semplicemente capire cosa ci sia davvero in ballo. Non c’è tempo, né voglia, di interrogarsi su un tale gioco delle parti, e si arriva presto a due semplici conclusioni: sono i soliti maneggi della politica (ci sarà sotto qualche cosa di losco, non importa cosa); non capisco e me ne frego e non mi batterò di certo per farmi “rubare” soldi del canone gettati al vento (che soffia sempre verso sinistra) dalla vorace ed elefantiaca azienda dei privilegiati della SSR.
Del resto questo è, né più né meno, quanto esce ancora oggi dalla colata di lava anti-“governicchio” cantonale che si può leggere sul “Mattino”, strenuo fautore dei “200 franchi bastano”. Naturalmente lo stile del codino di Corticiasca è ben noto e si dispiega per quasi un’ intera pagina fra un “busciamo” ed un “uhh che pagüra”, facendoci presente che la posizione del Governo è frutto di una decisione presa “a maggioranza” (come a volerci suggerire che i due Consiglieri di Stato leghisti, fra cui il coordinatore e gran conducator della Lega, sono finiti in minoranza, presi in ostaggio dagli altri tre).
Il fatto è che il Governo (in corpore) ha fatto, in questo caso, semplicemente il proprio lavoro, sostenendo, come da suo compito, che “quanto proposto con la revisione parziale dell’ordinanza sulla radiotelevisione (ORTV), oltre a una massiccia riduzione del personale SSR e della qualità dell’offerta, (…) indebolirebbe il ruolo di un attore cardine nella costruzione della coesione nazionale e della salvaguardia e promozione dei valori democratici e delle specificità di tutte le componenti del nostro Paese, tra cui anche le minoranze linguistiche e culturali come quella italofona che lo scrivente Consiglio di Stato rappresenta”. Del resto, come regione linguistica di minoranza ampiamente beneficiaria della cosiddetta “chiave di riparto” (il 4% della popolazione riceve il 20% dei mezzi) di fronte al resto del Paese non si può certo fare diversamente. E il Canton Grigioni insegna, a maggior ragione.
La preoccupazione che il Governo esprime per le ripercussioni politiche ed economiche legate a questa ipotizzata riduzione del canone, non è dunque condivisa dai due rappresentanti leghisti? Anche per loro, come per l’inesausto pendolare fra la poltrona in Piazza Riforma e lo strapuntino a Palazzo federale, il servizio pubblico va semplicemente abbattuto a colpi di scure, nell’oscura convinzione che si tratti di far esplodere un covo di pericolosi sinistrorsi? Già, perché è poi quello il mantra che ha condotto zelanti volontari sguinzagliati a suo tempo a raccogliere firme contro il “canone più caro d’Europa” e a giustificarne la presunta insensatezza. Ma tu pensa, pagare gente che di principio è favorevole all’immigrazione di massa, agli accordi con l’Europa, al boicottaggio della sacra neutralità della nostra Patria! Non dimentichiamo che dal Ticino è arrivato circa un quarto delle 120.000 firme raccolte, ed ecco che il nostro Governo (a maggioranza), con la sua presa di posizione, dimentica la “volontà popolare”. Che poi di mezzo ci siano centinaia di milioni di indotto, posti di lavoro dei “nostri”, professioni e formazione professionale altrimenti inesistenti, il sostegno di enti e scuole di ogni ordine… “a m’interesa mia”.
Ma qualcuno si è mai chiesto (o si chiederà, un giorno) che impressione può dare questo quadro clinico della nostra politica visto da oltre San Gottardo? Qualcuno si domanderà, prima o poi, se tutto ciò ingenera un senso di “credibilità”? Ed anche a livello regionale, cantonale, come si può continuare a far girare questa giostra di pretesti populistici con cui si infarciscono presunte questioni di principio, sempre più variabili, sempre più sofistiche, come quelle che ci attendono pure da domani nel dibattito in Gran Consiglio sul preventivo, la manovra di rientro di bilancio, la perla (quasi metaforica) dell’affaire “cittadella della giustizia”? È l’ipocrisia della politica, bellezza, vien da dire con il citato Fabio Dozio, ma poi non ci si lamenti se la partecipazione dei cittadini alla vita politica ed alle scelte che dovrebbero fondare uno Stato di diritto democratico, sarà sempre meno motivata, sempre più improvvisata e fondata su aspetti emotivi o gastrici, sempre meno interessata a star dentro un contesto malsano, incomprensibile e privo di ogni prospettiva. A quando, oltre a quella dei “cervelli” avremo anche la fuga degli elettori? Quando si capirà che potrebbero pure essere la stessa cosa?